Lobby gay, gruppo Bilderberg, immigrazione pianificata, complotti della finanza internazionale: Povia è il cantautore perfetto per la maggioranza gialloverde.
Ieri Giuseppe Povia avrebbe dovuto inaugurare a Campagna, in provincia di Salerno, la “Pontida del Sud.” L’evento è stato rinviato “per renderlo compatibile con gli impegni del ministro Salvini,” ma sabato sera il cantautore ha suonato comunque alla festa provinciale della Lega ad Ascoli Piceno e settimana scorsa alla festa nazionale del partito a Pradamano, in provincia di Udine, subito dopo l’intervento dal palco di Matteo Salvini.
La luna di miele tra la Lega e Povia non è nuova: l’anno scorso la Lega milanese l’aveva addirittura candidato a ricevere l’Ambrogino d’oro. Ma ora che il partito di Salvini è virtualmente il primo d’Italia ed esprime la forza trainante del governo, l’ex vincitore di Sanremo prestato al cantautorato politico si trova di nuovo sotto le luci della ribalta, in piena sintonia con l’ideologia del nuovo mainstream.
Il suo ultimo album, Nuovo Contrordine Mondiale, ricicla senza originalità le solite teorie del complotto: qualcuno vuole che gli immigrati arrivino in Italia a rubarci il lavoro, siamo tutti schiavi di un sistema finto democratico, la sinistra ha svenduto l’Italia alla finanza mondiale. “Non so se capite di cosa sto parlando ma io queste cose le traduco in musica e le canto”. Va bene.
Erano altri tempi e di strimpellatori gialloverdi non se ne vedeva ancora l’ombra. A cantare ci pensava un presidente azzurro, rispolverando compiaciuto le velleità perse negli anni più esuberanti della propria vita. Apicella pizzicava le corde della chitarra accompagnando le parole di un premier nostalgico che, ogni due per tre, ripercorreva ricordi universitari lontani nel tempo, intonando qua e là strofe e ritornelli in un francese rabberciato. Poi i tempi sono cambiati: il tumulto dello spread, i titoloni sui giornali, Monti & Fornero, la disoccupazione, gli immigrati sui barconi, l’italianità persa per strada. Un humus di insicurezza e scetticismo innaffiato di ignoranza è cresciuto velocemente, dilagando su internet e creando le condizioni perfette per lo sviluppo (quasi) inaspettato di una carriera discografica fulminea e perennemente incompiuta, quella di Giuseppe Povia, non più cantore di piccioni innamorati bensì, ora, stornellatore di complotti dal respiro sovranista.
“Sono una massa di paraculi” sentenziava con vigore Pino Scotto da Chiambretti, braccia aperte e sguardo rivolto al suo vicino di poltrona, Povia, appunto. Autore di una manciata di singoli popolarissimi (“I bambini fanno oh,” “Vorrei avere il becco,” “Luca era gay,” “La verità”), la sua carriera discografica è intrecciata fin da subito con il Festival di Sanremo, a cui ha partecipato tre volte vincendolo tubando nel 2006. Poi, nel 2012, la svolta malefica e l’abbandono della discografia tradizionale per — occhio al refrain già sentito — assaporare la libertà e “studiare i sistemi monetari, la finanza, l’economia”, poter seguire “i più grandi giuristi, i più grandi costituzionalisti, sia viventi che non viventi, i più grandi economisti, sia viventi che non viventi” e poter tradurre “in musica quello che a volte loro dicono, a volte anche noiosamente, in due ore di convegni”.
Nuovo Contrordine Mondiale, a sentir lui, parrebbe l’opera di un genio, il punto d’incontro artistico definitivo, ineguagliabile, tra l’impegno sociale e la forma canzone.
E invece, pensate un po’, anche questo è solo un coacervo di ritornelli brutti e demagogia. “C’è una dittatura di illusionisti finti economisti equilibristi terroristi padroni del mondo peggio dei nazisti che hanno forgiato altrettanto tristi arrivisti”, è l’incipit cervellotico di “Chi comanda il mondo?”, traccia di apertura del disco, e non lascia dubbi sulle dietrologie a là Dan Brown che permeano l’album. Da “Io non sono democratico,” elogio di un malcontento che sfocia spesso nell’interpretazione arbitraria delle regole (“Se in Italia l’evasione fosse legittima difesa sarei un po’ più democratico”) a “Al Sud,” vero e proprio inno al Regno delle Due Sicilie stroncato da quel brigante di Garibaldi, Campagna, il paese che ha ospitato, per la prima volta, la “Pontida del Sud”, avrebbe sicuramente assistito all’esibizione di un Povia emancipato e tuttologo. Lo stesso che su Canale Italia cantò in mutande uno dei suoi ultimi pezzi (“Era meglio Berlusconi”) solo dopo essersi esibito in uno spogliarello e aver recitato la nenia che ora è ideologia di governo:
“Ci hanno levato ogni sovranità, ci hanno levato la sovranità parlamentare, la sovranità monetaria, la sovranità agricola, la sovranità politica, la sovranità culturale. I crocifissi cascano, la costituzione la stanno facendo a pezzi”
Immaginiamo Giuseppe Povia perfettamente a proprio agio di fronte al pratone della neo eletta “Pontida del sud”, Campagna. Potrà ricordare, come settimana scorsa in occasione della festa nazionale della Lega a Pradamano, che ultimamente gli danno del fascista, razzista, populista, demagogo, omofobo, sessuofobo, ma che ha accettato l’invito perché va a suonare dove gli è possibile esprimere le proprie idee, che non sono né di destra né di sinistra. Potrà tenere una lectio magistralis sul concetto di deficit, che “è una cosa giusta!”, facendo proprio il vocabolario perentorio del governo lega-cinquestelle che, per dirla con Travaglio, tutti i giorni affronta “burocrati col culo di pietra che stanno lì da trenta quarant’anni.”
Un governo che vede trame e complotti ovunque e applica, ove possibile, soluzioni semplici a problemi complessi e globali, rappresentando la società come un monolito imperturbabile (il “popolo”). Guarda caso proprio la stessa immagine trasmessa da Povia, che nel 2007 ha partecipato per la prima volta al Family Day e oggi teorizza con fervore il ritorno alla lira. “Non sono qualunquista, io sono uno che fa l’analisi e il ragionamento su tutto”, ripete spesso il menestrello libero. È la teoria del buon senso, baby, un rimedio istantaneo ad ogni male economico e sociale. Una volta eravamo abituati a sentirla ripetere in salsa slogan o incappando per sbaglio in qualche video di Byoblu. Ora, per la prima volta, possiamo sentircela cantare dall’ultimo cantautore-uomo libero, Giuseppe Povia, quel vincitore di Sanremo che oggi, dodici anni più tardi e liberi dal buon senso, riconosciamo come il primo, autentico, cantautore-uomo della Lega (nord).
In copertina: dalla pagina Facebook di Giuseppe Povia.
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