L’1 giugno scorso è uscito il primo album dei Figùra, Place to be. Probabilmente non li conoscete ancora. Di sicuro c’è che adesso non avete più scuse per non ascoltarli.
Place to be è un disco che mischia educatamente generi distanti come il jazz e l’hip hop. Il risultato sono undici tracce dolci che uniscono suoni e voci internazionali in un album da portarsi nelle orecchie tutta l’estate.
Venerdì 29 giugno i Figùra hanno presentato Place to be in Santeria Social Club a Milano, qualche giorno dopo li abbiamo intercettati per una chiacchierata sull’album.
Citando Stanis La Rochelle, il personaggio di Boris, mi verrebbe da dire “thank you for being so not italian.” In effetti il vostro è un album dal respiro internazionale, in alcuni pezzi ci sento un sacco Kaytranada ma anche qualcosa dell’ultimo album di Santii. A cosa è dovuto questo sound? È frutto di ascolti che hanno segnato particolarmente la vostra vita? Di esperienze all’estero? Parlatecene un po’.
Questa storia che non suoniamo tipicamente “italiani” ci piace un sacco. Diciamo che è quello a cui puntavamo con questo disco. Gran parte della musica che gira oggi in Italia non ci rispecchia affatto, quindi grazie. Sicuramente Kaytranada come Glasper, Terrace Martin, Dilla e tanti altri fanno parte della nostra formazione. Il punto è che questi artisti hanno alzato l’asticella della produzione classica Hip Hop portandola ad un livello più alto grazie all’aggiunta di armonie più ricercate e complesse. Questa roba piace al jazzista più standard così come all’hip hop head più agguerrita. Questo è il punto forte di questa cosa.
Place to be è pubblicato da InchPerSecond, etichetta metà israeliana e metà tedesca. Come si sono incrociate le vostre strade?
Noi volevamo uscire in Italia ad ogni costo, portare queste vibes in mezzo al “bel canto” e rivendicare la paternità di questa cosa. Dozzine di etichette italiane hanno scartato la nostra proposta musicale, per poi farci i complimenti appena usciti col disco. InchPerSecond è arrivata in un momento in cui stavamo valutando diverse proposte da Los Angeles e dal nord Europa. La loro offerta si sposava benissimo con quelli che erano i nostri presupposti. Ad oggi possiamo ritenerci soddisfatti del lavoro svolto dai ragazzi della label, esempio per chiunque voglia pubblicare musica indipendente senza scendere a compromessi.
Il disco è ricco di collaborazioni eccellenti, per lo più internazionali (Maro, Yancey Boys, Melodiesinfonie) ma anche italiane (Ainè). C’è un fil rouge che le collega? Come avete scelto gli artisti con cui lavorare?
Le collaborazioni nascono spontaneamente e sono frutto del rispetto guadagnato durante i nostri percorsi individuali. Quando sei cosciente di avere un disco musicalmente valido bisogna prestare la giusta attenzione alla scelta dei featuring. Maro, ad esempio, crediamo sia realmente destinata a diventare un’icona della musica mondiale.
Com’è avvenuta la fase di scrittura del disco? Voi tre, ho letto, provenite da percorsi musicali e artistici molto diversi.
Assolutamente diversi. Emanuele ed Alessandro vengono da un percorso di studi musicali Jazz ed una componente live prettamente turnistica. Francesco viene da una lunga trafila nel circuito hip hop italiano come produttore, DJ ed MC. Questa domanda possiamo ricollegarla alla prima se pensiamo che la produzione classica Hip Hop fa del diggin’ il suo punto forte: si campiona tanta musica, soprattutto black. Nel momento in cui Alsogood trova l’apporto di due jazzisti che suonano certe cose da anni diventa tutto più facile e divertente. Niente di più bello.
Immagino che, prima o poi, porterete Place to be anche all’estero.
All’estero il disco ha avuto dei feedback eccezionali, anche da musicisti di alto livello. Stiamo lavorando per riuscire a portare fisicamente il disco fuori dal nostro paese, sarebbe una bomba.
In Italia invece com’è stata l’accoglienza?
In Italia la situazione è altrettanto difficile. Trovare slot adatti a questa musica lí dove le line-up e le proposte risultano uguali un po’ dappertutto è complicato. È ovvio che ci sono anche tante realtà che provano a spingere situazioni di questo tipo, un certo tipo di hip hop elegante ed educato. A loro tutto il nostro amore.
Se doveste indicarmi tre album fondamentali che vi hanno ispirati artisticamente cosa mi suggerireste di ascoltare?
Francesco: Pino Daniele di Pino Daniele, Sempre piú vicini dei Casino Royale e Madvillainy dei Madvillain.
Emanuele: Sunlight di Herbie Hancock, Heritage di Lionel Loueke e Green Twins di Nick Hakim.
Alessandro: In Rainbows dei Radiohead, Until the Quiet Comes di Flying Lotus e The Awakening di Ahmad Jamal.
A che concerti andrete quest’estate o a quali vorreste andare?
I concerti a cui volevamo andare mi sa che li abbiamo già persi o ce li perderemo. R+R =NOW al Locus, Quincy Jones all’Umbria Jazz e Anderson Paak a Milano.
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