Il lieto fine di La La Land, rivisto un anno dopo

Proviamo a sviscerare tutte le profondità del film, un trattato sulle illusioni che nutrono la nostra anima.

Il lieto fine di La La Land, rivisto un anno dopo

Proviamo a sviscerare tutte le profondità del film, un trattato sulle illusioni che nutrono la nostra anima.

Esattamente un anno fa usciva nelle sale italiane La La Land, trascinante e amatissimo musical candidato alla bellezza di 14 premi Oscar.

Dopo la prima visione, avevo colto solamente una piccola parte del suo potenziale emotivo. Vedendolo adesso, mi sono reso conto di esserne sempre stato innamorato.

Ero immerso nella malinconia quando ho ripensato alla prima versione di City of Stars, quella in cui Sebastian passeggia sul molo di Los Angeles, chiedendosi se l’incontro con Mia lo condurrà a qualcosa di nuovo e straordinario, o se sia solamente una nuova illusione, un sogno che non può realizzare.

Quella scena mi è rimasta impressa, è uno spartiacque che porta la storia in una nuova direzione. E anche un momento fortemente simbolico — Seb incontra una coppia di anziani: per un attimo “strappa” la signora dal suo partner e prova a ballarci per qualche secondo; poi quello se la riprende, e Seb rimane da solo. Ha conosciuto qualcosa di bellissimo, un’amore che dura da una vita, ma infine è costretto a osservarlo in disparte.

Sono partito dal ricordo di quel momento, ho proseguito rivedendo il film, e ho finito rendendomi conto che, a un anno di distanza, ero follemente innamorato di La La Land. Ma non è stata la scena del molo a lasciare il segno più profondo. La mia riflessione ha abbracciato il film nella sua interezza, a partire dal finale della storia, riletto però in un’altra chiave.

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A rat-tat-tat on my heart

Avevo già visto il film due volte, e ne ero sempre uscito convinto di essermi perso qualcosa, di non averne accolto in pieno tutte le possibilità emotive. Sì, mi aveva commosso, ma in un modo che avrei potuto spiegare solamente in maniera molto sbrigativa: il finale era triste.

Per fare un parallelo musicale: uscendo dalla sala, con me rimanevano un motivetto, un fischio, un accenno di canzone, ma ero sicuro che nascondessero qualcosa di più forte — il suono che può produrre solo una grande orchestra, una travolgente sinfonia emotiva.

Dopo pochi minuti mi sono reso conto che era come se non avessi mai abbandonato il film: le sue luci e i suoi colori, la sua musica, la sua incredibile vitalità nel raccontare due esseri umani alla ricerca della propria buona stella. Provo a raggruppare i due temi che mi sembrano più significativi nei prossimi due capitoli.

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Uno sguardo negli occhi di qualcuno

Distratti dal gossip e dalla notte degli Oscar, spesso dimentichiamo la fragilità di un attore, o di un artista in genere. Qualunque professione artistica può portare fama, denaro e un grande appagamento, ma se fatta seriamente richiede di mettersi in gioco personalmente, rischiando molto. La seconda parte di City of Stars nella versione duetto tra Seb e Mia, parla apertamente dell’amore di cui tutti — artisti in testa — abbiamo bisogno:

Uno sguardo negli occhi di qualcuno / Per illuminare i cieli / Per aprire il mondo e farlo girare / Una voce che dice, Io ci sarò / E tu starai bene.

Uno dei tratti più forti della sceneggiatura di Damien Chazelle è quanto sia marcata la fiducia di Seb nei confronti dei sogni di Mia, e viceversa. Se è vero che tutti abbiamo bisogno dello “sguardo negli occhi di qualcuno” che dice “sarà sempre accanto a noi” e “andrà tutto bene,” è ancora più vero che questo tipo di sensazione è fondamentale quando ci si mette totalmente a nudo: per esempio provando a recitare una pièce teatrale che abbiamo scritto o a suonare la nostra musica senza sottostare a logiche commerciali.

Per un artista, trovare sostegno al proprio sogno è qualcosa di impagabile.

Dopo circa 40 minuti, Mia e Seb passeggiano per Hollywood. Seb non può avere un’idea precisa del reale talento di una ragazza che ha conosciuto da poco, eppure da subito la incoraggia a scrivere i suoi testi, a recitare per qualcosa in cui crede. “OK, quindi smetterò di fare audizioni e farò la storia,” dice lei sarcasticamente, facendo il verso a Seb che ricordava le gesta rivoluzionarie di Louis Armstrong. “Beh, il mio lavoro è finito qui”, risponde lui.

Ora, non sarebbe bello se Ryan Gosling ci abbandonasse dopo poco più di mezz’ora di La La Land, solo “perché il suo lavoro è finito”? (ma c’è un altro film in cui lo fa, ricordate? Spoiler). Però questa battuta rende bene l’idea: Sebastian vede da subito qualcosa in Mia, la sua missione principale è spronarla a mettere in pratica tutto il suo talento. Questo lato dell’amore che prova per lei sarà decisivo per lo sviluppo della storia.

La scena in cui sono in procinto di lasciarsi è amara e triste, quasi senza appello. Mia, però, apre idealmente una porticina proprio prima che la scena finisca: “Ti amerò per sempre.” Si separeranno, così che entrambi possano coronare i propri sogni — lei diventare un’attrice, lui aprire un locale jazz. Ma si ameranno lo stesso.

Il momento della separazione resta comunque duro da digerire, ma può assumere un significato diverso, specialmente in virtù del finale. Ho provato a leggere quella rinuncia come un puro gesto d’amore che non vuole nulla in cambio e sono tornato agli sguardi finali di Mia e Seb, ovvero il momento più duro del film: ma anche quello più arricchente.

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In principio era un pianto

Secondo Wikipedia, “Il titolo del film è sia un riferimento alla città di Los Angeles sia al significato di essere nel “mondo dei sogni” o “fuori dalla realtà.” La locandina italiana recita “Dedicato ai folli e ai sognatori.” Mai tagline fu più veritiera. Il film è intriso di momenti che possono ricondurre a questo tema. Penso soprattutto alla canzone di Mia durante l’audizione, “The fools who dream.” Racconta la storia di sua zia, che apparentemente senza motivo entrò a piedi scalzi nella gelida Senna. Sorrise, esultò senza guardare, e le disse che lo avrebbe rifatto, di nuovo.

Mia, verso la fine della canzone, rivela di ricondurre la sua ispirazione per intraprendere la carriera di attrice proprio a quel momento, un aneddoto che la zia usava per dimostrarle che “un po’ di follia è la chiave per darci nuovi colori da vedere”, anche se non sappiamo dove questo ci porterà. Un elogio a quel pizzico di follia che contraddistingue il talento di un’artista che osa alla ricerca di una scintilla, per quanto a volte possa sembrare sciocco.

Il casting del film per cui si candida Mia è una specie di manna dal cielo: non ci sarà un copione, il personaggio del film verrà modellato sull’attrice scelta. Come per rimettere al centro la persona prima dell’attore, ripartire dalla scintilla più profonda che lo anima. Questa è la chiave per realizzare il sogno di Mia: mettere a nudo definitivamente chi è. Una sfida di grande difficoltà, ma a cui arriva preparata anche grazie alla fiducia acquisita nel rapporto con Sebastian.

Quello sguardo finale, allora, se siamo un po’ folli e sognatori, non può essere una disfatta. Riguardiamo bene due frame:

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I volti di Ryan Gosling ed Emma Stone disegnano una gamma di emozioni che semplicemente non è tracciabile. C’è dentro tutto l’amore del mondo e insieme tutta la tristezza per non averne concretizzato un frammento di piu. Quello sguardo è la sicurezza di aver costruito qualcosa che non troverà più una dimostrazione empirica, ma rimarrà per sempre indistruttibile. Le luci del Seb’s sono basse, ma sembra che i due volti brillino di luce propria. Possiamo provare a coglierne tutta la luminosità, capace di oscurare i pianti senza speranza.

Il finale del film è un elogio ai due folli che hanno avuto il coraggio di vivere un sogno insieme, dandosi manforte per alimentare i sogni che nutrivano singolarmente; ai due folli disposti a sacrificare un amore concreto, in comune, pur di realizzare i propri sogni più profondi e disperati. Quello sguardo è la sensazione di possedere qualcosa che riempie la nostra anima ogni giorno, per sostenerla. Quasi non ce ne accorgiamo, perché non c’è bisogno di dimostrarlo, non serve alcuna prova concreta. È un’immagine impressa dentro di noi, come un fotogramma che certifica il ruolo dei ricordi e del cinema stesso, nel poterci rassicurare, ridarci ogni volta un’emozione così come la ricordavamo. Raccolta in uno sguardo, un’immagine, un sogno ad occhi aperti: “City of stars, are you shining just for me?”

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