Perché venti lavoratori del Cenacolo Vinciano rischiano il licenziamento

Gli addetti ai “servizi aggiuntivi” del museo sono in agitazione per la mancanza di una clausola di tutela nel nuovo bando d’appalto.

Perché venti lavoratori del Cenacolo Vinciano rischiano il licenziamento

Gli addetti ai “servizi aggiuntivi” del museo — biglietteria, caffetteria, bookshop — sono in agitazione per la mancanza di una clausola di tutela nel nuovo bando d’appalto.

Il “Cenacolo” di Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie è il sedicesimo museo per affluenza nel nostro paese, con 416.337 visitatori registrati nel 2017. Inserito tra i patrimoni dell’Unesco nel 1980, contemporaneamente alla città di Roma, è senz’altro uno dei musei più importanti d’Italia, e contribuisce significativamente all’affluenza turistica dei siti museali della Lombardia, regione che si posiziona quinta nella classifica stilata al termine dell’anno passato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.

Eppure il Cenacolo Vinciano negli ultimi giorni non è stato sede soltanto del capolavoro dipinto su una delle pareti del refettorio di Santa Maria delle Grazie. Mercoledì scorso, 11 aprile, hanno avuto luogo un’assemblea e un flash mob (i cui partecipanti hanno riprodotto proprio L’Ultima Cena di Leonardo) organizzati dai lavoratori addetti a biglietteria e bookshop. Sono infatti quasi venti i posti di lavoro a rischio a causa dell’imminente rinnovo dell’appalto per i servizi aggiuntivi.

Serve un passo indietro: dal 1993 è in vigore la Legge Ronchey, che con l’art. 4 ha introdotto la gestione privata dei servizi aggiuntivi nei musei italiani, con lo scopo di garantire un parziale autofinanziamento del patrimonio storico-artistico. Servizi come biglietteria, bookshop, caffetteria, guardaroba, ogni quattro anni (con la possibilità di un solo rinnovo) vengono affidati all’ente privato vincitore della gara d’appalto. Nel 2015 è stata però apportata un’aggiunta: il ministro della Cultura Dario Franceschini, in accordo con i sindacati CGIL, CISL e UIL, ha inserito una clausola sociale nelle gare Consip, con lo scopo di assicurare il totale riassorbimento dei lavoratori precedentemente assunti in caso di cambio di gestione.

Il bando attuale scadrà il prossimo agosto, ma i lavoratori coinvolti non hanno trovato, questa volta, una clausola sufficientemente chiara che gli assicuri una continuità lavorativa. Anzi, quando a dicembre dell’anno scorso è uscito il primo bando, la clausola era proprio assente.

“Il primo bando è uscito a cavallo di dicembre e gennaio, la clausola sociale però non veniva menzionata. Ovviamente noi ci siamo mossi attraverso il sindacato e con nostro disappunto il bando è stato annullato, anche se per altri motivi (un’azienda ha fatto ricorso per l’internalizzazione delle audioguide e quindi è stato rifatto),” ci spiega Alessandra Caletti, rappresentante sindacale dei lavoratori alla biglietteria. Alessandra insieme ai suoi colleghi lavora per il Museo del Cenacolo Vinciano da circa vent’anni, e sta quindi assistendo al terzo cambio di appalto — dal momento che il precedente ha avuto una durata di otto anni, sfruttando la formula quattro più quattro.

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Wikimedia Commons

“Quando è uscito il secondo bando, quindici giorni fa, la clausola sociale era presente ma comunque molto ambigua, anche se sostengono che non sia così. Le parole infatti sono chiare, c’è scritto Prerogativamente a seconda delle leggi Europee, il che vuol dire che nel caso subentri una determinata azienda non è detto che quel prerogativamente valga. È dunque una clausola ambigua e noi dopo vent’anni vogliamo certezze,” continua Alessandra. Non si tratta solo dei lavoratori coinvolti, ma soprattutto delle famiglie che hanno costruito una stabilità economica grazie a contratti a tempo indeterminato. Alessandra insieme ai suoi colleghi si è quindi rivolta al Polo Museale della Lombardia per richiedere un incontro in cui venga chiarito quanto scritto sul bando, e questo avrà luogo il 20 aprile.

“Chiederemo una clausola corale ad hoc in cui venga espresso l’obbligo di riassorbire i lavoratori coinvolti e non solo la priorità”.

Inizialmente era stato previsto un secondo sciopero, in una data più critica e simbolica rispetto a quella dell’11, cioè il 21 aprile, che coincide con la chiusura della settimana milanese del design e dei suoi eventi annessi, il Fuorisalone, che l’anno scorso ha portato un’affluenza “record” di migliaia di visitatori da ogni parte del mondo e d’Italia. L’annuncio aveva subito allarmato il sindaco Giuseppe Sala che su Facebook ha scritto di essere disposto ad attivarsi per trovare una soluzione, chiedendo però la sospensione dello sciopero in quella data, per il beneficio della comunità.

L’intervento del Sindaco potrebbe davvero garantire i posti di lavoro? “Non vorrei che questa cosa diventasse una sua strumentalizzazione, lo sciopero del 21 è stato sospeso ma lo era già stato prima che il sindaco parlasse, perché abbiamo deciso di aprire un tavolo tecnico con la direzione del Polo museale e quindi sarebbe un atteggiamento anti-sindacale scioperare. E mi dispiace dirlo, ma non so quanto al sindaco possa veramente toccare la nostra situazione. Lui si preoccupa dei turisti, della città in questo periodo affollato a causa del fuori salone. Ma ripeto, tutto ciò era già stato previsto, quindi il sindaco può stare tranquillo che non sciopereremo. Noi ci siamo rivolti anche al Comune proprio perché Milano viene definita come la città più europea d’Europa per il suo essere all’avanguardia su molti servizi, e quindi fare scendere di qualità un museo del genere a causa del personale sarebbe controproducente. Quindi ci stiamo battendo non solo per noi ma anche per la città stessa.”

Il vero interlocutore dei lavoratori non è però il Comune, che non ha la possibilità decisionale in questa situazione, bensì lo Stato. Il Comune quindi non può fornire altro che un supporto morale ma soprattutto politico. A metà febbraio ha infatti firmato un protocollo di intesa con le organizzazioni sindacali, in cui la clausola sociale viene esplicitamente inserita.

Nonostante siano state applicate modifiche importanti, la più recente nel 2017 (che prevede l’obbligatorietà delle clausole sociali per gli affidamenti dei contratti di concessione e di appalto di lavori e servizi) nella sua applicazione pratica non sempre la clausola sociale risulta sufficiente e soprattutto efficiente, come è stato riscontrato in questo caso.

Quindi quello che si è verificato al Cenacolo potrebbe coinvolgere altri musei Italiani? Alessandra ci risponde affermativamente. “Si tratta di una questione del tutto politica, ma viviamo un momento particolare nel quale non abbiamo nessun governo. Quindi rimane valida la clausola sociale realizzata da Franceschini, la legge possiede sì la clausola però in ogni situazione può essere rigirata a piacere. Proprio come è avvenuto nell’ultimo bando presentato, nel quale il prerogativamente può assumere un valore diverso a seconda del fatto che venga impugnato da noi lavoratori o dall’azienda. Il termine infatti perde il suo valore se l’azienda decide di imporre il proprio personale.”

Alessandra mi saluta con una risata che lei stessa definisce “un po’ isterica”, adatta a una situazione di incertezza che non dovrebbe essere tale. Mi racconta infine di una delle sue colleghe, con un mutuo ed un figlio completamente a carico, sicuramente la più svantaggiata nel caso di un eventuale licenziamento. Il 20 di aprile, quindi rappresenterà i suoi colleghi di fronte alla direzione del Polo Museale, in un incontro che comunque prospetta come tranquillo. Ha ben chiaro che comunque l’agitazione è ancora tanta, e in attesa del resoconto che probabilmente verrà stilato e pubblicato internamente al Polo, si sente di affrontare la situazione con la grinta che l’ha portata ad essere scelta come rappresentante.


In copertina: foto via Twitter.

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