Minniti è il perfetto simbolo di un Partito democratico che ha completamente perso la bussola

Perché ascoltare ancora le proposte dell’ex ministro dell’Interno, che non sono servite a nulla se non a spostare ancora più a destra il discorso politico italiano?

Minniti è il perfetto simbolo di un Partito democratico che ha completamente perso la bussola

Perché ascoltare ancora le proposte dell’ex ministro dell’Interno, che non sono servite a nulla se non a spostare ancora più a destra il discorso politico italiano?

L’anno scorso Marco Minniti era venuto a Milano da Ministro dell’interno, e la sua performance alla Festa dell’unità cittadina era stata perfettamente in linea con la sua politica securitaria e ammiccante alla destra, con tanto di attacchi alle ONG e sproloqui sui propri interventi in Libia e “in Africa.”

Quest’anno al Viminale siede un inquilino persino più pericoloso, e Minniti è tornato a essere un semplice parlamentare democratico — anche se la sua notorietà è aumentata in modo notevole rispetto a prima della sua nomina a ministro, alla fine del 2016. Questa popolarità gli ha consentito di essere invitato anche alla Festa dell’unità meneghina di quest’anno, sulle rive della Darsena. La piazza  e l’intero quartiere sono completamente militarizzati: le camionette di polizia e carabinieri arrivano fino a Porta Genova, con un gran numero di agenti in borghese che stazionano un po’ impalati davanti alle bancarelle dei panzerotti fritti.

L’incontro ha un titolo che già è un manifesto: “La sicurezza è di sinistra.” Vicino a lui, sul palco, c’è anche la vicesindaca e assessora alla sicurezza del Comune di Milano, Anna Scavuzzo, molto soddisfatta di sedersi accanto al campione della presunta sinistra securitaria italiana. Si comincia e il primo tema del dibattito è una costante della retorica minnitiana degli ultimi mesi, ma non molto della sinistra classica: la paura.

Secondo Minniti il Pd ha perso anche perché non ha saputo dare risposta a due sentimenti chiave dei cittadini: la rabbia e, appunto, la paura. La sinistra, come la immagina l’ex Ministro dell’interno, deve rispondere in modo soddisfacente alla paura dei cittadini prima che lo faccia la destra.

Detto così, il ragionamento sembra avere anche un suo senso logico: togliere spazio al nemico, arrivando prima di lui. Ci sono, però, alcuni problemi, innanzitutto di tipo strettamente logico: il ragionamento di Minniti è costruito su basi sbagliate — addirittura ignora del tutto un nodo fondamentale, rendendolo di fatto infondato. Questo passaggio è la fondatezza della paura della “gente” — sottinteso, la paura che ha per oggetto i migranti. Minniti, infatti, parte dal presupposto che bisogna comportarsi come se la paura dei cittadini fosse giustificata e naturalmente radicata. Secondo l’ex ministro dell’interno, “se una persona ha paura, non gliela faccio passare spiegandogli che è ingiustificata, visto che i crimini in Italia sono in calo da anni.

A Minniti insomma non importa che la paura dei cittadini non solo sia sfruttata dalla destra, ma anche costruita e fomentata da quella parte politica. Mai come in questo momento storico, forse, è stato più chiaro che il razzismo e la xenofobia possono essere consapevolmente montati e plasmati per i propri scopi politici. Scegliere di provare a disarmare la destra sul suo terreno è molto pericoloso, perché si va a giocare in casa sua, lasciandole di fatto dettare le regole e il confine del discorso.

La teoria politica di Minniti — che è stata poi messa in pratica sulla pelle di migliaia di migranti innocenti e che si è rivelata peraltro fallimentare alla prova elettorale — consiste insomma nel dare un contentino a una parte della popolazione che si suppone maggioritaria, non curandosi di essere in malafede rispetto alle proprie stesse conoscenze e convinzioni, mostrando di non avere alcun rispetto per il paese e l’opinione pubblica, trattati come dei bambocci con poca capacità di giudizio a cui bisogna dare in pasto la versione annacquata della minestra del giorno prima che lo faccia qualcun altro.

La difesa a oltranza di questa argomentazione, in cui Minniti si produce dal palco e come si è prodotto negli ultimi mesi, a volte dà dei risultati comici quando si cerca di fare esempi concreti con cui provare a puntellarne la logica precaria. Ad esempio, dopo una tirata securitaria contro gli spacciatori che “vendono morte ai nostri figli,” si parla di sicurezza urbana: “La differenza tra la sinistra e la destra è che per noi la piazza più sicura è quella più vissuta. Questa è la differenza con la destra, che invece vuol far stare in casa la gente.”

Inoltre, e questo dovrebbe essere chiaro ormai in tutta Europa, inseguire le destre sull’immigrazione contribuisce soltanto ad alimentare una retorica sempre più violenta e razzista: anche a voler essere cinici, facendo così non si vince. Quando gli elettori alle urne devono scegliere se votare la destra originale o la sinistra camuffata da destra, sceglie la prima. È un tema che abbiamo affrontato spesso: la paura non si vince alimentandola, ma proponendo un’altra idea di società, che non faccia leva sulla xenofobia.

Dal palco, Minniti attacca spesso Salvini, ma sempre da destra:

  • Asserisce che “da italiano non perdonerò mai chi ha consentito che una nave italiana venisse accolta in un porto italiano come una nave straniera, a proposito di prima gli italiani”;
  • Si vanta del fatto che durante il proprio ministero venissero rimpatriati in media più migranti rispetto ai primi mesi di ministero Salvini — il quale, come Minniti fa notare, ieri ha dichiarato che a questo ritmo per fare tutti i rimpatri del caso ci vorrebbero ottant’anni — visto che “noi siamo quelli che fanno le cose”;
  • Elogia il proprio operato in Libia — dando a intendere di ritenere la politica salviniana a riguardo come semidilettantesca — raccontando di quella volta in cui “settanta persone” tra cui “tuareg testimoni” e “capi tribù libiche” si presentarono al Viminale per discutere di una tregua che in Libia evidentemente non si riusciva a raggiungere, e che alla fine venne trovata grazie alla mediazione del granitico Ministro dell’interno, e ora quelle tribù non pensano più a Roma come “al maresciallo Graziani” ma a quelli che hanno reso possibile questa pace (???).
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Lasciano sconcertati in particolare i riferimenti di Minniti alla propria presunta conoscenza delle dinamiche africane e di come trattarle, con ammiccamenti che sarebbe riduttivo definire neocoloniali, visto che sembrano coloniali e basta. Tutto questo tra gli applausi garbati della platea Pd, che sembra essere ben supportiva del proprio ex ministro, per quanto con meno calore rispetto all’accoglienza da superstar dell’anno scorso. In un anno, ormai, questi discorsi sono stati così digeriti e il modo di pensare del militante di centrosinistra medio così spostato a destra che non c’è motivo né di esultare né di insultare davanti a posizioni politiche simili. E questo è di per sé un fatto gravissimo.

Alla fine del dibattito siamo colpiti dal dubbio che Minniti abbia una coscienza ideologica ben strutturata, se non proprio fascista, almeno rossobruna  — insomma, che sappia benissimo di essere di destra — e si diverta un mondo a fingersi di sinistra davanti a plaudenti platee Pd. Per la precisione questo dubbio ci coglie quando chiude il dibattito sostenendo di sperare di essersi guadagnato “dignità e onore” servendo il proprio paese. Poi, l’ex ministro dell’interno se ne va su un’auto di rappresentanza che lo attende poco fuori. In pratica, un troll.

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