Dal 1951 esportiamo Sanremo nel mondo e nemmeno lo sappiamo
Con la prima edizione ospitata dal Casinò di Sanremo abbiamo creato un precedente che ha portato alla proliferazione di una serie di manifestazioni musicali più o meno dichiaratamente ispirate al festival ligure.
Con la prima edizione ospitata dal Casinò di Sanremo abbiamo creato un grosso precedente che ha portato alla proliferazione nel mondo di una serie di manifestazioni musicali più o meno dichiaratamente ispirate al festival ligure.
Anche quest’anno il festival sta andando molto bene (11.603.000 spettatori e 52,1% di share per la prima serata, 9.600.000 e 47,7% per la seconda), a conferma del fatto che noia e interesse si muovano spesso sullo stesso binario. Ma di questo nessuno aveva dubbi.
Si dirà – Sanremo va sempre bene – ed è vero. Perché nonostante gli ascolti subiscano inevitabilmente di anno in anno alcune piccole naturali oscillazioni, non sembra esserci un limite concreto alla resilienza del pubblico italiano, dopato notte e dì, quotidianamente, di preti, commissari – ma anche preti commissari – e nazionalpopolare, quindi ampiamente rodato a queste periodiche sfacchinate serali.
Sanremo non sarà bello ma almeno ha fatto sì che si creasse una sorta di franchising esportabile nel mondo. Sembra infatti un esemplare unico e raro di noia, invidiato non solo in Europa, ma anche negli altri continenti. Hanno provato a eguagliarlo in Norvegia con il Melodi Grand Prix e in Danimarca attraverso il Melodifestivalen – da cui è tratta la divertente (?) Livet på en pinne di Edward Blom. Entrambe le manifestazioni, però, non propongono solo brani cantati nella lingua dei propri paesi. Il più grande e riuscito tentativo di esportare il format del nostro beneamato festival della canzone italiana si è concretizzato materialmente, in maniera esplicita, solo nell’Eurovision Song Contest. Nel 2017 è stato visto da 182 milioni di spettatori – è l’evento non sportivo più seguito al mondo – e a sua volta ha prodotto, per emulazione, l’Eurovision Asia Song Contest e il Concorso Intervision della Canzone (1977-2008), entrambi nipoti acquisiti del nonno sanremese.
Tornando al peccato originale: Sanremo. Era nato da pochi anni e già faceva scuola, tanto che nel 1959 venne preso ad esempio dai cittadini di Benidorm, in Spagna, per istituire il Festival Internacional de la Canzión de Benidorm. Inizialmente nato per promuovere la musica spagnola, nel 2004 gli organizzatori hanno definitivamente abdicato tentando la strada del festival internazionale. Diverso è il caso del Festival di Viña Del Mar, in Cile. Ispirarsi in quel caso non bastava, allora il festival l’hanno proprio clonato, con tanto di cantanti italiani sul podio. Questo perché fino al 2015 il Festival di Sanremo non era brevettato. Insomma, per i primi sessant’anni liberi tutti. Poi, più a est, ci si è chiesti: perchè fare Sanremo solo a Sanremo? Da questo dilemma etico è sbocciato Shanremo e no, non è una battuta. Si è svolto veramente per cinque edizioni in Cina, a Shangai, ed è stato un festival di musica italiana un po’ naïf, qualcosa a metà tra la festa paesana e una serata karaoke con gli amici. Purtroppo Shanremo è durato molto poco, troppo poco, ma James Guo – questa è una promessa – la tua versione di Generale continuerà a commuovere segretamente i nostri nostalgici cuori sanremesi. La terremo lì, accanto al Va Pensiero di Albano con l’Armata Rossa e all’esibizione di Toto Cutugno di fronte alla folla moscovita.
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Insomma se è vero che in Italia il Festival della Canzone non piace – anche su questo ci sarebbe da aprire un dibattito – è altrettanto vero che ha creato un business riproducibile, invidiato ed esportato in tutto il mondo.
Non è semplice capire la portata mondiale di ascolti prodotta dalla settimana sanremese. Quello che si sa è che, oltre a venire trasmesso tutte le sere su Ra1, il festival è diffuso in eurovisione su Rai International e che durante questa settimana la città ligure ospita molti rappresentanti della stampa estera: nel complesso 6 tv, 30 emittenti e 17 testate (tra carta stampata e web). Che si aggiungono ai 599 giornalisti ospitati all’Ariston Roof e ai 750 accreditati di 362 radio, tv e web. Se anche voi vi siete chiesti che senso abbia partecipare al festival nel 2018 per un cantante o un gruppo – emergente o navigato, outsider o no, fresco o bollito – adesso dovrebbe esservi più chiaro. In ogni caso, come ha raccontato un giornalista russo a Cinzia Biancone della Rai, 1 milione di russi guardano il festival perché “amore, canzone, parlare, fiore… it’s very positive”. Che poi forse, sotto sotto, è lo stesso motivo… Ma va! Noi, se lo guardiamo, lo facciamo solo perché è trash.
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