Perché dobbiamo essere contenti che il rap stia tornando nei palazzetti
Nonostante l’indifferenza generale dei media tradizionali, il rap è finalmente riuscito a raggiungere, per ora più che altro simbolicamente, i palcoscenici più importanti d’Italia.
Nelle scorse settimane Guè Pequeno e Salmo hanno annunciato alcune nuove date che, tra la fine del 2018 e il prossimo marzo, li vedranno suonare al Mediolanum Forum di Milano e al Palalottomatica di Roma.
Potremmo pensarle come l’ennesimo episodio di un tour o, nel caso del rapper milanese, come una serata-evento eccezionale. In realtà rappresentano la maturazione definitiva di un genere che, nonostante l’indifferenza generale dei media tradizionali, è finalmente riuscito a raggiungere, per ora più che altro simbolicamente, i palcoscenici più importanti d’Italia. Oltre ci sono gli stadi, è vero. Ma quello lo sappiamo, è un altro sport.
In Italia come all’estero i palazzetti sono un passaggio fondamentale per qualunque artista voglia ambire al riconoscimento di un ruolo di spicco nella storia della musica, a prescindere dal genere suonato. La notizia merita quindi un approfondimento particolare anche perché, nonostante sia di fatto il genere del momento, il rap nel nostro paese suscita ancora a livello promozionale sentimenti contrastanti e perplessità diffuse che, giorno dopo giorno, continuano a ostacolarne la circolazione.
Negli ultimi anni le programmazioni radiofoniche hanno continuato a diffondere senza remore il solito pop melenso, concedendo maggiore spazio e attenzione al cosiddetto nuovo cantautorato (che non a caso si sta in parte incarnando negli antichi vizi musicali nostrani) ma continuando di fatto a marginalizzare la musica rap. Mentre David Letterman dedica a Jay-Z su Netflix una puntata del suo My Next Guest Needs No Introduction, la maggior parte delle nostre televisioni e radio ignorano completamente artisti fondamentali all’interno della scena italiana. Voltando lo sguardo di fronte all’evidenza persistono nel far finta che la trap non sia mai esistita (ad eccezione di Ghali che saggiamente ha intitolato uno dei suoi ultimi brani Cara Italia e che ha il privilegio di rientrare nelle programmazioni radiofoniche) e magnificando i soliti artisti istituzionali. Soliti non in senso spregiativo ma perché già noti e accettati da tempo all’interno dei circuiti televisivi e radiofonici. Fabri Fibra viene ancora una volta invitato e incensato da Fazio a “Che tempo che fa” — come Ghali — ma complessivamente, nella televisione italiana, non si è nemmeno lontanamente provato, ad esempio, a testimoniare l’ascesa di Sfera Ebbasta — la rapstar italiana dell’anno targata Def Jam — che è stato invece ospitato lo scorso febbraio da Cattelan su Sky, a EPCC .
Sappiamo perfettamente di non poterci aspettare che le nostre televisioni e radio, o almeno la gran parte di esse, siano capaci di rappresentare efficacemente le nuove tendenze musicali — vedrete, di questo passo finiremo per rimpiangere TRL e il Festivalbar. Questo lo capiscono tutti e non serve sottolinearlo ulteriormente. Probabilmente non ne sono capaci, sicuramente non vogliono farlo. Ma è proprio questo il motivo per cui fa notizia, nell’anno del concerto-evento di Eminem a Milano, l’approdo dei rapper nei palazzetti. Testimonia il raggiungimento di un traguardo non grazie a bensì malgrado la disaffezione dell’establishment nazional popolare. È oltretutto la prova provata, definitiva, che la promozione classica fatta di passaggi in radio, ospitate in televisione e pubblicazioni a mezzo stampa non rappresenti più la via di comunicazione privilegiata, esclusiva ed efficace per muovere le categorie di ascoltatori e trasformarli in fruitori attivi di musica e frequentatori di concerti. Nello specifico Guè Pequeno è stato incoronato dai suoi fan recordman italiano dello streaming mentre l’ultimo singolo di Salmo, Perdonami, ha oltrepassato in un lampo i 14 milioni di ascolti su Spotify. Entrambi senza godere di endorsement mediatici paragonabili a quelli ricevuti da una Pausini o da un Riki — due esempi pop italici casuali, sostituibili con un cantante italiano a piacere che parli di amori diabetici.
L’ostilità radiofonica nei confronti del genere è periodicamente confermata dagli addetti ai lavori, Paola Zukar in testa. L’ha ribadito a Fanpage qualche mese fa dopo averlo spiegato nel suo ultimo libro edito da Baldini e Castoldi e intitolato “Rap — una storia italiana”:
“Per parlare di radio in Italia bisogna parlare di playlist caratterizzate esclusivamente da top 40, adult e contemporary. Parliamo di un Paese in cui non esistono urban radio, non esistono college radio, un Paese in cui persino il rock, che ha una tradizione enorme, ha una radio piccola, come Virgin… Oggi, secondo questa logica, possibile che il rap sia ancora quella cosa che fa cambiare canale? Ma come? E se invece attirasse centinaia di migliaia di ragazzi e ragazzini che ascoltano questo genere musicale al di là delle solite due hit stagionali e che stanno totalmente smettendo di ascoltare la radio?”
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Nonostante le ripetute difficoltà nel farsi accettare dai media tradizionali, la platea di pubblico che affolla i concerti dei rapper italiani, negli anni, ha però dimostrato loro fedeltà più o meno incondizionata. Continua a valere come esempio quello dei tre sold-out recenti di Guè Pequeno al Fabrique di Milano. Ma basta dare uno sguardo alla classifica FIMI degli album più venduti in Italia per convincersi di ciò. Oppure pensare al penultimo disco di Fabri Fibra, “Squallor”. Uscito nel 2015, raggiunse il traguardo del disco d’oro nonostante non sia quasi stata fatta promozione all’album. A dimostrazione che i risultati oggi possano essere raggiunti ugualmente, malgrado le narrazioni goffe e parziali dei nostri critici di mestiere che dovrebbero dimostrarsi malleabili ai cambiamenti e invece non riescono a tenerne il passo, risultando spesso sorpassati dagli eventi. Chi segue il genere e ascolta rap quotidianamente ha imparato meglio di altri a fare la tara alle opinioni dei media e a pensare spesso il contrario di quello che dicono, pensano e commentano gli opinionisti della carta stampata. Nel tempo, viene difficile pensare per distanza anagrafica tra giornalista e artista ma piuttosto per l’adozione di un approccio sbagliato al tema – anche oggi, come dieci anni fa, sui giornali si preferisce parlare genericamente di tatuaggi, droga e violenza piuttosto che di canzoni – il giornalismo tradizionale si è dimostrato un interprete goffo e improvvisato dei cambiamenti in corso nel panorama musicale. Fate attenzione, se comprate i quotidiani un articolo su tre accosta ancora il successo dei rapper a quello di Sanremo. Il compito della narrazione della musica rap, come degli altri generi, è oggi assunto per lo più da giornali, magazine e blog che online cercano di restituire, attraverso spunti originali e autori competenti (e attenti), una rappresentazione fedele, autorevole, se possibile ragionata e interpretata del progresso della scena. Che tuttavia cambia pelle continuamente ed è quindi difficile da inquadrare nell’istantanea di un articolo. Il risultato? Nonostante l’antipatia dell’apparato di giornali e radio storiche che continuano — ebbene si, anche sul web — a pubblicare articoli buffi come questo, il pubblico ai concerti rap cresce incessantemente, ignorando il contesto mediatico per lo più sfavorevole che li circonda e che tuttavia non è più in grado di impedire l’ascesa popolare del genere.
Insomma se è vero che il rap sta iniziando a calcare gli stessi palchi del pop va detto che il primo non gode ancora però della stessa attenzione. Forse è anche per correggere questo vizio dei nostri mezzi di informazione che è nata TRX Radio, la radio fondata proprio da Paola Zukar con la direzione artistica di Clementino, Fabri Fibra, Ensi, Salmo, Guè Pequeno e Marracash. Nasce come app e trasmette musica rap 24 ore su 24. “Le canzoni che vengono trasmesse sono accuratamente scelte e compilate dal team di artisti e di personalità della scena nazionale per offrire il panorama più ampio e completo del rap mondiale” si spiega nel comunicato stampa che ha accompagnato il lancio della radio, disponibile dalla fine di marzo su App Store e Google Play.
Alla notizia dedica un articolo anche il Corriere della Sera. Si legge: “Inutile aspettare che passi Fedez. Non corre buon sangue tra il neopapà e il team: lui aveva definito la manager una sanguizukar e con Guè e Marra volano parole pesanti.” La firma è di Andrea Laffranchi.
Guè Pequeno è stato il primo ospite annunciato da J-Ax e Fedez per il concerto finale dei due artisti a San Siro.
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