In Myanmar è in corso una doppia pulizia etnica
Secondo alcuni rapporti di Amnesty International, in Myanmar sarebbe in corso una duplice pulizia etnica. Il termine Rohingya è comparso su diverse testate internazionali, connotando una minoranza religiosa musulmana perseguitata […]
Secondo alcuni rapporti di Amnesty International, in Myanmar sarebbe in corso una duplice pulizia etnica.
Il termine Rohingya è comparso su diverse testate internazionali, connotando una minoranza religiosa musulmana perseguitata dal governo della Birmania e per questo costretta a fuggire nel vicino Bangladesh. Tuttavia, questa definizione manca di informazioni fondamentali. Rohingya, infatti, si riferisce a una minoranza etnica, composta da circa un milione di persone, originarie della regione Rakhine, nel nordovest del Myanmar. I Rohingya sono quasi interamente musulmani, ma fra loro c’è anche una minoranza interna composta da indù. E sono proprio i Rohingya indù a essere doppiamente perseguitati.
Da una parte, infatti, il governo birmano non riconosce la minoranza: i Rohingya non hanno diritto alla cittadinanza, e vengono considerati immigrati provenienti dal Bangladesh. Non possono accedere a numerosi servizi, non possono muoversi liberamente all’interno del Paese né riescono a ottenere facilmente un impiego; inoltre, non hanno diritto alla proprietà e possono essere espropriati delle loro terre da un momento all’altro. Il governo birmano ha messo in atto negli ultimi due anni una vera e propria pulizia etnica nei confronti della minoranza, da sempre perseguitata.
Ma i rohingya indù sarebbero perseguitati anche dai rohingya musulmani. Secondo i rapporti di Amnesty international, l’Arakan Rohingya Salvation Army, il 25 Agosto 2017, avrebbe ucciso diversi indù della minoranza presso la città di Maungdaw, nel Nord del Paese. Sempre secondo il report di Amnesty, quello stesso giorno e nel vicino villaggio di Ye Bauk Bar sarebbero spariti 46 indù Rohingya, il cui destino a tutt’oggi è ignoto. I parenti e altri membri della comunità indù della zona, però, sostengono che siano stati a loro volta uccisi dall’ARSA.
Le testimonianze di alcuni sopravvissuti e testimoni oculari dei fatti di Maungdaw raccontano che nel 2017 l’ARSA avrebbe ucciso circa cento Rohingya indù e sepolto i loro corpi all’interno di fosse comuni. Queste fonti riportano poi la brutalità del massacro, spiegano che i membri dell’ARSA avrebbero rastrellato il villaggio, costretto gli Hindu a convertirsi all’Islam e ucciso chi rifiutava di farlo. Le donne, poi, sarebbero state violentate e costrette a separarsi dai mariti sopravvissuti. L’ARSA ha negato le accuse con un tweet, ma le prove, secondo Amnesty, sarebbero inconfutabili.
Insomma, il 25 Agosto, come riportano i rapporti di Amnesty International, avrebbe visto commettere una vera e propria esecuzione di massa nei confronti dei Rohingya indù, vittime di una doppia pulizia etnica, da parte del governo e dell’ARSA.
La testimonianza di un ventiduenne sopravvissuto è chiara: “gli uomini avevano lunghi coltelli e altre armi. Ci hanno legati con le mani dietro la schiena e poi bendati. Ho chiesto cosa stessero facendo e uno mi ha risposto “voi e i Rakhine siete la stessa cosa, avete una religione diversa, non potete vivere qui.” Parlava il dialetto Rohingya. Ci hanno chiesto che beni avevamo e poi ci hanno picchiati. Alla fine gli ho dato quello che avevo.” Altri non sono stati così fortunati da potersela cavare semplicemente così: in tutto, si parla di almeno un centinaio di morti.
La violenza interna non deve comunque far dimenticare quella subita da tutta la minoranza.
Diversi ufficiali birmani, secondo le testimonianze delle vittime superstiti, sarebbero autori di violenze e crimini contro l’umanità. Le autorità incendiano le case rohingya, senza considerare la presenza di membri della minoranza all’interno, spesso bruciati vivi. Le donne riportano di essere state vittime di violenza sessuale, mentre i loro padri, mariti e fratelli venivano uccisi a sangue freddo. I militari avrebbero poi posizionato alcune bombe nelle zone abitate dai Rohingya, per impedire il ritorno a casa a chi era riuscito a scappare. Per via delle persecuzioni, quasi 700mila Rohingya sono scappati in Bangladesh, e molti altri vivono nei campi profughi interni al Paese, definiti vere e proprie prigioni a cielo aperto. I Rohingya musulmani hanno costituito l’ARSA, l’Arakan Rohingya Salvation Army, proprio per difendersi e proteggere i membri della minoranza.
I Rohingya musulmani oggi rischiano di essere associati ai membri dell’ARSA che perpetrano crimini nei confronti degli indù della minoranza. Altri stati stanno sviluppando pregiudizi nei loro confronti: l’India, per esempio, chiede il rimpatrio dei rifugiati Rohingya all’interno del Paese, additati come pericolosi per il solo fatto di essere musulmani. I Rohingya sono vittime, delle autorità birmane e delle persecuzioni al proprio interno. I loro diritti umani sono violati e la situazione è così complessa e inaccettabile da non poter essere più ignorata dal mondo occidentale.
Leggi il report completo di Amnesty international seguendo questo link.
tutte le foto cc via Wikimedia Commons