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in copertina, foto dalla pagina Facebook di Matteo Salvini, rielaborata

L’obiettivo evidente del dl Salvini è schiacciare i lavoratori stranieri in un unico strato disperato: nuovi pària contro cui si può sparare.

Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato il già famigerato Decreto sull’immigrazione e sicurezza a firma Salvini. Il contenuto è quello che ci si può aspettare da qualcosa che porta la firma del segretario leghista: verrà abolita la protezione umanitaria, una forma meno intensa del diritto d’asilo che oggi è la forma di tutela più diffusa in Italia, che verrà sostituita con un permesso di soggiorno riservato ad alcuni casi particolari. Inoltre sarà estesa da 30 a 60 giorni la possibilità di imprigionare trattenere i migranti nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) e verrà depotenziato il sistema SPRAR di accoglienza sul territorio.

Oltre a questi ci sono altri provvedimenti, genericamente inseriti in un pentolone che fa coincidere in modo esplicito l’idea di immigrazione all’idea di delinquenza, come la revoca del diritto di asilo in caso di condanna penale in primo grado — un provvedimento criticato dal Quirinale e in odore di incostituzionalità, visto che fino al terzo grado persiste la presunzione di innocenza.

Il fenomeno migratorio è destinato a non esaurirsi nel giro di qualche mese, e segnerà la storia dei prossimi secoli in modo irreversibile. Ha origini molto profonde, ben difficilmente risolvibili “aiutandoli a casa loro” come vorrebbe la facciata della retorica di destra. Queste radici sono riconducibili a fattori come lo sfruttamento neocoloniale dei territori africani o agli interessi — energetici e non solo — di grandi potenze nel caso del Medio Oriente, solo per citarne alcuni. Inoltre, e soprattutto, non si parla abbastanza dei cosiddetti migranti climatici: ma stime di Norman Myers riferiscono che entro il 2050 circa 200 milioni di persone saranno costretti a lasciare la propria dimora e a migrare a causa del cambiamento climatico.

Il problema centrale, che ovviamente non è superabile da alcun governo di destra, è la natura stessa di “irregolare:” è su questo fronte che la retorica fascista di Salvini si scontra con la realtà.

Quale sarebbe la differenza tra lavoratori stranieri con documenti e lavoratori stranieri costretti all’illegalità? È lampante che per qualsiasi governo intenzionato ad amministrare uno stato, particolarmente uno stato che ha gravissimi problemi con l’economia sommersa, sia primissima necessità la codifica di meccanismi che permettano a chi lavora sul proprio territorio nazionale di farlo entro i confini della legge. Se si vuole parlare di “combattere i mafiosi,” come fa Salvini (HINT: quando Salvini parla di “mafiosi” non intende mai i mafiosi) la prima necessità è creare un entry point per il mercato del lavoro nazionale che possa garantire la sindacalizzazione dei lavoratori, in modo che siano loro stessi a combattere la tendenza naturale al nero dei benefici che lo Stato ha confermato recentemente nelle mani dei padroni con il dl “dignità.”

Il fitto impegno politico estivo di Matteo Salvini
Gli impegni politici estivi di Matteo Salvini

Non si possono liquidare alla svelta i problemi del dl Salvini con il mondo reale come “ideologizzazione” di destra: una lettura ideologica di un problema porta comunque ad una sua possibile soluzione. Può essere una soluzione che non piace a una parte dell’opinione pubblica, ma resta, appunto, un tentativo di soluzione. Un esempio immediato: il Jobs Act del governo Renzi si è rivelato una norma non efficace, ma il motivo per cui a distanza di anni il Partito Democratico sembra ancora disposto a morire su quella collina è perché si trattava di una lettura ideologica del problema della disoccupazione in Italia, con un tentativo seguente di risposta. Lettura che si è poi rivelata largamente fallace.

Il dl Salvini invece fa esattamente l’opposto di provare a “risolvere il problema:” l’obiettivo è evidentemente schiacciare i lavoratori stranieri non facoltosi in un unico strato disperato, un gruppo informe e senza nessuna dignità riconosciuta dallo stato — nemmeno l’innocenza — su cui si possa, senza mezzi termini, sparare. Si può dire, più correttamente, che il vero obiettivo del decreto di Salvini non è risolvere un problema, ma acuirlo.

Infatti, dal decreto non emerge una qualunque organicità che non sia quella di un generico indurimento, senza avere un vero disegno su come gestire la situazione — quante saranno le persone a cui verrà negato il rinnovo di permesso per protezione umanitaria? Dove vanno? Cosa fanno? — probabilmente senza nemmeno interessarsi particolarmente degli effetti veri e propri della legge stessa. È un decreto che ha una funzione retorica prima che meccanica. Lo scopo è quello di continuare a nutrire l’ideologia sfascista prima che fascista che ha portato il ministro alla ribalta: continuando la disseminazione della piaga razzista, creando i presupposti sociali prima che politici per la generazione di una classe di pària.

Questo decreto ha due facce, da un lato è un decreto miope, destinato a non risolvere nulla e ad aumentare le sofferenze dei migranti e il clima d’odio nel paese; dall’altro lato aspira a essere pietra angolare di una politica interamente basata sul razzismo, un chiaro piano sul lungo periodo di cui questa è solo una tappa.

Ma governare un paese non ha niente a che fare con questo: il ministro può anche vantarsi dei tanti che daranno l’allarme per le proprie pratiche regressive. Il punto non è che queste politiche non piacciano alla Croce rossa — il punto è che queste politiche non amministrano il paese, non arricchiscono né in nessun modo garantiscono sicurezza, servono solo a far sbuffare soddisfatto un elettorato lasciato sempre di più ai propri istinti presocietari. Ma se già ci sono profonde responsabilità nel gestire la comunicazione politica, utilizzare gli atti dello stato in questo senso è semplicemente spregiudicato, eversivo, indegno di governare uno stato.


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Blogger, designer, cose web e co–fondatore di the Submarine.