Insegnare la lingua non basta: come si costruisce una rete sociale per i migranti

Se le condizioni dei campi ufficiali sono tutt’altro che rosee, la tanto decantata “integrazione” culturale e sociale si limita a dei corsi di lingua.

Insegnare la lingua non basta: come si costruisce una rete sociale per i migranti

Se le condizioni dei campi ufficiali sono tutt’altro che rosee, la tanto decantata “integrazione” culturale e sociale si limita a dei corsi di lingua.

Se in Italia, nonostante la fine della campagna elettorale, le polemiche sui migranti non accennano a scemare, la situazione oltralpe non è per forza migliore. Quel che succede lungo il confine italiano è noto e della nuova legge proposta dal Governo francese abbiamo parlato di recente. In breve, la riforma che porta il nome del ministro Collomb renderà più complesso l’iter burocratico per i richiedenti asilo. Da mesi, il fronte associazionistico sta portando avanti una battaglia di sensibilizzazione di dimensioni notevoli per opporsi a tale legge.

Ma quanto è complicata la situazione per i migranti in Francia? Per farmene un’idea, guardando le cose da un altro punto di vista, sabato ho deciso di fare due chiacchiere con Alice, membro del CEEL (Collettivo per l’aiuto reciproco e gli scambi linguistici — sì in italiano suona malissimo). Questa associazione lavora, ormai da qualche anno, con stranieri presenti in Francia, fornendo loro la possibilità di migliorare il proprio francese e di creare nuovi rapporti sociali. Non si tratta di un’associazione politicizzata: lavorano più che altro sul fronte della mediazione, linguistica e culturale, fra la società civile francese e i migranti. Per tale ragione, non sono soliti prendere posizioni politiche e raramente aderiscono a manifestazioni o lotte.

Il punto di vista di questa persona mi sembra particolarmente prezioso proprio perché non si tratta del racconto di una militante. Questo dovrebbe relativizzare le eventuali critiche di ideologizzazione, che si possono fare da destra. I ragazzi del CEEL sono soprattutto studenti di lingue orientali, in molti casi giovanissimi.

Ti va di parlarci un po’ del CEEL e della sua storia?

È una storia interessante. Alcuni di noi lavoravano come volontari della Croce Rossa e in generale studiavamo (e lo facciamo ancora, in molti) lingue orientali all’INALCO [celebre università parigina di lingue orientali]. Un ragazzo di nome Arthur un giorno si è chiesto: “Ma perché devo insegnare francese a stranieri che spesso sono in Francia da anni? Possibile che non abbiano avuto modo di socializzare con nessuno?”. Similmente si è posto anche la domanda su come mai noi studenti dell’INALCO facessimo in genere i salti mortali per andare all’estero a praticare le lingue studiate, quando qui a Parigi non mancano persone che queste lingue le parlano. Così, assieme ad altre ragazze e ragazzi, ha fondato il CEEL. All’inizio abbiamo provato a creare degli scambi linguistici, volgarmente chiamati tandem. Ma la cosa non ha funzionato tanto. Da qualche anno organizziamo più che altro eventi culturali ed una volta a settimana organizziamo un incontro informale, in cui tutti possono scambiare due parole, nelle lingue che preferiscono. Organizziamo anche cene e serate, per così dire, private. L’obiettivo è permettere a chi arriva in Francia di inserirsi nel tessuto sociale, stringere delle amicizie, creare dei legami.

Chi sono le persone con cui lavorate?

Sono persone che vengono da vari paesi, dalla Cina all’Afghanistan, dal Sud Sudan al Libano, dal Marocco all’Egitto.

Che status hanno?

Per noi è importante il fatto di non chiedere lumi sul loro status giuridico. Non siamo un’associazione politica, né un’associazione che fa supporto legale. Miriamo piuttosto a creare situazioni in cui queste persone si sentano al loro agio. Informarsi sulle questioni burocratiche non aiuterebbe in questo senso. Poi, con molte persone ho stretto legami di amicizia e in molti casi ho scoperto che alcuni sono sans papier, altri hanno ottenuto lo status di rifugiati, altri ancora hanno permessi di soggiorno per motivi di lavoro. In generale, però, si tratta di persone che non vivono o non vivono più in situazioni di estrema precarietà. Questi ultimi difficilmente hanno il tempo per frequentare questo tipo di attività.

Capita che alcuni migranti si uniscano al CEEL e inizino a venire ai vostri incontri non come “fruitori”, ma come “membri dell’associazione”?

Sì, spesso. Ma soprattutto sono persone che sono in Francia da molto tempo e già parlano bene francese.

Credi che la città di Parigi, il comune, faccia abbastanza per accogliere i migranti?

Ti rispondo in maniera personale e non come membro del CEEL, perché non sono temi che discutiamo tanto tra di noi. Comunque è evidente che se il municipio, la sindaca facessero abbastanza, non avremmo sentito la necessità di creare la nostra associazione. Vengono attivati dei corsi municipali di lingua francese per i migranti — ma tutto si conclude lì. Nessuna attività gratuita è fornita per aiutare queste persone a crearsi una rete di contatti sociali. Sono lasciati soli a se stessi. E anche l’apprendimento del francese non può funzionare se non hai modo di conoscere gente e praticare la lingua. In nessuna maniera le iniziative delle amministrazioni locali possono essere considerate sufficienti.

Cosa pensi del progetto di legge Collomb?

Guarda, come ti ho detto noi non siamo un’associazione politica. In questo caso, però, abbiamo deciso di prendere posizione pubblicamente. Potendo vedere ogni giorno quanto sia difficile per i migranti appena giunti in Francia costruirsi una vita, dei rapporti sociali, ecc, crediamo che già la vecchia legge complicasse inutilmente la situazione. Queste persone vivono mesi orribili, fra asperità burocratiche in una lingua che non conoscono e una durissima precarietà di condizioni materiali. La legge Collomb non interviene positivamente, anzi va a aggravare le suddette asperità. Per questo motivo, come CEEL, anche se non siamo soliti farlo, abbiamo espresso la nostra contrarietà alla nuova legge a abbiamo aderito all’appello della BAAM.

E dei fattacci della nave Aquarius, con conseguente polemica franco-italiana, che ne pensi?

Personalmente, non posso che essere contrariata dalla decisione presa dal governo italiano. Trovo però ridicolo che il nostro Presidente Macron si stracci le vesti quando a sbagliare sono gli altri e poi pratichi espulsioni e respingimenti seguendo una filosofia non diversa da quella del vostro governo.

* * *

Quello che mi colpisce del racconto di Alice è la testimonianza della pochezza degli interventi statali e governativi sulla questione migranti. Se le condizioni dei campi ufficiali sono tutt’altro che rosee, gli iter burocratici dei veri e propri percorsi infernali, la tanto decantata “integrazione” culturale e sociale si limita a dei corsi di lingua.

Se le analisi sociologiche contemporanee e quelle politiche si impegnano spesso a parlarci dei mali del communautarisme, ovvero della tendenza delle minoranze etniche a chiudersi al resto della società, nei fatti poco si fa per facilitare ai nuovi arrivati la creazione di legami che eccedano quelli con i propri compatrioti. Ed è lodevole che dei ragazzi abbiano colto un lato del problema che spesso sfugge anche a chi lavora con spirito più militante.

Tornando alla cronaca politica, in questi mesi, a unirsi al fronte dei diritti dei migranti vi è una nuova iniziativa: la marcia di solidarietà Ventimiglia-Londra.  Si tratta di un’idea lanciata da Auberge des migrants e La Roja citoyenne: partita il 30 aprile dal confine con l’Italia, questa marcia conta di arrivare nella capitale inglese il 7 luglio, organizzando strada facendo diverse iniziative. L’obiettivo è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione ai confini e sull’assurda politica di chiusura delle frontiere.

La marcia arriva a Parigi questa domenica. Quale occasione migliore per non unirsi alla battaglia contro la Loi Collomb?

Per questo motivo, gli organizzatori hanno deciso di realizzare un corteo contro la nuova legge, cui ha aderito tutta una lunga lista di associazioni. Non posso non andare: mi armo della mia scassata reflex e mi reco a Bastille alle 16 in punto.

Trovo un drappello non troppo nutrito, che s’ingrosserà col passare dei minuti, fino a raggiungere dimensioni considerevoli. Franceinfo parla di diverse migliaia di partecipanti. Sicuramente un buon risultato.

Con poche bandiere di partito, tanti striscioni, l’onnipresente Fanfare invisible (presente davvero a tutte le manifestazioni) ad animare il percorso, la manifestazione si svolge pacifica ed arriva fino a Republique. L’atmosfera è giocosa, ma combattiva.

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La gestione del percorso, che sfila per vie centrali, sembra un po’ disinnescare la carica comunicativa dell’iniziativa. Non potrebbe essere altrimenti, ma la sensazione è quella di una sorta di prova di forza (riuscita) fra gente già convinta. Il gran numero di giornalisti presenti, garantirà senza dubbio una certa circolazione delle idee, ma se l’obiettivo era creare una sensibilizzazione tale da far recedere il governo rispetto alla proposta di legge, siamo ben lontani.

Dal palco di Republique una militante urla contro Macron. Ricordando la celebre foto del povero Aylan, spiega poi: “I governi di tutta Europa promisero che avrebbero fatto qualcosa, che avrebbero messo su una politica di accoglienza. Dov’è oggi la politica di accoglienza? Ve lo dico io, siete voi! Siete solo voi associazioni, ONG ed altro a provare a garantire che in Europa si rispettino le leggi internazionali.”

Non posso non pensare alla discussione con Alice, a come sia una piccola associazione studentesca a provare a colmare alcune lacune dello Stato francese. E non posso non pensare alla nave Aquarius, ai volontari che hanno salvato 629 vite; e al nostro governo che non ha fatto la sua parte per mero calcolo politico.


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