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La proposta di legge depositata dall’onorevole leghista Barbara Saltamartini lo scorso 28 marzo sembra uscita da una fanfiction sui Patti lateranensi.

Ieri, alcune testate, come l’Espresso e Fanpage, hanno portato a galla una proposta della Lega passata finora in sordina: rendere legalmente obbligatoria l’esposizione del crocifisso nelle scuole e più in generale in tutti gli uffici pubblici, pena una sanzione dai 500 ai 1000 euro, da comminare anche a chi lo vilipende. La proposta di legge, che sembra uscita da una fanfiction sui Patti lateranensi, è stata depositata dall’onorevole leghista Barbara Saltamartini lo scorso 28 marzo.

La proposta è rimasta in secondo piano rispetto ad alcuni titoli provenienti dalla Lega che hanno dominato i giornali ieri, come il pasticcio sulla Crimea, ma è comunque più che rilevante. Secondo i commentatori dell’Espresso, questa iniziativa si inserisce nella linea di adesione agli ideali cattolici più sbandierati e conservatori, gli stessi che hanno portato Matteo Salvini a giurare teatralmente sul vangelo pochi giorni prima delle elezioni e a esibirsi in pubblico con un rosario — mosse che, a quanto pare, sono state ripagate alle urne. In questo progetto, che rappresenta una versione politicizzata di fondamentalismo cattolico, i crocifissi andrebbero esposti anche nei porti, in quanto luoghi pubblici, “in posizione ben visibile:” quegli stessi porti in cui sbarcano decine di rifugiati in fuga dalla guerra e dalla miseria, e che sono in maggioranza musulmani, a mo’ di benvenuto.

La Lega di Salvini non ha tirato fuori niente di nuovo, va detto: quella dell’ostentazione del crocifisso è un punto fermo della politica — e della propaganda della destra e del centrodestra nell’ultimo secolo di storia italiana.

Già ora, per la verità, il crocifisso è appeso nella grande maggioranza delle scuole italiane. La questione è regolamentata principalmente da alcuni regolamenti risalenti addirittura prima dei Patti lateranensi del 1929, in cui Stato italiano e Chiesa cattolica regolarono la reciproca convivenza.

Non è difficile tracciare una storia del crocifisso nelle scuole italiane. In particolare, l’esposizione del crocifisso è ancora regolata da due circolari, la prima delle quali emessa il 22 novembre 1922 — solo un mese dopo la marcia su Roma — in cui si invitava le scuole a riappendere il ritratto del re Vittorio Emanuele III e il crocifisso, che “in questi ultimi anni, in molte scuole del regno sono stati tolti.” La seconda circolare, datata 8 aprile 1923, ribadisce in sostanza quanto stabilito da quella precedente. Sono, appunto circolari, che per quanto siano ancora in vigore a livello amministrativo non hanno e non hanno mai avuto forza di legge.

I Patti lateranensi vengono spesso citati come l’origine dell’affissione del crocifisso nelle scuole ma non hanno modificato, in realtà, lo stato delle cose — così come non lo hanno fatto i successivi 15 anni di regime fascista e 70 anni di Repubblica.

Ci sono state, però, due fondamentali sentenze del Consiglio di Stato — uno dei massimi organi della Repubblica, che ha il compito di garantire la legalità della pubblica amministrazione — che hanno di fatto lasciato le cose fisse nello status quo, e i crocifissi appese alle pareti delle aule.

La prima risale al 1988, e conferma che i due Regi Decreti sono ancora in validi e in vigore. In particolare, specifica che “rappresenta il simbolo della civiltà e della cultura cristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da specifica confessione religiosa”. Questo tipo di motivazioni, è tra le più frequenti di chi respinge i tentativi di rimozione giuridica del crocifisso. Quella del 2006 è esattamente sullo stesso solco e deriva da un caso più interessante, risalente al 2002: Soile Lautsi, una finlandese residente in provincia di Padova, si rivolse al TAR del Veneto per chiedere la rimozione del crocifisso dall’aula dei figli. Dopo un rimpallo di responsabilità e la sentenza del 2006 la questione finì in mano alla Corte europea per i diritti dell’uomo.

All’inizio, la Corte diede ragione alla signora Lautsi, condannando lo stato italiano a versarle 5.000 euro — non essendo la corte in potere di prendere provvedimenti legislativi. Il governo Berlusconi però fece ricorso, e alla fine ebbe ragione: con la sentenza definitiva — arrivata nel 2011: ben nove anni dopo l’inizio dei procedimenti — i crocifissi rimasero al loro posto e la signora Lautsi non ebbe i suoi 5.000 euro. In quell’occasione, sulla prestigiosa testata inglese the Guardian, uscì un articolo che asseriva come questo lassismo della Corte nel difendere un diritto umano — il diritto a un’educazione non religiosa — potesse costituire un precedente pericoloso. Questo articolo suona tristemente profetico a rileggerlo oggi, in un’Unione Europea dove il premier ungherese Orban pretende di presentarsi come “difensore dei valori cristiani” nel continente, vessando chiunque non la pensi come lui sull’accoglienza o la tolleranza del diverso e del dissenso.

Quello che è universale in tutta Europa, come già accennato, è il progressivo ma sempre più forte ancorarsi a simboli religiosi cristiani per rimarcare la propria diversità dall’ondata migratoria, dipinta come insostenibile, proveniente dai paesi più poveri del globo. Il dibattito italiano sul crocifisso nel dopoguerra è ruotato fondamentalmente intorno all’approvazione o al rigetto di una posizione conservatrice: un gruppo di potere come la Chiesa cattolica — supportato per convenienza o effettiva fede da varie forze politiche — veniva accusato di intromettersi nel principio della laicità dello stato, per difendere i propri interessi.

Oggi invece il crocifisso è usato in primo luogo dalla politica, in particolare dalla Lega di Salvini, come arma contro chi è diverso. Mettere il crocifisso in bella mostra nei porti italiani, tra cui quelli di attracco dei migranti, è una misura offensiva verso queste persone come tante altre proposte o politiche già messe in atto da questo governo. Una mossa che non ha niente a che fare coi valori cattolici tanto sbandierati quanto non applicati, e nemmeno con la Chiesa cattolica, ma piuttosto con la costruzione premeditata e inesorabile di un sistema di potere fondato sulla xenofobia.


in copertina: grab via YouTube (alterato)

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