graffiti fuori dall’ex ambasciata statunitense a Teheran

in copertina: graffiti fuori dall’ex ambasciata statunitense a Teheran, cc David Holt

Come hanno vissuto la rottura di Trump gli iraniani, e che conseguenze avrà sulla politica interna della Repubblica islamica? L’abbiamo chiesto a Simone Zoppellaro.

Trump ha annunciato l’altro ieri sera di ritirare il proprio paese dall’accordo sul nucleare con l’Iran. C’è chi ha esultato, come l’Arabia Saudita e Israele, gli alleati statunitensi che più hanno spinto per la rottura, e chi no, come i paesi europei, che più hanno da perdere con un Iran tornato nuovamente, di fatto, a essere “stato canaglia” del Medio Oriente.

Ma come hanno vissuto questa rottura gli iraniani, e che conseguenze avrà sulla politica interna della Repubblica islamica? L’abbiamo chiesto a Simone Zoppellaro, giornalista che ha collaborato con il Manifesto, la Stampa, autore de Il genocidio degli yazidi. Zoppellaro ha vissuto per molti anni tra Armenia e Iran.

ZOPPELLARO: L’hanno vissuta male tutti in generale, soprattutto dalla componente riformista: l’amministrazione Rouhani, Zarif il suo ministro degli esteri, tanta parte della società civile iraniana avevano creduto fortemente in questo accordo. Ero lì quando avevano vinto le elezioni: sembrava avessero vinto i mondiali, c’erano i festeggiamenti di notte per strada — stessa cosa per quando era stato firmato l’Iran deal. C’era una grande voglia di una parte della società civile di svoltare e questa è una botta che rischia di essere un po’ un KO, perché è una scelta unilaterale da parte degli USA. Adesso bisognerà vedere se e quanto riescono a salvare della componente europea

I conservatori sono anche più contenti sul fronte interno, possono giocarsi la loro rivalsa verso chi ha creduto di più in quest’accordo.

C’è anche da dire comunque che c’era anche la guida suprema, che non è che fosse contraria: la Guida suprema ha giocato i riformisti per fare un accordo che in prima persona non avrebbe mai potuto fare. Ed è stato un ottimo calcolo politico, perché se gli fosse andata bene avrebbe smesso di essere uno dei grandi cattivi del mondo, ora che è andato male può dire “è colpa dei riformisti.”.

Rouhani ha i giorni contati?

A Rouhani la faranno pagare, aveva investito molto anche sulla possibilità di una crescita economica che non è arrivata. L’idea di aprire all’occidente adesso è archiviata per un po’, senza dubbio. Inoltre io non sono filoiraniano, è uno stato che compie violenza politica in maniera sistematica e non può essere giustificato, ma negli ultimi mesi il suo governo non ha risposto a tante provocazioni politiche provenienti da USA e Israele. Trump non ha iniziato oggi, Netanyahu ha giocato Trump in maniera molto precisa, faceva attacchi anche in Siria, volevano fare in modo che la mossa falsa la facesse Teheran. Hanno mandato giù bocconi oggettivamente grossi cercando nella vaga speranza che si potesse salvare qualcosa — e quindi è una delusione ancora più grossa.

Ma l’accordo, con il preventivato rilievo delle sanzioni, aveva avuto un vero impatto sulla vita quotidiana degli iraniani?

Questo è un discorso interessante. L’accordo salta anche perché è stato impostato male da Obama. La maggior parte dell’accordo riguardava le sanzioni, che si potevano abbattere rinserendo l’Iran nel circuito finanziario internazionale sbloccando le banche. Il grosso problema dell’Iran negli ultimi anni è che vendeva il petrolio — ma se andavi in Iran con una carta di credito non potevi farci nulla. Obama non ha solidificato quanto fatto prima di andarsene. L’Iran sarebbe diventato un paese come un altro con cui fare affari normalmente, invece è rimasto fino ad oggi tagliato fuori: dunque revocando l’accordo non si danneggiano gli interessi di molte multinazionali. Se questi ci fossero stati, anche Trump avrebbe dovuto pensarci due volte.

La revoca dell’accordo da parte di Trump potrebbe influire sulla scelta di successore a Khamenei?

Sì, un fatto del genere potrebbe avere conseguenze a tutti i livelli politici in Iran. L’Iran è un paese che negli ultimi dieci anni ha preso a contare sempre di più sullo scenario internazionale e con l’accordo sarebbe stato ammesso nel circuito della diplomazia globale. Esplicitare che invece è un paese con cui non si può avere niente a che fare ripiega il paese al suo interno, dando più potere ai paramilitari.

Si parla tanto di un Iran controllato dal clero, ma in realtà è un Iran controllato sempre di più dai paramilitari, anche dal punto di vista economico. Larghissimi settori sono stati ingoiati dai paramilitari che uniscono il potere delle armi a quello economico. Come fai a cambiare il paese?

A livello sociale, di censura, questo rovesciamento non lascia ben sperare.

La censura è una discorso che legherei meno a discorsi di causa effetto: comunque non lascia ben sperare, senza dubbio. Anche lì, però — se anche l’Iran deal avesse resistito, non avrebbe corrisposto a un’apertura interna sui diritti umani. Il modello dell’Iran da parecchi anni è quello della Cina, fondamentalmente. Magari un’economia di mercato con uno stato forte e centralizzato, ma niente diritti umani. Una caduta dell’Iran deal non corrisponderà a un’ondata di repressione, ma certo non promette un’apertura, perché non saranno le forze riformiste ad essere avvantaggiate.


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