Un fronte unico per la sinistra: perché Onorio Rosati è candidato in Lombardia
Concludiamo le nostre interviste a candidati alla regione Lombardia che non sono Attilio Fontana con una lunga conversazione con Onorio Rosati, di Liberi e Uguali.
Concludiamo le nostre interviste a candidati alla regione Lombardia che non sono Attilio Fontana con una lunga conversazione con Onorio Rosati, candidato di Liberi e Uguali.
Nelle puntate precedenti:
- La campagna elettorale secondo Giorgio Gori
- Cosa farebbe il M5S in Regione Lombardia: intervista al candidato Dario Violi
La candidatura di Rosati è arrivata non senza fatica, dopo una lunga discussione all’interno di Liberi e Uguali se sostenere la candidatura di Giorgio Gori, presentata dal Partito democratico.
Buongiorno signor Rosati, come sta andando la campagna elettorale?
Bene, movimentata. Non stiamo facendo una campagna solo milanese, stiamo girando provincia per provincia. In questo momento sono di ritorno dal pavese.
Stiamo raccogliendo quello che ci viene detto sul territorio per arrivare a sviluppare un programma, che depositeremo nei prossimi giorni.
Quali sono le priorità del programma?
Il tema del lavoro — questa è una regione che ha perso tantissima buona occupazione, sostituita da lavoro precario; il tema della sanità visto che, al di là degli stereotipi sull’eccellenza della Lombardia, c’è un evidente problema con le liste d’attesa; e c’è un tema dell’ambiente per cui proprio a Pavia c’è forte sensibilità, dopo questa serie infinita di roghi negli impianti di smaltimento. Sono incidenti che disegnano una regione con problemi non solo ambientali, ma anche con un elemento malavitoso che lucra sulla gestione dei rifiuti.
A proposito di ambiente — ne abbiamo parlato immediatamente con tutti i candidati — quali sono le priorità secondo lei?
L’inquinamento atmosferico è un problema di carattere strategico, la cui soluzione passa anche necessariamente da investimenti per spostare la mobilità verso il ferro. Sono politiche i cui risultati si fanno sentire nel tempo. Servono anche misure che possano contrastare il fenomeno rapidamente, dalla riconversione dell’impiantistica dei riscaldamenti a politiche di controllo delle emissioni, industriali e di smaltimento dei rifiuti. È un problema come dicevamo prima particolarmente grave nel bresciano e nel pavese.
Spostiamoci invece sul tema del lavoro: dopo il drammatico incidente della Lamina, cosa può fare la regione per migliorare la sicurezza sul lavoro?
La possibilità di potenziare i controlli è la prima necessità. Sono a cura della regione, attraverso ATS. Per questo serve una campagna straordinaria che passa anche attraverso l’assunzione di nuovo personale, che potrebbe essere finanziata attraverso i proventi delle sanzioni emesse durante le visite ispettive. Quando un’azienda non è in regola per salute e sicurezza sul lavoro, oltre ad avere un obbligo di intervenire per risolvere il problema, deve anche pagare una sanzione: attualmente queste risorse sono usate per abbattere costi su altri fronti in regione. Noi vorremmo invece che fossero usate per ampliare i servizi della Tutela della Salute.
Qualche anno fa lei è stato protagonista della fondazione dell’Osservatorio sul lavoro. Come ha funzionato l’organo?
È un organo partecipato da organizzazioni sindacali e associazioni imprenditoriali di Assolombarda. Serviva per condividere un’analisi periodica un’analisi sul mercato del lavoro, sul suo andamento e le sue caratteristiche. Dall‘altra parte ci consentiva di fare approfondimenti su abitudini e comportamenti delle aziende associate ad Assolombarda. Diciamo che era una lente di ingrandimento sul territorio della città metropolitana — solo in seguito Assolombarda si sarebbe espansa verso Monza e Brianza. Dava le possibilità alle parti sociali di confrontarsi su questi dati di analisi.
Lei prima parlava delle liste di cronicità. Qual è il problema e cosa si può fare per risolverlo, di preciso.
Esistono due delibere che affrontano male il tema della cronicità e che affrontano il tema della privatizzazione della cronicità. Ma è un problema che riguarda tre milioni e mezzo di cittadini lombardi che richiedono trattamenti periodici e un servizio che deve essere il piú efficace possibile. Pensare che ciò possa avvenire attraverso la costituzione di aziende private o cooperative del terzo settore la consideriamo semplicemente una risposta sbagliata: noi siamo per ridefinire la centralità dei medici di famiglia e per stipulare delle convenzioni con loro che vengano modificate alla luce di questo problema. È una parte di bilancio di regione Lombardia che necessita anche di maggiori risorse.
Passiamo a domande di carattere politico — e non possiamo non chiederglielo: perché in Lazio Liberi e Uguali ha deciso di correre con il Pd e in Lombardia no?
Perché ci sono due situazioni differenti, e credo sia un forte segnale di serietà: là si trattava di confermare il sostegno a un presidente uscente, già sostenuto da forze che oggi compongono Liberi e Uguali, e si tratta di un candidato la cui biografia rappresenta in modo equilibrato tutti i soggetti che hanno deciso di tornare in coalizione. Peraltro non è stata una scelta semplice, sia chiaro, ed è stato comunque necessario un intervento da parte del nostro presidente Pietro Grasso, attraverso un confronto e un negoziato molto serrato e molto concreto con Zingaretti, che ha sortito evidentemente un esito positivo.
Qui in Lombardia le condizioni non c’erano: il Partito democratico ha deciso autonomamente chi dovesse essere il presidente, non ci sono stati margini per organizzare primarie — noi di Articolo 1 le avevamo chieste — e c’era e permane un problema di contenuti dal punto di vista programmatico. Noi pensiamo che per contendere alla destra la regione Lombardia bisogna presentare un programma di radicale discontinuità rispetto a quando fatto dalle destre negli ultimi ventitré anni, cosa che non mi sembra sia nelle corde del Partito democratico e del programma di Gori. Il terzo aspetto ovviamente è nel perimetro della coalizione: noi avevamo chiesto che non ci fossero apertura a forze che con il centrodestra hanno condiviso le responsabilità di governo in tutti questi anni, e al contrario mi pare il Partito democratico abbia scelto di privilegiare accordi con queste forze — ci sono esponenti che in passato hanno fatto parte della filiera formigoniana, che oggi sono candidati nelle liste del Partito democratico in Lombardia.
Non sarebbe stato secondo lei quindi un fronte popolare comune contro Fontana?
No. Abbiamo fatto un percorso di confronto con i nostri iscritti, con i nostri militanti, e ci hanno chiesto di presentarci in modo autonomo, con un nostro simbolo e un nostro programma, un nostro candidato. Sarebbe stato incompatibile con il progetto nazionale di Liberi e uguali: lavorare per l’istituzione di una nuova formazione di sinistra per il paese.
Ecco, secondo lei quale può essere il futuro per Liberi e uguali dopo le elezioni: scomporsi ancora, o restare uniti?
Io mi auguro che avremo la capacità di allargarci ulteriormente, al contrario — dobbiamo diventare la casa di tutti coloro si dicono di sinistra e che fino a oggi non trovano una scelta politica che fosse convincente. Noi principalmente ci rivolgiamo alle persone che non votano piú, che sono deluse dalla sinistra e che magari gravitavano verso il Movimento 5 Stelle. Siamo intenzionati a lavorare al fine di allargare l’adesione a Liberi e Uguali, attraverso il civismo di sinistra, attraverso persone che non si riconoscono nei soggetti che hanno fondato Liberi e Uguali, ma che come noi sentono la necessità di avere un nuovo riferimento politico a sinistra.
Quindi magari anche chi oggi vota Potere al popolo?
Sì, perché no. Assolutamente — io mi auguro che tutto ciò che è a sinistra del Partito democratico possa rapidamente trovare le ragioni di una sua unità. Se ciò non dovesse avvenire noi proseguiremo comunque con il nostro percorso di allargamento. Se vogliamo contrastare questi fenomeni di avanzata della destra, di neopopulismo e sovranismo, c’è l’esigenza che ci sia una sinistra forte e con un’identità precisa, che diventi un punto di riferimento per un ampio schieramento di elettori.
Un’ultima domanda: secondo lei Fontana avrebbe dovuto ritirarsi dopo le sue dichiarazioni— o se non ritirarsi lui di sua sponte, qualcuno nel Pd non avrebbe dovuto chiederne il ritiro?
Io ho chiesto il ritiro di Fontana! Certe dichiarazioni non sono degne di una persona che si candida al governo della Lombardia, che è una delle regioni piú avanzate non d’Italia ma della Comunità europea. Certe dichiarazioni di carattere razzista avrebbero meritato una reazione, intanto da parte delle forze politiche che hanno espresso Fontana come loro candidato — prima di tutti loro avrebbero dovuto chiedere facesse un passo indietro — e poi naturalmente la comunità politica e civile del nostro paese, e lombarda, avrebbe dovuto pretendere da Fontana un allontanamento dalla sua candidatura.
Gori, invece, non ne ha chiesto il ritiro.
Probabilmente perché crede che la candidatura di Fontana renda piú contendibile la carica. Io penso invece che sia una vicenda molto grave e che non vada assolutamente sottovalutata. Dato ancora piú grave sarebbe, ovviamente, se questa dichiarazione gliene facesse guadagnare di voti. Sarebbe uno scenario che dovrebbe portarci ad una lunga riflessione.