Lo sciopero dei fattorini di Amazon fa bene a tutti
Abbiamo visitato il presidio di via Toffetti e i lavoratori sembravano ottimisti. “I risultati li abbiamo ottenuti,” ha commentato uno degli operai.
in copertina foto di Stefano Colombo
Abbiamo visitato il presidio di via Toffetti e i lavoratori sembravano ottimisti. “I risultati li abbiamo ottenuti,” ha commentato uno degli operai.
Questa mattina alle 6:30 è ricominciato lo sciopero dei fattorini Amazon, di nuovo fermi negli impianti di Origgio, a via Toffetti a Milano e in via dell’artigianato a Buccinasco, per chiedere migliori condizioni di lavoro e orari più umani. Abbiamo visitato il presidio di via Toffetti intorno all’ora di pranzo, e i lavoratori sembravano ottimisti. “I risultati li abbiamo ottenuti,” ha commentato uno degli operai.
I fattorini, in realtà, non lavorano tecnicamente per Amazon. L’azienda di Jeff Bezos infatti ha cercato di gestire l’espansione sempre più rapida in Europa e in Italia subappaltando le consegne dei pacchi a varie ditte che operano sul territorio. Questo si è tradotto nella frantumazione della filiera, e in un “continuo spostamento di rotte da un’azienda all’altra, che portano al costante travaso di personale senza le dovute garanzie ed un vero coinvolgimento del sindacato,” spiega CGIL.
Senza garanzie, e sempre spostati tra aziende, gli operai si trovano in condizioni sempre più fragili, “oggi un driver di Amazon consegna circa il doppio dei pacchi di un collega che opera per i principali player della logistica” — questo vuol dire più multe, che gravano sul lavoratore, ma anche più incidenti.
Per l’azienda di Seattle, che ha fatto della velocità di consegna la parte più importante del proprio brand, le condizioni degli operai addetti alle consegne dovrebbero essere molto più care: perché è proprio attraverso le consegne che i clienti “interagiscono” con il marchio nel mondo reale.
Ma mentre in Europa continua stato per stato il braccio di ferro per i diritti dei lavoratori, sia negli stabilimenti che nel trasporto, i lavori dell’azienda negli Stati Uniti, dove ha una filiera molto più organizzata evidenziano un chiaro interesse nel tenere ancora più lontano lo sguardo del cliente dal lavoro “umano” che rende possibile la magia della consegna rapidissima — dalla consegna in automobile alla consegna in casa vuota, fino ovviamente ai piani futuribili di consegnare pacchi con droni.
In Italia, Amazon è impegnato in problemi più mondani, come la scadenza datagli dal garante per le comunicazioni per iscriversi all’albo degli operatori postali. L’azienda era stata multata a inizio agosto per 300 mila euro, “per aver esercitato attività postale senza la previa autorizzazione.” Su questo fronte indiscrezioni raccolte da Luca Zorloni di Wired dicono che l’azienda non intenderebbe fare ricorso, e avrebbe accettato di iscriversi al registro — cosa che la costringerebbe a inquadrare i lavoratori in contratti del settore postale.
Il progressivo — seppur criminalmente lento — miglioramento delle condizioni di lavoro per i dipendenti Amazon è una storia che continua da mesi ai margini degli stunt pubblicitari dell’azienda e del suo fondatore. Particolarmente importante per il mercato europeo è stato il risultato eccezionale di Filt Cgil, che lo scorso maggio è riuscita a trovare un’intesa sindacale per risolvere la situazione dei driver della Sail Post di Origgio (Varese), dove sistematicamente si faceva uso di part time e si sforava l’orario di lavoro, toccando anche le 15 ore. L’accordo, ottenuto dopo lo sciopero degli operai del trasporto e voluto direttamente da Amazon, è un primo passo verso una progressiva normalizzazione dei dipendenti.
Jeff Bezos è parte del numeroso club dei miliardari illuminati statunitensi contrari all’organizzazione dei propri dipendenti in sindacati. Ma se negli Stati Uniti è riuscito nell’impresa malevola di impedire ai propri dipendenti di organizzarsi, in Europa deve necessariamente incontrarsi con realtà già radicate, e con lavoratori che sono in grado di coordinarsi per fermare la distribuzione. Dopo 24 anni, e con la pervasività sempre crescente, e quasi monopolistica, di Amazon, il lobbismo anti–tasse e le condizioni impossibili dei lavoratori sono diventati argomenti a cui l’azienda non può più sfuggire, almeno di fronte all’opinione pubblica.
Non siamo ancora di fronte a scenari di veri e propri “scioperi internazionali,” ma negli scorsi mesi primi segnali di cooperazione tra lavoratori in Spagna, Germania, Italia e Polonia, come nel corso dello scorso Prime Day del 16 luglio, aprono a scenari in cui i lavoratori possano rispondere ad armi pari anche contro datori di lavoro multinazionali.
Un’unione ancora più importante se si pensa che Bezos vorrebbe imporsi anche a livello ideologico come perno dell’economia internazionale, o almeno di quella statunitense. L’estrema pervasività dei suoi affari lo portano spesso a commentare e agire su argomenti che non hanno strettamente a che fare con le consegne e le vendite online — basti pensare alla sua ultima iniziativa, lanciata ieri: creare per beneficenza una scuola in cui i bambini siano “i clienti.” Davanti a un simile approccio al mondo di oggi, anche la resistenza deve essere ugualmente pervasiva.
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