Ghetto Falsetto e la costruzione del suono: intervista a Bruno Belissimo
In un paio d’anni ha collezionato un numero impressionante di concerti (più di 100) in Italia e all’estero, svariate collaborazioni e due album.
in copertina, grab dal video di Tempi Moderni (YouTube)
In un paio d’anni ha collezionato un numero impressionante di concerti (più di 100) in Italia e all’estero, svariate collaborazioni e due album di cui il secondo, Ghetto Falsetto, in uscita il 4 maggio per La Tempesta/Stradischi.
Lui è Bruno Belissimo, producer italo canadese e personaggio interessantissimo. A colpo d’occhio si può rimanere spiazzati, le sue camicie a fiori, i suoi baffi e la sua musica sembrano essere una caricatura forzata del tipico immigrato italo americano. Parlandoci insieme poi invece scopri che Bruno è una persona estremamente interessante e disponibile, molto preparata e lucida nel descrivere il suo percorso.
Ghetto Falsetto si evolve, se così si può dire, rispetto al tuo lavoro precedente. Ha dentro di sé diversi riferimenti musicali. La cosa che mi ha più sorpreso è una leggera spinta verso sonorità più house.Sai che questa cosa della house non sei il primo che me la fa notare? In diversi me l’hanno detto. Io onestamente non lo sento un riferimento o quantomeno non lo è nelle intenzioni. Evidentemente è qualcosa di profondo in me che prima o poi verrà fuori (ride).
Rispetto al disco precedente sicuramente Ghetto Falsetto ha sonorità più tipicamente elettroniche. Entrambi sono stati scritti di getto ma per quest’ultimo ho avuto poi la possibilità di sfruttare strumenti che via via sono andato collezionando. Ho suonato molte tastiere analogiche originali degli anni ’80. C’è stato tutto un processo più elaborato dietro a questo disco.
Il tuo sound, il tuo look, il tuo progetto… è tutto molto fedele, coordinato ed originale. Le ispirazioni sono piuttosto chiare! Come si aggiunge quel tocco di personalità in più e come si fa evolvere un suono estremamente riferito?
Questa è una bella domanda!
Io non campiono nulla, io suono tutto. Se un disco avrà dieci pezzi, io scrivo quei dieci pezzi e li porto avanti fino allo sfinimento. C’è molta cura dietro.
Il suono, come dici tu è un riferimento chiaro nella mia musica. Se campionassi però andrei a fare un lavoro diverso, di rielaborazione se vuoi, ma non quello che voglio fare io.
Parto da un pezzo, da un suono di una tastiera, lo ricostruisco con gli strumenti che ho io che spesso sono proprio gli stessi che senti nei dischi di riferimento che ascolto. Inizio a suonare ed è come se ripercorressi tutto il processo compositivo dell’epoca. Poi ovviamente oggi siamo nel 2018 è tutto molto più facile. Ma l’idea e il processo è più o meno sempre quello. In questo modo riesco ad ottenere un risultato che mi soddisfa, che rispecchia il sound originale ma con la mia personalità. Un altro aspetto importante è il limite che mi impongo sugli strumenti. Uso quelle tastiere, quella chitarra, quel basso. Sfrutto al massimo quello che ho scelto di utilizzare. Proprio per emulare il più possibile anche i limiti e le possibilità che si avevano 30 anni fa.
Cambierà qualcosa nei tuoi prossimi live o saranno simili a quelli del precedente tour?
Bene o male il live è lo stesso. Sto aggiungendo qualcosa perché la mia idea di live è comunque qualcosa che sia semplice da portare in giro. Senza limitarmi ma senza eccedere. Anche in questo caso preferisco avere pochi strumenti ma sfruttarli a pieno. Sicuramente aumenterò le parti più suonate al basso, che poi è anche il mio strumento principale. Da questi anni ho imparato un po’ cosa va meglio e cosa va peggio durante il live, come reagisce la gente. Intorno a queste esperienze cerco sempre di migliorare e portare qualche modifica.
Non ti viene voglia di portare qualcuno sul palco con te?
L’idea ce l’ho già da molto, è un’evoluzione cui voglio tendere. Non voglio però avere fretta.
Guarda, banalmente, mio fratello suona la batteria (Joycut, Colapesce) e con lui abbiamo sempre avuto vite artistiche parallele. Abbiamo entrambi in mente questa cosa e prima o poi torneremo su un palco insieme, mi piacerebbe molto anche perché siamo molto legati, siamo gemelli. Deve però avvenire in maniera naturale, tutto con i suoi tempi.
Tornando al disco, dove hai trovato il tempo per scrivere un album in mezzo a tutti i live che hai fatto in questo biennio?
È il vantaggio e lo svantaggio di fare tutto da solo. Il vantaggio è che mi basta il mio computer. Ovunque sono scrivo: in treno, in aereo, in albergo…
Poi appunto suonando tanto sono anche uno che si stufa in fretta, ho sempre voglia di aggiungere un pezzo, andare oltre. Quindi più suonavo i pezzi vecchi più avevo voglia di aggiungerne di nuovi.
Ovviamente poi arriva il momento in cui ti chiudi in studio, rielabori tutto il materiale e lì poi è diverso.
Esatto, dovessi fare un rapporto, quanto tempo ti porta via la fase di scrittura e quanto tutto il resto… arrangiamenti produzione ecc
A me, come ti dicevo prima, piace scrivere. Lo faccio molto naturalmente. La parte dopo, quella in studio, del mix mi annoia un po’. Poi è un passaggio doveroso che da anni segue Marco Caldera e lo fa ottimamente. Io un po’ mi annoio ma so quanto sia importante.
Oltre a questo progetto tu sei anche un bassista che ha collaborato e collabora con diversi artisti? Ho visto che proprio in questi giorni sei in studio con Calcutta per registrare alcuni pezzi del suo nuovo disco, vuoi raccontarci qualcosa?
Con Edoardo siamo amici, ci siamo sentiti, mi ha chiesto di registrare alcune cose e mi ha fatto piacere. Non so ancora cosa e come entrerà nel disco.
Io nasco come strumentista quindi mi fa piacere che parallelamente alla mia attività di produttore e all’attività live ci sia anche il modo di collaborare e suonare con gente che stimo. Suonare su pezzi non miei mi fa tornare a fare il bassista, è una cosa molto divertente e utile, a volte serve staccarsi un po’ dal proprio progetto. Sono fortunato ad avere queste possibilità.
Bruno, grazie mille, ci vediamo all’Ohibò il 28 aprile!
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