Minima teatro: fare teatro in periferia
Gli enti e le associazioni di Crescenzago hanno cercato di contrastare i rischi di frammentazione sociale, abbattendo le difficoltà che sembrano allontanare gli abitanti tra loro. È il caso di Minima Teatro.
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Gli enti e le associazioni di Crescenzago hanno cercato di contrastare i rischi di frammentazione sociale, abbattendo le difficoltà che sembrano allontanare gli abitanti tra loro. È il caso di Minima Teatro.
Crescenzago è un quartiere dalle mille sfaccettature, variegato e complesso. Le persone che ci abitano spesso incorrono in difficoltà di comunicazione: col clima di xenofobia sempre più greve in tutto il paese, le differenze culturali anziché diventare un fattore di ricchezza rischiano di rendere più difficili i rapporti tra le persone di origini diverse.
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A risentirne maggiormente sono i più piccoli che rischiano di ritrovarsi isolati in contesti fondamentali per la loro crescita: per esempio, a scuola.
Gli enti e le associazioni del quartiere hanno cercato di contrastare i rischi di frammentazione sociale, organizzando attività con l’obiettivo di favorire la convivenza, abbattendo le difficoltà che sembrano allontanare gli abitanti tra loro. È il caso di Minima Teatro.
Il laboratorio teatrale di Minima Teatro nasce sette anni fa, in una piccola aula scolastica nei pressi di piazza Piola, nella zona nordest di Milano: oggi ha aperto laboratori teatrali anche a Crescenzago e al Quartiere Adriano. Abbiamo incontrato Davide Rustioni, uno degli ideatori del progetto, che ci ha spiegato come il laboratorio di teatro ha aiutato negli anni gli abitanti dei quartieri a sviluppare una forma di comunicazione altrimenti assente, superando le differenze linguistiche e culturali che li separavano.
Davide, quando è nato il laboratorio teatrale e in che modo si è poi sviluppato il progetto?
L’idea del laboratorio è nata poco tempo dopo la creazione di Minima Teatro, ideata nel 2009. L’anno dopo pensavamo già di entrare nelle scuole. Per la realizzazione del progetto siamo partiti dalle zone che conoscevamo già: quartiere Adriano e Crescenzago. Inizialmente ci siamo appoggiati all’istituto di via San Mamete, quartiere Adriano, che è il mio quartiere di nascita, poi ci siamo allargati fino all’istituto di via Bottego a Crescenzago. Le due scuole fanno parte dello stesso plesso. Questo è avvenuto tra il 2010 e il 2011 circa.
A chi si rivolge il laboratorio?
Ci piace vedere il teatro come un gioco che metta alla prova le persone, per questo abbiamo voluto portarlo all’interno delle scuole e indirizzarlo ai bambini. Abbiamo anche un laboratorio dedicato agli adulti, ma l’idea di poter avvicinare il teatro ai più piccoli è stata quella che ci ha spinti alla creazione del progetto. I bambini che partecipano ai nostri corsi hanno dai sei ai dieci anni, dalla prima alla quinta elementare. All’inizio il corso era unico, comprendeva tutte le età. Oggi teniamo due corsi distinti, suddivisi in primo e secondo ciclo, in entrambe le scuole. Nonostante ciò, i due istituti presentano numerose differenze.
Di che differenze si tratta?
La partecipazione degli insegnanti è diversa. In quartiere Adriano i docenti sono partecipi, assistono ai lavori finali, ai saggi, per il piacere di vedere i propri alunni all’opera. È un’attività più inclusiva nonostante si tratti di un laboratorio extrascolastico. A Crescenzago invece questo non avviene, è diverso, il corso teatrale è visto come un’attività limite, diciamo.
Come sono strutturate le attività teatrali nello specifico?
Il corso dura due ore una volta alla settimana, di cui un’ora abbondante dedicata all’attività effettiva, il resto del tempo viene utilizzato per i preparativi e uno stacco durante il quale i bambini fanno merenda. la caratteristica didattica e pedagogica del gioco teatrale è centrale: nei primi due anni ci si focalizza sul lavoro nello spazio, che prevede tanta attività di gruppo; negli altri tre anni invece il lavoro è improntato più sull’improvvisazione e lo studio dei personaggi, anche in questo caso in maniera giocosa. Il lavoro di gruppo rimane una componente fondamentale per noi, sempre.
Il corso prevede un minimo di sei bambini, cosa ormai rara a dire il vero, e un massimo di sedici o diciotto. Il numero può variare a seconda delle caratteristiche dei bambini stessi: nel caso in cui partecipino bambini con specificità particolari riduciamo il numero per permettere loro di lavorare al meglio, al contrario se i bambini non presentano difficoltà specifiche riusciamo ad arrivare a diciotto. All’interno di ogni singola scuola sono presenti tra i 30 e i 34 bambini.
Sapresti descrivere il contesto sociale in cui il laboratorio opera?
Si tratta di due quartieri molto diversi tra loro. Nel quartiere di Crescenzago abbiamo sempre riscontrato delle difficoltà ad entrare nelle attività extrascolastiche, perché gli abitanti ne prediligono altre: il catechismo per esempio è molto presente all’interno della comunità e porta via una fetta consistente di tempo, lo stesso vale per gli sport di ogni genere. I bambini di Crescenzago sono per la maggior parte stranieri: in alcuni casi purtroppo abbiamo avuto difficoltà non indifferenti a comunicare, tanto poco conoscevano la lingua italiana. Anche i genitori non riuscivano sempre ad essere d’aiuto, perché spesso si trovavano nelle stesse condizioni. Quartiere Adriano invece è un altro tipo di contesto sociale: abbiamo riscontrato un maggior numero di partecipanti, nonostante anche qui ci siano bambini stranieri e siano quindi presenti difficoltà relative alla lingua. Nel complesso è un ambiente piuttosto variegato.
Che tipo di rapporto si è creato tra insegnanti e partecipanti?
Il teatro è un’attività che richiede soprattutto l’utilizzo del linguaggio corporeo: per i bambini di quell’età il contatto fisico con gli altri è fondamentale. Le difficoltà spesso sono legate alla comprensione delle regole all’interno del singolo gioco. Gli esercizi vengono svolti attraverso l’imitazione, l’insegnante lavora in prima persona accanto ai bambini, forse un po’ di più rispetto ad altre situazioni. Il processo di imitazione è ciò che induce il bambino a lavorare. La vera difficoltà sta nel riuscire a creare un primo approccio, non tanto con il bambino quanto con il genitore. Risulta difficoltoso spiegare le regole del corso, anche solo semplicemente quello che serve — un tipo di abbigliamento comodo per esempio. Comunque siamo sempre riusciti a comunicare, piano piano, con qualche sforzo.
In tutti questi anni abbiamo avuto un solo caso non andato a buon fine. Si è trattato di un bambino che presentava delle difficoltà linguistiche e di altro tipo che hanno portato ad una totale incomprensione con l’insegnante e il gruppo. Purtroppo il bambino non è riuscito a trovare un ambiente che fosse congeniale e sereno. Dopo diversi tentativi abbiamo convenuto con i genitori che non era il caso di continuare. Il confronto è stato possibile grazie all’aiuto del fratello maggiore, un ragazzo di sedici anni che sapeva l’italiano molto bene. Questo è stato l’unico caso in tutti questi anni — si tratta quindi di una percentuale irrisoria. Il teatro in genere spinge alla creazione di una coesione tra bambini, anche laddove sono presenti delle difficoltà o incomprensioni legate alla lingua. Alcuni genitori ci hanno messi in guardia circa i loro figli, definendoli “agitati”, ma in genere sono proprio quei bambini invece ad essere più collaborativi all’interno del gruppo, perché hanno un’energia vitale alta, grande. Quando sono in classe, costretti dietro un banco, ne soffrono; all’interno delle attività e delle dinamiche di gruppo invece si trovano molto bene, sono solo da indirizzare e non da contenere. Il teatro è fatto anche di libertà.
Come si relazionano i partecipanti, i bambini e i loro genitori, rispetto al contesto in cui vivono?
Il gruppo classe, in questo senso, ha un ruolo fondamentale e man mano che i bambini crescono aiuta tantissimo. Quello che ho visto tante volte è che i bambini piccoli, di prima o di seconda elementare, con genitori stranieri, sono molto isolati. Se riescono ad interagire è perché creano un loro gruppo, si ritrovano tra di loro, nel loro contesto culturale, altrimenti fanno fatica ad integrarsi. Crescendo, riescono poi a creare delle amicizie all’interno della classe e la mancata integrazione si allenta. Spesso anche i genitori soffrono della stessa forma di isolamento. In prima elementare molti di loro vedono la scuola come un mezzo, un luogo in cui “parcheggiare” il bambino mentre il genitore è al lavoro, e in un certo senso perde la sua funzione educativa. Il nostro laboratorio aiuta a modificare questa visione perché da la possibilità di svolgere attività formative a basso prezzo all’interno di quello che è il contesto di vita sia del genitore sia del bambino.
Col passare del tempo poi questo fenomeno dell’isolamento cambia. I primi due anni sono quelli critici per chi arriva. Non intendo per forza chi è culturalmente straniero, ma anche chi si è trasferito da un altro quartiere della città. Queste persone si ritrovano ad essere molto isolate perché di fatto esistono dei piccoli gruppi in cui è difficile entrare a far parte.
Siete riusciti ad intervenire in qualche modo per rimediare a questo fenomeno?
Organizziamo delle attività aggregative al di fuori del laboratorio, in un contesto diverso da quello scolastico. Ne è un esempio la rassegna di favole e racconti per bambini all’interno di Minima Teatro che si tiene una volta al mese. Inoltre quest’anno, per la prima volta, abbiamo lavorato alla creazione di un percorso all’interno del Piccolo Teatro, una caccia al tesoro. L’iniziativa era gratuita e ciò ha permesso a chiunque volesse, indipendentemente dalle proprie tasche, di partecipare. È stata un’attività di forte impatto aggregativo. Speriamo di poter ripetere questa esperienza anche i prossimi anni.
Per quanto riguarda i genitori noi possiamo fare poco, non abbiamo in mano la situazione. Quello che cerchiamo di fare con i bambini è creare un gruppo coeso che possa lavorare insieme. Questi piccoli momenti di condivisione danno la possibilità di partecipare ad attività che vanno oltre il singolo corso, e ciò permette la creazione di punti di aggregazione. Ricordo un’altra iniziativa molto utile: qualche anno fa un bambino che aveva completato l’intero percorso teatrale con noi, poté partecipare ad un campus estivo di una settimana intera con altri bambini. Anche in questo caso si rivelò un’attività dal carattere decisamente aggregativo.
Il teatro è prima di tutto comunicazione. Più si cresce più la società impone dei ruoli, delle strutture, quelle che possiamo chiamare delle maschere. Queste strutture creano a loro volta dei muri che non consentono di esprimersi liberamente. Il teatro è un luogo dove imparare a liberare quella parte di sé normalmente celata. Prima di farlo però è necessario aprire la porta: a se stessi, all’altro, alle emozioni.
Ricordi episodi particolarmente positivi o negativi?
Vediamo il positivo ogni fine anno, al momento dei lavori finali, nonostante i gruppi siano sempre molto vari, con difficoltà o no. Quest’anno in particolare un insegnante si è trovata a dover gestire un gruppo molto difficile nel quartiere di Crescenzago, un gruppo piccolo ma complesso perché i bambini avevano difficoltà a fare gruppo tra di loro. Inaspettatamente, al momento del lavoro finale e dell’incontro con i genitori, i bambini hanno dimostrato di aver portato a casa qualcosa di positivo, hanno detto chiaramente quanto sia stata divertente e piacevole come esperienza. È stato bello anche vedere i genitori chiacchierare tra di loro e ringraziare l’educatrice. Lasciare qualcosa ai bambini e dare qualcosa ai genitori è la parte bella dell’esperienza del teatro. Questo succede tutti gli anni per fortuna, sono sempre dei bei momenti. È un pensiero condiviso da tutti gli insegnanti.
Mi hai detto che Quartiere Adriano è il tuo quartiere di nascita. Come è cambiato nel corso del tempo?
Ci sono stati tanti cambiamenti. Quando ero alle elementari, c’erano solo un campo con le pecore e un circuito di motocross, adesso invece ci sono delle case e un supermercato Esselunga. Era un grosso quartiere di estrema periferia dove arrivava un solo autobus, ma col passare del tempo è cresciuto. A livello di servizi offre poco, mancano ancora molte infrastrutture necessarie — come la scuola media. Per adesso è un quartiere con un bel parco, una bella area verde, e tre scuole materne. C’è un mondo per i bambini molto valido secondo me ma per gli adulti e gli adolescenti non c’è ancora molto. L’oratorio gioca un ruolo fondamentale per la crescita e la formazione dei bambini — i ragazzi vanno ancora in piazzetta, mi sembra che questa cosa a Milano si stia un po’ perdendo.
Per concludere, parlami di Minima Teatro.
Minima teatro è un’associazione che esiste da sette anni a Milano e da sei anche a Brescia. Teniamo dei corsi di teatro dedicati agli adulti e lavoriamo sul territorio con i bambini. Abbiamo anche dei corsi di teatro per bambini al di fuori delle scuole, i ragazzi delle medie per esempio vengono da noi — la sede è in viale Sondrio.
La nostra attività principale è teatro fisico: il corpo è il punto principale della nostra comunicazione. La nostra non è una scuola di recitazione ma una scuola di teatro, cerchiamo di distinguere le due cose: la recitazione è semplicemente la ripetizione di un testo, il teatro è una disciplina che ti porta ad essere vivo e quindi ad ampliare la tua percezione di te, con te stesso, con gli altri e nello spazio che poi viene usato anche chiaramente teatralmente.
In concreto cosa significa, nel lavoro che portate avanti?
Per esprimere questo modo di fare teatro usiamo sempre la filosofia delle tre C: cuore, la parte emotiva, mettere tutto te stesso perché queste cose non possono essere fatte in punta di piedi. Coraggio, perché bisogna avere il coraggio di farlo, anche se si sbaglia. non importa, va benissimo, il teatro è anche il luogo dove ci si può permettere di sbagliare perché nessuno giudica. In ultimo la creatività, avere fantasia e spaziare dal quotidiano alla cosa più assurda che si possa immaginare, sia attraverso l’improvvisazione sia trovando dentro di sé quel qualcosa che non ci si è mai permessi di dire. Il teatro è così: essere se stessi all’ennesima potenza.