Per la riapertura dei navigli ancora non esiste un progetto concreto
Dieci anni fa riaprire i navigli di Milano era un’idea da bar. Oggi la situazione è profondamente cambiata.
in copertina, mappa di Milano nel 1860 cc Harvard University Library
Dieci anni fa riaprire i navigli di Milano era un’idea da bar. Oggi la situazione è profondamente cambiata. Abbiamo provato a capire cosa c’è sotto i futuri navigli di Milano, con un approfondimento in tre parti.
Leggi la prima parte—La riapertura dei navigli: storia di un’idea bizzarra diventata mainstream
Da come se ne sente parlare, sembra che l’inizio dei lavori sia imminente, ma in realtà non esiste ancora un progetto che sia anche solo remotamente definitivo: finora sono state avanzati semplicemente proposte e studi. Il quasi-progetto più concreto e rilevante è quello esposto proprio sul sito dell’associazione Riaprire i navigli — frutto di una serie di studi effettuati dal Politecnico di Milano tra il 2008 e il 2010. La proposta prevede l’apertura di otto chilometri di canale navigabile, partendo da via Melchiorre Gioia per arrivare fino alla Darsena tramite la fossa interna. “È importante che prima di partire con qualsiasi cosa il Comune abbia un progetto preciso e pubblico,” fa notare Biscardini.
Il comune al momento sembra più orientato a riaprire i navigli, per così dire, a spezzoni: oltre all’iniziale scoperchiatura di Melchiorre Gioia, verrebbero scavati altri quattro tratti più a valle, in cui — a differenza che a Gioia, dove il naviglio scorre ancora sotto la strada — l’antico canale è stato riempito di sabbia. Questi tratti sono:
- la conca dell’incoronata;
- il laghetto di San Marco;
- il tratto di via Francesco Sforza, tra la Statale e il Policlinico;
- il tratto di piazza Vetra;
- la conca di Viarenna.
Il sindaco Sala vuole evitare di trasformare il centro storico in un gigantesco cantiere — considerando il fatto che quella zona è già interessata oggi dai cantieri della M4, la linea metropolitana che dovrebbe essere pronta nel 2021 e che è stata pensata in modo da permettere la riapertura dei navigli sopra il suo percorso. Queste “vasche” saranno collegate da alcune condotte che, finché i lavori non saranno ultimati, porteranno l’acqua da una tratta aperta all’altra. Un accorgimento che però, secondo Biscardini, farebbe lievitare il costo complessivo dell’opera — pare fino a 30 milioni — e potrebbe allontanare la prospettiva della navigabilità prevista nel progetto originario.
Secondo lo studio del Politecnico, infatti, la navigabilità è un tratto essenziale dell’idea stessa di riapertura dei canali. “Navigabile non per le merci di cent’anni fa, ovviamente. Il turismo oggi può essere conveniente — il modello francese con battelli o inglese con house-boat. Ma non avrebbe senso riaprire i navigli a Milano se non avessimo in mente di aprire i navigli alla imbarcazioni.” L’idea di far passare in mezzo a Milano quella che a tutti gli effetti sarebbe un percorso navale può sembrare quantomeno ambiziosa, ma l’associazione è convinta della bontà del proposito. “Eravamo pazzi a proporre la riapertura, ora siamo pazzi a dire che non è un’opera di arredo urbano ma la ricostruzione di un’opera idraulica, di navigazione.”
“Aprire gli otto chilometri non è un’opera prettamente milanese, ma regionale,” commenta ancora Biscardini. “Quando avremo gli otto chilometri in Milano avremo ricollegato l’Adda con il Ticino e Pavia — un itinerario storico. Quegli otto chilometri sono un piccolo hub per rendere funzionali 140 chilometri di navigli.” È utile ricordare che per secoli la Darsena è stato uno dei più importanti porti italiani. Nel 1953 era il terzo porto del paese per tonnellaggio di merci scaricate, soprattutto ghiaia e materiale da costruzione.
“Non vorrei ci trovassimo con cinque tratti di abbellimento per i contessi che abitano nel centro perdendo l’idea di navigabilità,” commenta Biscardini. “Mi sembra, come diceva Gillo Dorfles, che così verrebbe semplicemente una cosa pittoresca. Nell’ultima intervista al Corriere diceva che l’idea di aprire i navigli così com’è non gli andava bene, che era contrario. Però, quando parlava in questo modo, si riferiva all’idea del Comune. Nell’intervista dell’anno prima con Veronesi invece parlavano dei navigli come rete. ”
In consiglio comunale, però, c’è chi è convinto che sia il progetto di Riapriamo i navigli che la versione edulcorata del Comune presentino ostacoli che in questo momento sono insormontabili. È il caso di Basilio Rizzo, consigliere comunale di Milano dal 1983. Basilio Rizzo ha sempre rappresentato una delle voci più importanti della sinistra cittadina, e oggi siede sul seggio per Milano in Comune.
Rizzo ha un’opinione simile a quella di Biscardini per quanto riguarda il progetto presentato dal Comune. “Quando uno pensa ai navigli pensa a una canalizzazione vera. Così invece si parla di una porzione molto piccola e frammentata in un’area centrale della città: non sono i navigli che possono essere navigati realmente. Sarà un collegamento sotterraneo che emergerà in alcuni luoghi. Il rischio insomma è che ne facciamo un pezzetto, all’italiana: spenderemmo 170 e faremmo qualcosa di contorno, non un modifica reale all’aspetto della città. Per fare il progetto completo ci vorrebbero 500 milioni di euro: non riesco a pensare che si possano spendere per questa cosa come operazione prioritaria.”
La questione fondi, com’è facile capire, è alla base di ogni discorso concreto che si possa fare in merito. Niente soldi, niente navigli. Nonostante il comune di Milano sia tra quelli con le maggiori disponibilità economiche d’Italia, non può permettersi di affrontare da solo una spesa del genere. Secondo la proposta dell’associazione Riaprire i navigli, che si basa sullo studio di fattibilità elaborato al Politecnico di Milano tra il 2008 e il 2010 e che oggi è il documento più concreto a disposizione, occorrerebbero circa 400 milioni di euro. Il costo dell’opera probabilmente sarebbe anche superiore, forse fino a 500 milioni di euro, come sostiene Rizzo.
Nel 2016, come già riportato, Sala prevedeva di spendere 400 milioni, con la speranza di coprirne una buona parte con i fondi europei destinati alla sostenibilità urbana. L’anno scorso, il comune ha pensato di destinare i 10 milioni di euro ricavati dagli oneri di urbanizzazione di un prezioso terreno edificabile situato all’angolo tra via Pirelli e via Melchiorre Gioia, ma è evidente che servono altri soldi rispetto a quelli a disposizione delle casse comunali.
È importante ribadire ancora una volta che non c’è niente di approvato o certo: il progetto è ancora alla fase delle ipotesi. Una delle vie che si stanno valutando per finanziare l’opera, e che probabilmente sarà percorsa se si deciderà di procedere, è il sostegno da parte di privati. Sia nel piano di Riaprire i Navigli che nelle dichiarazioni del comune tramite il sindaco e membri della giunta, l’integrazione finanziaria da parte di soggetti che non siano pubblici — Comune, Regione e eventuali fondi europei — sembra essere una condizione necessaria per la fattibilità dell’opera. Va comunque fatto notare che, secondo lo stesso studio, la riapertura dei navigli “non potrà prescindere da finanziamenti pubblici o europei a fianco dei finanziamenti privati (ma ciò potrà essere determinato meglio in sede di studio di fattibilità).”
Nello studio di fattibilità si riporta che la strada migliore potrebbe essere quella che risponde al nome molto musicale di PPP, partenariato pubblico privato: in pratica, uno scenario in cui il pubblico e il privato si spartiscono i costi dell’opera, che spesso ricadono maggiormente sui privati, ma in cui il pubblico mantiene comunque un ruolo di guida nel progetto. Una delle altre forme di collaborazione tra pubblico e privato, il project financing, in questo caso sarebbe di dubbia efficacia in quanto secondo lo stesso studio del Politecnico non sono state individuate “fonti di redditività di dimensioni tali da poter attrarre investitori privati, ovvero non sono state identificate fonti di ricavo direttamente riconducibili alla realizzazione, manutenzione e gestione dell’opera.”
Insomma, il ricavo che ci si può aspettare dalla riapertura dei navigli non è direttamente proporzionale ai soldi che vengono versati per riaprirli, né ci si può aspettare un guadagno diretto dai canali.