L’Italia non è un paese di destra

Comunque lo si valuti, il Movimento 5 Stelle risponde temi che sarebbero dominio della sinistra, non fosse per la miopia e l’ottusità degli attuali leader di partito.

L’Italia non è un paese di destra

in copertina: Matteo Renzi fugge in bici, foto di Francesca Notaro

Comunque lo si valuti, il Movimento 5 Stelle risponde a domande che sarebbero dominio della sinistra, non fosse per la miopia e l’ottusità degli attuali leader di partito.

Alle prime luci del 5 marzo, di fronte a un risultato elettorale che è difficile pensare peggiore per il centrosinistra e la sinistra, fare analisi è difficilissimo. Ci sono delle responsabilità, che dovranno essere incassate, di Matteo Renzi, ma il problema è piú vasto, e interessa progetti politici che avrebbero dovuto trovare forza proprio nella debolezza del Pd di Renzi, e che invece sono andati altrettanto male.

È impossibile non leggere il risultato elettorale di Liberi e Uguali, a stento sopra il 3% in queste ore e con fallimenti particolarmente brucianti per Bersani e D’Alema, come la fine di un partito che non era nemmeno iniziato. È impossibile non pensare a un Matteo Renzi non costretto a dimettersi non appena si concluderanno le consultazioni per la formazione di un governo.

Ma cos’è successo? Perché così pochi elettori hanno deciso di riporre il proprio voto nel centrosinistra e nella sinistra? Mentre qualcuno commenta che “l’Italia è un paese di destra,” cerchiamo di dare una risposta piú completa.

Matteo Renzi e il Pd hanno preso pochissimi voti, al momento in cui scriviamo, poco oltre la metà dello spoglio, si assestano appena sotto il 20% — ovvero, hanno preso voti che possiamo considerare “identitari,” delle persone che voteranno sempre il partito.

In quella che sarebbe quindi un’impasse incredibilmente semplice da superare, il Pd è ancora completamente incastrato nella narrazione renziana che scambia l’ottimismo per il progressismo.

È la retorica secondo cui strumenti di propaganda come Matteo Renzi News in piena campagna elettorale pubblicavano deliri di Richetti che parlava di “boom industriale.”

boom

Cos’è successo? È successo che il Pd, dopo il trapianto di cervello subito con l’innesto delle strutture renziane nel partito, si è dimenticato di aver guidato una serie di governicchi di coalizione, deboli e deludenti. Da questa posizione, ideologicamente compromessa, il Partito democratico non ha saputo leggere e trovare risposta a un vastissimo disagio di tutta la società. Di fronte al crescente malcontento di famiglie e di giovani disoccupati, il Partito democratico rispondeva che le cose non stavano andando peggio, stavano andando meglio, e che bisognava votarli per continuare a farle andare così.

Quando un partito — un partito che dovrebbe essere ben radicato sul territorio, un partito che era al governo — non è in grado di leggere indicatori così evidenti nella società, a prescindere da quante persone mantengano comunque un legame identitario con l’area di riferimento, è un partito morto, finito.

Che cosa doveva fare il Pd? È impossibile dirlo: certamente avrebbe dovuto spiegare, agli elettori, che molte delle sue politiche erano misure nate dal compromesso: con partiti in coalizione, con l’Unione europea, con il debito pubblico. È una cosa che ha dell’assurdo: anche all’interno del partito era diffuso il malcontento per tante delle norme firmate dai governi Renzi e Gentiloni, ma non si è mai provato a spiegare agli elettori questa tensione, non si è mai provato a raccontare l’Italia reale — perché è un racconto piú complesso, perché non è un racconto bello, è un racconto di povertà, di tensione.

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I due principali esperimenti a sinistra del Pd, Liberi e Uguali e Potere al popolo, hanno registrato risultati altrettanto deprimenti, con Leu appena sopra la soglia di sbarramento — per un soffio — e Pap che incassa un 1,2% che non gli permetterà di entrare in Parlamento.

Il risultato di Potere al popolo non è da leggere però in chiave negativa, soprattutto per un simbolo che tre mesi fa ancora non esisteva, e anzi probabilmente indica la via per un futuro della sinistra, e sì, del centrosinistra.

In un contesto di montante disagio sociale il ruolo delle forze progressiste, come comunicatori ancora prima che agenti politici, è di orientare la conversazione verso le vere cause del dissesto sociale — chiamatelo come preferite, in pratica si tratta di saper leggere il Capitale di Marx.

Al Pd mancava “un colpevole” da additare, un equivalente retorico dei migranti o delle tasse troppo alte che Berlusconi si è speso ad ogni singola campagna elettorale. Non si tratta di mentire ai propri elettori, come fanno gli esempi di cui sopra, ma di dare alle proprie politiche — al proprio programma — quello che, in altri tempi, avremmo chiamato un inquadramento ideologico.

Il Partito democratico avrebbe potuto raccontare come fosse l’ultimo baluardo contro l’avanzata della crisi e contro un’Unione Europea solo burocrate. Ha preferito al contrario vantarsi di microscopici risultati — che fuori dalle mura delle sedi di partito non vengono nemmeno considerati tali.

Liberi e uguali, che vantava al proprio interno tutto il gotha della sinistra progressista italiana, ha fallito per ragioni simili: per la mancanza di un certo esprit vital che comunicasse agli elettori una possibilità di combattere — quell’energia che Potere al popolo aveva, ma che non poteva proporre a un pubblico più ampio.

Concludere il discorso sostenendo che sia impossibile costruire una piattaforma, se non populista, per lo meno popolare su fondamenti basilari della sinistra è miope: esattamente come in questi anni pessimi politici armati di retorica tecnicamente ben fatta sono riusciti a spostare il discorso — e gli elettori — verso le proprie cause, non c’è una ragione intrinseca per cui questo fenomeno non possa avvenire in senso inverso. Manca una personalità? No. (Non fateci dire un Corbyn italiano ché ci hanno appena provato ed è andata malissimo.)

La personalità, il traino di una sinistra popolare in Italia c’è: è il Movimento 5 Stelle. Il Movimento 5 Stelle, sia osservato sotto la lente di chi lo consideri un partito genuinamente post ideologico, le cui idee vengono valutate internamente solo per popolarità, sia per chi lo considera un partito di destra populista vecchio stampo — come il fascismo degli esordi — risponde a necessità, temi, battaglie che non c’è nessun motivo per cui siano diventati alieni al centrosinistra se non per miopia e ottusità degli attuali leader di partito.

In Italia, insomma, c’è un partito, i Cinque stelle, che è anche il primo partito del paese, che intercetta tantissimi voti, soprattutto al sud Italia, con argomentazioni di sinistra popolare. Che i partiti che dovrebbero essere di sinistra “davvero,” si rifiutino di combattere sul suo stesso campo è un paradosso retorico, giustificabile soltanto dalla tacita certezza di avere capisaldi ideologici meno radicati — o di essere meno bravi, o meno convincenti.

E se il problema è sentirsi meno convincenti su argomenti di sinistra rispetto a Alessandro Di Battista, forse il problema da cui partire è quello.

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