I Sons Of Kemet e cosa dovrebbe essere una regina

Il nuovo album della band inglese unisce jazz ad ascendenze caraibiche per celebrare le donne afroamericane e chiedere quale sia la vostra regina.

I Sons Of Kemet e cosa dovrebbe essere una regina

Il nuovo album della band inglese unisce jazz ad ascendenze caraibiche per celebrare le donne afroamericane e chiedere quale sia la vostra regina.

Forse qualcuno li ha visti esibirsi lo scorso anno qui a Milano, in occasione del JazzMi, in un live infuocato in cui molti hanno ceduto alla tentazione di alzarsi dalle proprie comode poltroncine per ballare, o quantomeno muoversi ossessivamente in qualcosa di vagamente simile. Altri forse ne hanno sentito parlare in riferimento alla nuova scena jazz londinese. In ogni caso si tratta dei Sons of Kemet, il cui nuovo lavoro esce domani per la storica Impulse! (John Coltrane, Charles Mingus e Albert Ayler vi dicono qualcosa?).

Il titolo del progetto è Your Queen Is A Reptile e propone un jazz potente, dai ritmi tribali. Si sente l’eco dei Caraibi e l’allontanamento dalle influenze rock del precedente album (Lest We Forget What We Came Here To Do). La scelta di avere due batteristi (Tom Skinner, Eddie Hick) crea uno tappeto sonoro caotico ed incalzante, accompagnato da Theon Cross alla tuba. Su questo sfondo è libero di muoversi Shabaka Hutchings, sassofonista britannico originario delle Barbados, nonché leader della band.

I titoli dei brani sono tutti costruiti secondo la formula “My Queen Is” seguita da nomi di donne che si sono battute per i diritti degli afroamericani. Attiviste come Angela Davis, Albertina Sisulu, Anna Julia Cooper, figure mitiche come Nanny Of The Maroons o donne allo stesso modo fondamentali per la formazione di Shabaka, come sua nonna, Ada Eastman.

I due singoli che anticipano il disco sono “My Queen Is Harriet Tubman” e “My Queen Is Ada Eastman”

Il sottotesto concettuale va ricondotto all’afrofuturismo e al post-colonialismo, territori teorici estremamente fertili che meriterebbero un discorso a parte. Ambiti di riflessione, però, cari a Shabaka, legato, per motivi biografici, a quegli stessi popoli colonizzati e oppressi, che ancora oggi vivono in mezzo a storture e contraddizioni. Illuminanti in tal senso sono due brevi testi, scritti dall’artista Joshua Idehen e pubblicati sui social, che saranno inseriti nella copia fisica del disco.

https://www.instagram.com/p/BdiYRfAjJFe/?hl=it&taken-by=shabakahutchings

Tutto si gioca sulla tensione tra i titoli delle tracce e quello del disco. Le “regine” afroamericane, celebrate per la loro strenua resistenza, le loro lotte per la liberazione dallo sfruttamento e la dissoluzione del razzismo (con tutte le barbarie annesse e giustificate in nome di esso) vengono contrapposte all’altra regina, quella della Corona britannica, personificazione di decenni di politiche imperialiste in nome di un fantomatico white man’s burden. Compito dell’ascoltatore sarà poi “to think about what your queen is” (pensare a chi sarà la vostra regina).

Una provocazione per ridefinire il concetto di regina e ridare voce alla propria storia, senza dimenticare che si tratta di jazz, ben fatto, che tocca e smuove prima ancora che le coscienze, i corpi.

https://www.instagram.com/p/Bdj9u5bDO8-/?hl=it&taken-by=shabakahutchings

Il tour per il lancio del disco toccherà anche l’Italia, Milano compresa. Tutte le informazioni qui.


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