Salvini sarà il degno erede di questi indegni ministri dell’Interno
Nonostante la prospettiva di un suo ministero insomma sia tutt’altro che rosea, Salvini si inserisce in una non breve lista nera di ministri dell’Interno italiani.
in copertina, foto via Twitter @matteosalvinimi
Nonostante la prospettiva di un suo ministero insomma sia tutt’altro che rosea, Salvini si inserisce in una non breve lista nera di ministri dell’Interno italiani.
Matteo Salvini sarà il prossimo ministro dell’Interno della Repubblica italiana. Qualche giorno fa scrivevamo che la figura di Salvini potrebbe essere molto pericolosa in questo ruolo, in quanto il ministero dell’Interno è quello che governa le forze di polizia e si occupa di fatto della gestione dell’ordine e della repressione da parte dello stato. Il segretario leghista ha già dato un assaggio di come vuole impostare il proprio operato, proclamando di voler tagliare i 5 miliardi destinati all’accoglienza migranti.
Nonostante la prospettiva di un suo ministero insomma sia tutt’altro che rosea, Salvini si inserisce in una non breve lista nera di ministri dell’Interno italiani. Anche restando solo al dopoguerra, infatti, vari politici italiani che hanno ricoperto questa carica — tra le più sensibili visto che garantisce il controllo delle forze di polizia — hanno tenuto comportamenti discutibili, quando non si sono macchiati di veri e propri crimini.
MARIO SCELBA
Il ricordo di Mario Scelba, come di molti altri politici della prima repubblica, è sbiadito, ma fino a qualche anno fa il suo ricordo, tra i più vecchi militanti del Partito comunista italiano, era ancora ben vivo. Nel 1947 Scelba viene nominato ministro dell’Interno da Alcide De Gasperi, dopo che il suo predecessore Romita, socialista, era stato costretto alle dimissioni in seguito alla cacciata delle forze di sinistra dal governo.
Scelba è stato antifascista, ma è anche convinto anticomunista. Timoroso che il PCI possa tentare un golpe, la sua strategia è nell’aumentare le forze di polizia fino a 70.000 effettivi e, a suo dire, migliorarne la qualità. Soprattutto, vengono in questo modo cacciati dal corpo tutti gli ex-partigiani che erano entrati a farne parte dopo la liberazione. Inoltre decide di armare la neonata celere con armi da combattimento, addirittura mortai.
Gli anni che vanno dal ’47 al ’53, in cui Scelba è in carica, sono un periodo di grandi tumulti di piazza. Sull’asfalto, in questi sette anni, restano oltre cento morti, uccisi negli scontri. Nonostante proprio Scelba sia stato anche l’autore della legge che vieta a tutt’oggi la ricostruzione del Partito fascista in Italia, l’opinione pubblica del tempo gli assegna parallelismi duceschi.
FRANCESCO COSSIGA
Francesco Cossiga, a dieci anni dalla morte, è ancora una delle figure più controverse della storia della Repubblica. Ricopre la carica di ministro dell’Interno dal 1976 all’11 maggio 1978, in cui si dimise in seguito al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Si potrebbe elencare una lunga serie di punti molto oscuri nel suo operato, ma forse è meglio citare una delle sue ultime interviste, rilasciata a Micromega nel 2008, in cui parlava della repressione berlusconiana ai flebili moti universitari di quell’anno:
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno».
Ossia?
«In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perché pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito…».
Gli universitari, invece?
«Lasciarli fare. Ritirare le forze di polizia dalle strade e dalle università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città».
Dopo di che?
«Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di polizia e carabinieri».
Nel senso che…
«Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano».
Anche i docenti?
«Soprattutto i docenti».
Presidente, il suo è un paradosso, no?
«Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì. Si rende conto della gravità di quello che sta succedendo? Ci sono insegnanti che indottrinano i bambini e li portano in piazza: un atteggiamento criminale!».
ROBERTO MARONI
Roberto Maroni è stato fino a qualche mese fa governatore della Lombardia. Prima di questo ruolo ha coperto importanti cariche in alcuni passati governi di centrodestra, uno su tutti quello di ministro dell’Interno. È soprattutto a Maroni che si deve la gestione dei flussi migratori per la Libia per come la conosciamo noi.
L’idea di stringere accordi con il paese africano per arginare gli sbarchi in Europa per la verità era nata tra le fila del governo Prodi 2 nel 2006, che vedeva Massimo D’Alema ministro degli Esteri e Giuliano Amato ministro, appunto, dell’Interno. È a Roberto Maroni e a Silvio Berlusconi però che si deve la definitiva attuazione degli accordi, nel 2008.
Il governo di centrodestra, infatti, intavolò con il dittatore Muhammar Gheddafi una trattativa per far sì che in Libia venissero aperti una serie di “centri di trattenimento,” un’espressione edulcorata per indicare veri e propri lager, in cui i migranti venivano rinchiusi senza qualsiasi tutela dei diritti umani.
“Il primo ministro Silvio Berlusconi e Muammar Gheddafi stanno costruendo il loro accordo di amicizia a spese di individui, di altri paesi, ritenuti sacrificabili da entrambi”, affermava Bill Frelick, direttore per le politiche dei rifugiati di Human Rights Watch, nel giorno della visita del leader libico in Italia, secondo quanto riportato in un articolo dell’epoca da Repubblica. “Più che un trattato di amicizia — aggiunge — si direbbe uno sporco accordo per permettere all’Italia di scaricare i migranti e quanti sono in cerca di asilo in Libia e sottrarsi ai propri obblighi”. La visita in questione è quella della famosa tenda piantata da Gheddafi in centro a Roma. A Gheddafi, in cambio di varie cose tra cui la lotta all’immigrazione, vennero promessi cinque miliardi di dollari in vent’anni, più finanziamenti per le proprie forze armate.
Gheddafi, com’è noto, venne rovesciato nel 2012, con la sollevazione delle primavere arabe: la Libia è ancora uno stato di fatto in guerra civile. A tutt’oggi, non si sa quante persone abbiano perso la vita nei campi di detenzione di Gheddafi, né dell’esatto numero di migranti che vi siano transitati. Roberto Maroni non ha mai dovuto rendere conto di quella che è stata a tutti gli effetti una violazione costante e premeditata dei diritti umani, di cui è stato a livello pratico il regista.
MARCO MINNITI
L’immediato predecessore di Salvini è uno dei ministri dell’Interno più discussi e duri della storia italiana, e ha una particolarità: a differenza degli altri di cui abbiamo parlato, che venivano da tradizioni politiche di destra, Minniti è iscritto al Partito democratico e affonda le sue radici politiche nei DS postcomunisti.
Minniti si fa conoscere fin dalla fine degli anni ‘90 come uomo di collegamento tra la politica e i servizi segreti italiani. Nel governo Prodi 2 è sottosegretario al ministero dell’Interno: un decennio dopo viene promosso a ministro, nel governo di Paolo Gentiloni. Una volta salito al Viminale, la politica italiana in materia di migrazioni cambia drasticamente.
Minniti fa approvare nel giro di poche settimane il cosiddetto decreto Minniti-Orlando, che snelliva le procedure giudiziarie e rende più difficile ai migranti fare ricorso in caso di mancato riconoscimento del diritto d’asilo; l’ampliamento della rete dei CIE, centri d’identificazione ed espulsione; l’arruolamento dei migranti in lavori volontari (= non pagati). Inoltre, Minniti ha rispolverato con grande entusiasmo la politica maroniana di accordi con la Libia, grazie ai quali l’Italia ha più o meno direttamente finanziato forze di sicurezza locali — nel migliore dei casi di dubbia affidabilità, nel peggiore vere e proprie bande criminali – terroristiche — per tenere bloccati i migranti in Africa e interrompere il flusso verso l’Europa, andando a sostenere una nuova rete di lager.
L’obiettivo — principale o secondario di Minniti — era quello di mostrarsi muscolare almeno quanto la Lega nel trattare la sfida delle migrazioni, per evitare un plebiscito salviniano alle elezioni del marzo 2018. Ma, come abbiamo spesso ripetuto, inseguire la destra porta la sinistra a non avere senso, mentre legittima posizioni così xenofobe che non sarebbero state nemmeno accolte dal dibattito politico se qualcuno non le avesse sdoganate. E che hanno favorito l’ascesa al degno successore di Minniti, Matteo Salvini, a ministro dell’Interno.
tutte le foto CC via Wikimedia Commons
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