A Zagabria la storia non è più quella di una volta. Tra guerre dei numeri e interpretazioni faziose, la destra croata sta combattendo una campagna online per riscrivere il passato, glorificando il governo fascista di Ante Pavelić.
Wikipedia, nella sua versione in lingua croata, indica attualmente il campo di sterminio di Jasenovac come un “sabirni logor,” ossia un semplice campo di raccolta. Secondo questa definizione, gli internati nel lager croato sarebbero stati solo detenuti temporaneamente per poi essere ricollocati in altri campi, al di fuori del Paese. Ma da Jasenovac i prigionieri, spesso, non ne uscivano vivi. Secondo alcune stime, infatti, i morti nel campo sono stati almeno 83.000, di cui più di 20.000 erano bambini.
La rilettura della storia da parte della Croazia non è nuova e rientra in una rielaborazione che sta interessando altri paesi europei. La Polonia, ad esempio, con una controversa legge, ha dichiarato di non avere alcuna responsabilità nell’Olocausto. Se è vero che i polacchi furono i primi ad essere internati dal regime nazista, è altrettanto storicamente appurato il ruolo attivo dei cittadini polacchi nella gestione dei campi. Sempre per quanto riguarda la Polonia, la versione croata di Wikipedia indicava tra le cause dell’invasione nazista un presunto genocidio polacco dei tedeschi. Tuttavia, nessuna fonte storica ha mai suffragato tale ipotesi, tanto da spingere i gestori croati di Wikipedia a intervenire. La correzione è arrivata comunque solo dopo che la storia era stata ripresa da numerosi quotidiani ed è rimasta leggibile sull’enciclopedia online per mesi.
Il rapporto della Croazia con il regime ustaša di Ante Pavelić, alleato con la Germania nazista e l’Italia di Mussolini, è da tempo controverso. Nel 2017, proprio per queste ragioni, la comunità ebraica croata boicottò l’annuale commemorazione dell’Olocausto organizzata dal governo. Secondo i rappresentanti della comunità ebraica il governo non starebbe arginando efficacemente il riemergere di gruppi fascisti, che si richiamano esplicitamente al periodo ustaša, nel paese.
Il revisionismo di Jasenovac non è nuovo, tuttavia. Il primo presidente della Croazia indipendente, Franjo Tuđman, sostenne che la stime delle morti dell’Olocausto fosse notevolmente sopravvalutata, e che lo sterminio degli ebrei non sarebbe occorso nel caso di vittoria della Germania nazista sull’Unione Sovietica. Già da tempo vi è infatti una vera e propria “guerra dei numeri” tra Belgrado e Zagabria, tra esagerazioni dei primi e sottostime dei secondi. Le motivazioni sono tutte estremamente politiche: i serbi, con le loro stime tra i 700.000 e gli 1.1 milioni, cercando di sottolineare le atrocità del governo ustaša e arrivare al riconoscimento di un genocidio serbo, mentre i croati, le cui stime arrivano anche a circa 1.500 morti, hanno l’intenzione di separare l’operato del governo di Pavelić dal progetto di morte programmata attuato da Hitler e Mussolini.
Nel difficile rapporto tra passato fascista e Croazia moderna si inserisce a pieno titolo il partito Alleanza Democratica Croata di Slavonia e Barania (Hrvatski demokratski savez Slavonije i Baranje – HDSSB). Alle elezioni del 2015, al momento della consegna delle firme necessarie per poter partecipare alle elezioni, il leader del partito Branimir Glavaš si fece accompagnare da un gruppo di giovani in camicia nera. Una scena che aveva allarmato la stampa internazionale. L’HDSSB ottenne solamente due seggi. L’anno dopo, alle elezioni anticipate a causa della caduta del governo, il partito superò di poco lo sbarramento ed elesse un solo parlamentare.
Forti polemiche si erano registrate anche nel 2017, quando una targa dell’HOS, l’associazione dei veterani del gruppo paramilitare che operò in Croazia durante il conflitto tra il 1991 e il 1995, fece apporre una targa a Jasenovac di commemorazione dei suoi caduti con il motto ustaša “za domni spremni!” (per la patria, pronti!). La targa, che fu soltanto spostata nella vicina città di Novska, fu per l’HOS una legittimazione del proprio stemma, del motto e della propria stessa esistenza a più di due decadi dalla fine della guerra con la Jugoslavia di Slobodan Milošević.
Nel frattempo, tra polemiche e timide aperture verso il passato ustaša, i croati ancora attendono la canonizzazione dell’arcivescovo di Zagabria Alojzije Stepinac. Condannato da un tribunale partigiano per collaborazionismo con i nazisti, Stepinac ebbe un duplice atteggiamento verso il governo fantoccio di Pavelić. Iniziale sostenitore del progetto ustaša, criticò fortemente il campo di concentramento di Jasenovac e le politiche razziste istituite durante la guerra. Tuttavia, ritenne le persecuzioni verso i serbi come “eccessi nell’ambito dell’attività bellica,” lasciando non poche ombre sulla sua persona.
Nonostante i numerosi esempi di come la società croata stia abbracciando lentamente il revisionismo, il governo non sembra intenzionato per ora a prendere le necessarie contromisure per arginare il fenomeno. La seppur breve presenza nell’esecutivo di Zlatko Hasanbegović in qualità di Ministro della Cultura è indicativa della posizione del governo croato. Noto revisionista, Hasanbegović da giovane aveva firmato alcuni articoli di giornale nel quale definiva gli ustaša come eroi, per poi fare numerose dichiarazioni che hanno suggerito ben più di una simpatia verso lo Stato Indipendente di Croazia, guidato dagli ustaša di Ante Pavelić e al fianco di Hitler.
L’esecutivo guidato da Andrej Plenković, leader del partito HDZ (Unione Democratica Croata), tende a minimizzare quanto sta succedendo. Tra le cause, certamente, la volontà di non inimicarsi una larga parte dell’elettorato che gli ha quasi sempre garantito il potere in Croazia sin dalla sua indipendenza. È proprio questa politica permissiva che permette al revisionismo di crescere e di espandersi nella società croata, ed esempi di questa tendenza continuano a non mancare.
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