Guida rapida alla costruzione dell’antifascismo del futuro

Il nuovo fascismo ha vinto grazie a un superamento di quei baluardi che definivano, e al tempo stesso limitavano, quello che Umberto Eco chiamava Ur-fascism.

Guida rapida alla costruzione dell’antifascismo del futuro

Fine del revisionismo sulla guerra partigiana, una nuova cultura xenofila, una nuova base generazionale, un fronte unitario: sono i presupposti necessari per combattere il fascismo nel ventunesimo, e ventiduesimo, secolo.

In due editoriali, che abbiamo linkato questa mattina su Hello, World!, Paolo di Paolo per l’Espresso e la redazione di Radio Popolare si chiedevano ieri che forma e aspetti potesse avere il 25 aprile “del futuro,” e come spiegarlo ai ragazzi di oggi.

È un problema vero, perché se la generazione di chi scrive è cresciuta con le storie dei propri nonni durante la Seconda guerra mondiale, e dell’attivismo dei propri genitori negli anni ’60 e ’70, chi cresce adesso cresce in un terreno sostanzialmente diverso, che potremmo chiamare post-ideologico se non fosse che le sue basi ideologiche sono estremamente chiare, e che disegna un futuro preoccupante per i valori dell’antifascismo nel ventunesimo — e ventiduesimo — secolo.

Gli effetti di questo terreno sono infatti drammaticamente presenti nella nostra quotidianità, e solo accettando che siano tutti segnali di un unico problema generale — e non focolai isolati — possiamo trovare una soluzione.

Gli esempi non si contano tra le costanti bordate di gruppi neofascisti che si sentono ogni settimana piú legittimati dalle autorità. Due esempi impossibili da non vedere: la barriera neofascista di Bardonecchia e l’assassino misogino che ha compiuto la strage di Toronto. Si tratta di eventi all’apparenza completamente scollegati, ma che hanno invece una base fondamentale. Il nuovo fascismo ha vinto grazie a un superamento programmatico e puntuale di quei baluardi che definivano, e al tempo stesso limitavano, quello che Umberto Eco aveva identificato come Ur-fascism.

Il superamento dell’ur-fascismo

Quello che, con un certo anticipo sul resto della stampa, avevamo definito nel settembre 2016 “deriva pop dell’odio” è in realtà un fenomeno molto piú vasto che ha reso possibile non solo l’elezione di Donald Trump, ma anche la crescente violenza contro i migranti che attraversano il Mediterraneo, e che ha riportato alla normalizzazione posizioni retrograde sul ruolo della donna che non si sentivano nel “mainstream” ormai da decenni.

Che cosa è successo? In maniera completamente organica, i neofascisti hanno imparato che la loro fede era vecchia, piena di ragnatele e di parafernalia fantasy rimasta sui muri dai precedenti tentativi di “modernizzazione.” È successo che la cultura di internet, che per la prima volta ha permesso la connessione di persone introverse e insicure, ha dato anche valvole di sfogo altamente distruttive a persone con instabilità che sono state plagiate a colpi di luoghi comuni, meme, e sotto effetti di pesantissima peer pressure digitale.

Che si tratti di investimenti per rivendicare i diritti dei “celibi involontari,” o delle sparatorie per dimostrare la verità dietro teorie del complotto che allineano i democratici con i satanisti, la cultura del nuovo fascismo digitale sta facendo i suoi morti, e in Italia, dove siamo ancora nella fase precedente, quella dei sedicenni che si dichiarano fascisti e delle bandiere del Kekistan alle manifestazioni della Lega, dovremmo guardare alla rapida spirale discendente statunitense con grande preoccupazione.

Il 25 aprile 2018 è un 25 aprile particolarmente buio, per chi si riconosce nei suoi valori di antifascismo. Mentre il primo partito del paese si rivela sostanzialmente incapace di distinguere la destra e la sinistra e l’estrema destra ha quasi finito di fagocitare l’intero bacino elettorale di quello che una volta chiamavamo, ingenuamente, centrodestra, è inevitabile guardare al coraggio e al sacrificio dei partigiani non solo con commozione ma con una strana forma di nostalgia, di fronte al coraggio e la dignità di quei ragazzini che hanno sacrificato tutto cercando di liberare il paese dal fascismo.

Quella nostalgia, che temo sia oggi il sentimento piú diffuso attorno al 25 aprile, sono le ragnatele che l’antifascismo, italiano e nel mondo, deve strappare se vuole rispondere alla mistica del nuovo neofascismo.

Baluardi per un antifascismo del futuro

antifa

Fine del revisionismo sulla violenza della guerra partigiana

Condizione sine qua non in Italia per costruire un nuovo antifascismo è azzerare il discorso attorno alle “vittime dei partigiani.” Sì, la guerra partigiana ha fatto vittime. Sì, ogni guerra, e ogni soldato, è responsabile della morte di qualcuno — è come funzionano le guerre. L’eroismo partigiano è aver riconosciuto la necessità di prendere le armi e coprirsi di questa responsabilità ontosa senza l’obbligo di un governo. Questo è un atto eroico, e mentre le generazioni si allontanano dalla guerra è un frame che sarà sempre e solo più facile da inquadrare. Basta avere il coraggio di dirlo: i partigiani hanno ucciso, deal with it.

Una nuova cultura xenofila che faccia paura ai fascisti

Superare ogni barriera di etnocentrismo e esoticismo verso un’esaltazione delle differenze di tutti i popoli, le culture e i generi: una allofilia totale che celebri attraverso l’empatia non solo ogni forma di diversità, ma ogni forma di novità. Al di sotto della patina di meme dell’estrema destra di oggi resta un concetto basilare che affascina i piú semplici e i piú deboli: che nascere nella stessa nazione, preferibilmente maschi, sia requisito sufficiente per essere degni di privilegio. Questa cultura può essere neutralizzata in un solo modo: teorizzando che i privilegi debbano essere per tutti — ovvero, che non esistano privilegi — e che sia la diversità quello che caratterizza l’umanità, e non l’omologazione.

Una nuova base generazionale di lavoratori

Dai rider di Bologna ai webmaster sottopagati di Nuova Delhi, è estremamente facile riconoscere il profilo di una nuova generazione di “proletariato.” Purtroppo, questa è una parola che è stata vittima di una cultura che l’ha lasciata inutilizzabile. Emergerà certamente una parola per descrivere queste persone — e loro devono essere il fulcro, la “classe” che si porterà sulle spalle questo nuovo antifascismo.

Deve crederci anche il “centrosinistra”

Nel contesto della nostra nuova società super istantanea e tutta urlata, la sconfitta dei movimenti “liberal” può essere riassunta in un solo dato di fatto: mentre la destra moderata era ben felice di accompagnarsi con chi soffia il fischietto dei neofascisti, anche molto forte, parlando di “passeggiate su Roma,” il centro progressista ha sempre visto con disappunto, se non disprezzo, forme più forti di progressismo. Solo attraverso l’appiattimento di questi due fronti, e l’accettazione da parte del centrosinistra che posizioni di compromissione con il centro e con la destra sono suicide, si può lavorare sui numeri necessari per rispondere a questa bordata.

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Per essere uniti dalle diversità di vuole: empatia e pazienza. Due doti che anche nelle sinistre di questi anni non vengono in abbondanza. Ma mossi dalla certezza che i nuovi fascisti siano una maggioranza relativa e non assoluta si può costruire un nuovo fronte: sarà tenuto insieme a martellate, ma ogni fronte è tenuto insieme a martellate. L’avanzata del nuovo fascismo è interamente frutto di una nuova avanzata di paura su tutto l’Occidente, che dopo decenni tremebondi ha scoperto di essere di nuovo terrorizzato di fronte al cambiamento.

La paura è semplice, e per questo allettante: ma nessuno la preferisce al coraggio, e solo con coraggio si può tornare a rivendicare che l’Italia deve essere un paese migliore, pena l’aver sprecato il sacrificio inimmaginabile di un’intera generazione.


In copertina: foto di Alessio Lucarini, dalla manifestazione antirazzista a Firenze per la morte di Idy Dien, lo scorso 10 marzo.

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