in copertina: Dario Bosio/DARST, Cassandra, Greta e Erik, studenti momentaneamente residenti nel social housing Luoghicomuni Sansalvario, Torino, 12/04/2018
La mostra è poco convincente, sia sotto il profilo dei contenuti che dal punto di vista estetico, ma merita una visita.
Alla Triennale di Milano è stata inaugurata l’8 giugno la mostra Abitanti-Sette sguardi sull’Italia di Oggi, un lavoro collettivo di giovani fotografi under 35 promosso dal Mibact, coordinato dal Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo e curato da Matteo Balduzzi. Si tratta della prima committenza pubblica dopo ben 10 anni di vuoto.
È un lavoro importante, da guardare con il giusto senso critico. Inoltre bisogna prendere nota la crescente attenzione da parte delle istituzioni centrali in campo fotografico negli ultimi tempi, così come l’ampio utilizzo della fotografia da parte dei giovani.
La mostra ha avuto origine da una open call lanciata dal Mufoco alla fine dello scorso anno, che ha portato alla raccolta di oltre trecento progetti da tutta Italia. Buona parte delle proposte sono arrivate dai grandi centri, Milano e Roma su tutti, ma la diffusione è stata capillare su tutto il territorio, arrivando a coinvolgere la quasi totalità delle province italiane. Questo è il primo dato sicuramente interessante che ci permette di considerare quanto effettivamente la fotografia come mezzo di espressione sia un interesse diffuso — sia chiaro: a prescindere dalla qualità delle proposte.
L’obiettivo cardine di questa call è stato di “riportare lo sguardo degli artisti sull’Italia, mettendo in relazione le trasformazioni della fotografia con i profondi cambiamenti che investono la società e il territorio.” “Il tema dell’abitazione e dell’abitare, intesi nella loro accezione più ampia, rappresentano oggi una questione centrale per quanto riguarda non soltanto le discipline del territorio e le politiche urbane, ma per la società nel suo complesso, di fronte alle sfide che le rapide trasformazioni economiche, politiche e sociali di questo inizio di millennio impongono alla vita delle persone”.
Su queste linee guida la giuria ha selezionato i sette fotografi che hanno avuto il compito di raccontare l’abitare italiano: Dario Bosio, Saverio Cantoni & Viola Castellano, Francesca Cirilli, Gloria Guglielmo & Marco Passaro, Rachele Maistrello, Tommaso Mori e Flavio Moriniello sono gli autori i cui lavori, frutto di circa cinque mesi di lavoro, sono esposti in Triennale. Dei trecento progetti ricevuti è stata fatta una selezione più ampia, di cinquanta progetti, che è stata esposta durante la precedente mostra in Triennale 999 — una collezione di domande sull’abitare contemporaneo.
La lunga premessa è dovuta — il contesto da cui nasce questa mostra era importante da sottolineare. La mostra però purtroppo è poco convincente, sia sotto il profilo dei contenuti che dal punto di vista estetico. Sia chiaro, in mostra non ci sono brutte fotografie, ma neanche eccezionali. Così anche i contenuti: interessanti, ma poco coinvolgenti.
Visto che la mostra coinvolge giovani fotografi, ci si potrebbe aspettare che i temi rilevati fossero in linea con quelli a cui i giovani paiono rivolgere una maggiore attenzione. In particolare: ambiente e integrazione.
Invece ad aprire la mostra, oltre al grafico relativo alla provenienza dei progetti di cui abbiamo parlato all’inizio, ce n’è un altro che mostra proprio la concentrazione di interesse a seconda del tema: l’ambiente naturale è a metà classifica e il tema dell’integrazione è perfino ultimo. Il macro-tema, come viene definito in mostra, “spazio domestico/persona/intimità” forse potrebbe essere il primo della lista e non tra gli ultimi tre. A proposito, ecco la lista:
Condivisione di spazi e di economie; spazi virtuali/network/tecnologie; abitare il rischio; aree interne/piccoli borghi; abitare fragile, precario, illegale; luoghi di transito/infrastrutture; ambiente naturale; periferie/quartieri/rigenerazione; architettura/edifici; turismo/sport/intrattenimento; spazio domestico/persona/intimità; luoghi di lavoro e della produzione; integrazione/inclusione/tutela.
Prima di passare ai progetti fotografici in sé è bene dire che non vi è praticamente traccia del sud tra i luoghi fisici presi in esame. Il paesaggio italiano si ferma a Roma, a quanto pare. Fa strano, anche a livello di scelta dei progetti, non prendere in considerazione alcuna realtà del sud. Tra i cinquanta progetti selezionati c’è anche Potenza 100 di roberto Boccaccino, che abbiamo ospitato su the Submarine. Abbiamo detto che sono state coinvolte la quasi totalità delle province italiane, quindi la domanda che mi pongo è: perchè il centro-nord dovrebbe rappresentare da solo l’abitare italiano? Perché il sud non è stato preso in considerazione?
I lavori meritevoli di considerazione sono quelli di Rachele Maistrello e Tommaso Mori. La prima ha concentrato il suo lavoro nel paese di Pennabilli, coinvolgendo gli abitanti del paese in quello che potrebbe essere definito un gioco con intenti artistici. Le persone sono spesso accostate al paesaggio, al terreno, una sorta di dichiarazione di appartenenza ad un luogo specifico. Ma l’autrice ha giocato, dicevamo, portando così a ritrarre uno scarafaggio su un cellulare, per esempio. Caratteristiche topologiche, ricchezza e valorizzazione del proprio territorio e lontananza dalle dinamiche che caratterizzano i grandi centri urbani sono al centro del suo lavoro.
Tommaso Mori ha proposto un lavoro composto di 200 ritratti realizzati durante una performance nel corso di una festa di quartiere: “La performance coinvolge oltre 200 persone di ogni età, gruppo, provenienza, che ricevono il proprio ritratto su foglio trasparente e successivamente lo sovrappongono a planimetrie o documenti di cronaca riguardanti R-Nord, agendo così sulla rappresentazione di sé ed esplicitando una posizione politica. Il risultato è stampato a contatto dai partecipanti stessi in cianotipia”. “Di ogni immagine vengono creati solo due esemplari: uno viene lasciato in dono alla persona ritratta e uno contribuisce a creare l’installazione in mostra.” R-Nord è un complesso brutalista di edilizia pubblica che si trova a Modena. La sezione di Mori è inoltre corredata da un video che racconta sia la performance che il contesto in cui sorge questo edificio e la vita di quartiere, mescolando in modo coinvolgente, immagini, parole e azioni degli abitanti.
Gli altri progetti in mostra trattano del tema della residenza temporanea, come nel caso del progetto di Francesca Cirilli o di residenza sociale e collettiva nel lavoro di Dario Bosio. Di Costruzioni spontanee si sono occupati Gloria Guglielmo & Marco Passaro. Più particolari, in modo diverso, i lavori di Saverio Cantoni e Viola Castellano e quello di Flavio Moriniello. Per i primi “l’obiettivo del progetto è costruire uno storytelling non lineare che attraversi ambiti diversi, cogliendo come si stanno modificando i confini fra materiale e immateriale, pubblico e privato, esposti alla progressiva digitalizzazione della quotidianità”. Un lavoro che, al momento, è ancora un work in progress, e in mostra lo si nota: gli autori precisano che “Assemblage Italia! è il primo episodio di un laboratorio permanente che si propone di esplorare il tema dell’abitare come assemblaggio di pratiche reali e virtuali, all’intersezione tra ricerca artistica e indagine antropologica.” Flavio Moriniello ha cercato di descrivere ed evocare allo stesso tempo alcuni ambienti tipici di una casa attraverso la raccolta delle foto caricate su Instagram con l’hashtag di riferimento – #casa, #cucina, #bagno, #letto. Il lavoro si compone di quattro grandi stampe in cui sono raccolte 10.000 immagini.
Fatte queste considerazione e dopo aver descritto brevemente alcuni lavori, si può dire che la mostra merita comunque una visita. I giovani hanno la necessità di sviluppare il proprio senso critico che, si intende, non si deve allineare a quanto scritto qui, mentre gli adulti è giusto che ascoltino cosa hanno da dire i giovani, seppure attraverso delle immagini. Ma la mostra, nel complesso, è molto timida.
Durante la conferenza stampa sia Stefano Boeri, Presidente della Triennale di Milano che Giovanni Calvenzi, Presidente del Museo di Fotografia Contemporanea, così come lo stesso curatore Matteo Balduzzi hanno auspicato che in futuro ci possano essere nuove occasioni come queste. Sarebbe buona cosa una maggiore audacia da parte di tutti coloro che vengono coinvolti. Se è vero che uno degli obiettivi era “ribadire il ruolo fondamentale della fotografia e dell’arte per l’indagine e la comprensione delle trasformazioni economiche, sociali e culturali in atto nel Paese” allora questo deve riuscire prima di tutto ad essere trasmesso attraverso la mostra finale, attraverso le immagini, che restano al centro prima di ogni altra considerazione.