in copertina, il Movimento 5 Stelle festeggia la #ManovraDelPopolo, dalla pagina Facebook di Luigi Di Maio
Il governo promette che un corposo investimento in deficit segnerà una svolta senza precedenti per il paese. Ma il provvedimento lascia alle proprie spalle la stragrande maggioranza degli italiani.
Dopo uno stillicidio da cui sembrava impossibile che il governo uscisse vivo — e non è ancora detto che ne esca tutto vivo — il consiglio dei ministri ha approvato nella sera di giovedì una bozza della nota di aggiornamento al Def che prevede uno sforamento del rapporto deficit/Pil del 2,4% per i prossimi tre anni.
Prima la stampa e l’opposizione, poi i mercati hanno risposto, a essere gentili, con scetticismo. Il presidente del Consiglio ha commentato assicurando che mercati e Unione europea accetteranno lo sforamento, una volta che il governo “si sarà spiegato.”
Ma il problema non è di per sé l’aumento del debito. Il problema è come si spende, piuttosto. Perché ovviamente non sono le singole misure a creare “debito,” come non lo erano di per sé gli 80 euro di Renzi — è il meccanismo tossico stesso degli interessi dei suddetti debiti che congela qualsiasi ambizione dello Stato. È quello che ha provato a spiegare all’Italia per l’ennesima volta ieri il commissario agli Affari Economici e Finanziari Pierre Moscovici, senza però arrivare alle logiche conclusioni del proprio ragionamento. Le analisi allarmiste che ipotizzano il crollo del paese per un punto percentuale trattano il debito pubblico come se fosse la febbre, per decidere se uscire di casa o meno. Il problema è come presentare questa legge di bilancio alla comunità europea, e la successiva instabilità — almeno per i prossimi tre anni, ma potrebbe essere piú a lungo — sui mercati.
Le misure della manovra vanno vagliate sotto questa luce: valgono la pena?
Valgono l’instabilità sui mercati di questi giorni, valgono rovinare forse irrimediabilmente il rapporto già compromesso di questo governo con l’Unione europea, la fragilità del paese dei prossimi anni?
Nella bozza sono previsti 10 miliardi per un “inizio” di reddito di cittadinanza e per l’aumento delle pensioni minime a 780 euro. Si tratta di misure importanti nell’ambito di investimenti espansivi del welfare, ma che possono essere analizzati seriamente solo al netto di quali tagli dovranno vedere i servizi pubblici nei prossimi anni per fare spazio a queste misure. Il Movimento 5 Stelle ha piú volte strombazzato che già in questa prima fase si solleveranno oltre la soglia di povertà 6,5 milioni di persone — anche se non è esattamente chiaro come, con 103 euro al mese a testa.
È anche importante sottolineare che nel paese sono tantissime le persone che si ritirano dal lavoro per vecchiaia con pensione minima dopo aver passato tutta la propria carriera all’interno dell’economia sommersa. Queste persone possono aver versato pochissimi o nessun contributo, ma sono state vittime o fautori del nero in cui hanno lavorato? È possibile che lo stato sia orientato verso un investimento verso queste pensioni, senza prevedere qualsiasi tipo di verifica su chi riceve questi soldi?
Qualsiasi tentativo, comunque ambizioso, di vedere le spese richieste dal Movimento 5 Stelle come genuini tentativi di contrasto alla povertà è destinato a schiantarsi contro le pretese del suo alleato di governo.
Come si può pretendere che il governo abbia valutato l’impatto delle proprie misure su reddito e pensione di cittadinanza quando la stessa finanziaria mette da parte 1,5 miliardi per fissare l’aliquota al 15% per un milione di partite Iva? Secondo quale valutazione questo milione di persone valgono un miliardo e mezzo di euro? Perché si parte da loro? Cosa si fa per gli altri lavoratori? Siamo sicuri che una manovra che genera debito debba farlo per garantire ulteriori sconti a una strettissima minoranza di lavori che costituisce da sola più di metà dell’evasione fiscale nazionale?
È impossibile leggere questa finanziaria come altro se non una tassa collettiva, di tutto il paese, per sollevare un gruppo di altamente privilegiati abituati a piangere miseria del proprio benessere. È impossibile non arrivare a questa conclusione guardando ai numeri della “pace fiscale,” il cui impatto è sì una tantum ma ancora non ben chiarito, e dovrebbe interessare tutti i debiti verso lo stato fino a 500 mila euro. Cosa pensa il governo degli evasori lo sappiamo, in realtà, perché la Lega ha lungamente insistito perché il tetto fosse a un milione, e la cifra presente nel Def deve essere il compromesso a cui si è arrivati.
In un’intervento a Agorà, su RaiTre, il viceministro dell’Economia Garavaglia, della Lega, spiegava: “Personalmente penso che un milione ci sta tutto perché un’aziendina ci mette poco ad accumulare.”
Ma non è così: il 55,1% degli interessati della pace fiscale ha debiti che non superano i mille euro— alzare così in alto l’asta dei regali ha uno scopo preciso: fare regali a un ristrettissimo numero di aziende che evadono sistematicamente per cifre oggettivamente altissime. Regali che la Lega evidentemente promette da anni, e che oggi finalmente può fare, sacrificando qualsiasi investimento nell’industria e verso qualsiasi settore ad alta dipendenza.
Certo, anche le aziende che non pagano le tasse hanno dipendenti, ma se dovessimo scommettere su imprenditori che utilizzino le risorse aggiuntive che riescono a sbloccare per creare nuovi posti di lavoro, noi non scommetteremmo su quelli che evadono le tasse.
Il Def si configura così come il risultato finale della fusione a freddo tra l’ideologia grillina e leghista. Dietro un centinaio di euro in piú al mese ai pensionati in difficoltà e dietro a un reddito di cittadinanza che sacrifica tutto quello che lo rende un provvedimento progressista c’è una finanziaria mostruosa, che indebita la nostra generazione e abbandona la stragrande maggioranza dei lavoratori per permettere a una ridottissima minoranza di lavoratori, socialmente ed economicamente già privilegiati, di comprarsi una Jeep nuova.
Quando uno stato investe nei piú deboli si chiama welfare, quando i ricchi gettano qualche moneta per nascondere i propri fronzoli dorati, si chiama carità. La manovra che i wannabe mussolini hanno festeggiato sul balcone non ha niente #delpopolo, ed è tutta #populista: un meccanismo di controllo dei pochi contro gli interessi dei molti.
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