Diaframma è la nostra rubrica–galleria di fotografia, fotogiornalismo e fotosintesi. Ogni settimana, una conversazione a quattr’occhi con un fotografo e un suo progetto che sveliamo giorno dopo giorno sul nostro profilo Instagram e sulla pagina Facebook di Diaframma.
“Il punto più freddo dell’Universo mi ha ispirato per iniziare a creare un mondo distopico — non molto lontano dalla realtà — che mi ha portato a interrogarmi su diverse cose.”
Mar martin, fotografa spagnola residente a Berlino, ha come punto di partenza per i suoi progetti fotografici la scienza, che declina poi in maniera libera. Le fotografie della serie che presentiamo ci mostrano una realtà ricostruita liberamente, che ci inquieta per i toni freddi e le ambientazioni che suggeriscono scenari post-apocalittici. Sebbene, possiamo ogni volta riconoscere che è la fotografa che ci suggerisce tali emozioni e sensazioni, perché non nasconde e non altera in maniera decisa e ingannevole le semplici stanze, tracciati, persone, edifici, gli oggetti reali di cui si serve per suggerirci un mondo.
Il tuo progetto fa riferimento direttamente al set di telescopi chiamati A.L.M.A. Qual è stato il punto iniziale della tua ricerca?
Tutto ha avuto inizio quando nel 2014 lessi un articolo che parlava della prima immagine in alta definizione del punto più freddo dell’universo a noi conosciuto. Fu possibile catturare questa immagine grazie al gruppo di telescopi più grande del mondo: l’Acatama Large Millimiter Array, per l’appunto A.L.M.A. — alma in spagnolo significa anima — che si trova nel deserto di Atacama. L’importanza di questa scoperta risiede principalmente nel fatto di poter determinare cosa succede alle stelle quando muoiono, dato che lo stesso succederà al Sole. Questo articolo risvegliò la mia curiosità e mi permise di iniziare a pensare a quanto effettivamente potesse essere freddo questo posto, immaginandomi un futuro senza Sole. Non potendo scattare direttamente immagini di questo posto l’ho potuto solo immaginare, cercando di traslare le sensazioni che provavo in immagini, iniziando a ricrearle mentalmente, dove fantasia e realtà possono coesistere.
Il mondo che emerge dalle tue fotografie è freddo e in parte alieno. Da dove viene questa necessità?
Il punto più freddo dell’Universo mi ha ispirato per iniziare a creare un mondo distopico — non molto lontano dalla realtà — che mi ha portato a interrogarmi su diverse cose. Il progetto, iniziato un po’ per gioco all’inizio, si è fatto man mano più serio. Ho usato il freddo che verrà da una prospettiva psicologica. Riprendendo l’immagine mentale che mi sono fatto ho voluto trasformarlo in qualcosa di creativo. Nella realtà poi tutto questo è stato fatto a Berlino, durante l’inverno, uno scenario ideale per quello che volevo creare.
Immagino tu sia interessata ad argomenti scientifici e sull’universo. Cosa ne pensi, parlandone molto liberamente?
Amo informarmi e conoscere sempre di più l’Universo. Si tratta di qualcosa di assolutamente affascinante, e pensare che conosciamo solo il cinque percento circa dell’universo! Ammiro gli scienziati e le persone che si interrogano continuamente su come funzioni e che non si fermano mai nelle loro ricerche. L’Universo mi porta a pensare: tutto può cambiare, nulla è certo e la verità è che quello che conosciamo è relativo. L’Universo rimane per me uno spazio di libertà.
Nella tua serie sono presenti oggetti, persone, luoghi, natura. Come hai pensato di mettere insieme tutti questi soggetti?
Ho cercato di trovare nella mia quotidianità pezzi di questo mondo che stavo costruendo mentalmente. Il processo, in questo lavoro, mi ha coinvolto tanto. Trovare le location sul tragitto per casa, al lavoro o mentre ero in visita dalla mia famiglia. Mentre la mia vita scorreva normalmente poteva capitare, d’un tratto, che ritrovassi un pezzo di A.L.M.A. sulla mia strada, e questo poteva succedere in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo. Nel progetto non ci sono solo oggetti e persone perchè per me A.L.M.A. è un mondo intero.
Il tuo modo di fare fotografia lo definirei documentario in chiave metaforica. È così?
Sì, sono sempre partito dal presupposto che la fotografia non è la realtà. La fotografia, piuttosto, mi permette di trasmettere il mio punto di vista su uno specifico tema attraverso delle ricostruzioni, come se fossi sempre in un set. Il punto è che dietro ad una fotografia o ad una serie di fotografie c’è sempre una storia che vuole essere narrata. Mi piace, in definitiva, mischiare fotografia documentaria e fotografia staged per trasportare le persone in posti che non possono esistere se non nelle nostre menti.
Mar Martin (Granada, 1984) dopo gli studi artistici a Granada, Monaco e Madrid, dove si laurea in fotografia all’International Center of Photography and Film, vince una borsa di studio per la scolarship Leonardo da Vinci a Berlino, dove dedice in seguito di vivere. Il lavoro di Mar Martin si inspira a temi scientifici che fungono da punto di partenza per i suoi viaggi fotografici immaginari. Ha partecipato a diversi festival internazionali, ha pubblicato e esposto i suoi lavori in diversi paesi.