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Il primo album della cantautrice, Find a Place to Sleep, uscirà il 23 febbraio per WWNBB Collective, ed è un piccolo gioiello di folk e nostalgia.

La musica “sulla sua pelle”: questa è Sara Ammendolia, nome d’arte Her Skin. Voce, chitarra acustica e ukulele, per un incrocio tra folk e cantautorato che colpisce fin dal primo ascolto per essenzialità e capacità di emozionare. Ascoltare il suo album di debutto Find a Place to Sleep, in uscita il 23 febbraio per WWNBB Collective, è un viaggio tra ricordi passati e sogni futuri. Le abbiamo fatto qualche domanda sul disco e sui suoi prossimi passi.

Find a Place to Sleep è il tuo primo album: fino ad ora avevi pubblicato solo EP. Com’è stato lavorare su un disco “completo”?

È venuto tutto come piace a me, molto naturale e spontaneo, un pezzo dopo l’altro, non me lo aspettavo. Penso che sia stato facile per via del feeling che si è creato in studio fin da subito tra me e Davide Chiari, che ha prodotto il disco, tra l’altro tutto su nastro. È stata una bellissima esperienza, ho imparato tantissime cose e mi sento molto cresciuta.

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Negli ultimi anni della musica emergente italiana il rapporto tra proposte in inglese e in italiano è sembrato sbilanciarsi verso quest’ultimo. Da cosa deriva la tua scelta di scrivere in inglese? Ti senti vincolata in questo dal genere che proponi?

Fin da piccola ho sempre ascoltato più musica in inglese che in italiano, e in generale le mie influenze sono più estere che locali. Scrivere in inglese è venuto di conseguenza: mi piace la sua musicalità e il poter usare parole semplici, che per questo diventano un po’ criptiche. Non riuscirei mai ad immaginare le mie canzoni in italiano comunque, le arrangerei in modo completamente diverso.

Il tuo primo singolo, “Prickly Pear,” evoca immagini “calde”: 36 gradi e mezzo, mare, ciliegie. Deduciamo che non sia nato in una giornata di dicembre… Cosa ti ha ispirato per questa canzone? Ricordo o immaginazione?

In realtà l’idea è nata durante il tour in Sicilia proprio a dicembre 2016. Non avevo mai visitato il Sud Italia e (non so perché) per me è stato strano vedere tutti quei fichi d’india al freddo. Sono piante molto forti che hanno bisogno di poche cure e poca acqua. Nella canzone mi chiedo se anche le persone e le relazioni possano essere così.

In quello che fai ci sono sicuramente molti rimandi a The Head and the Heart, Cat Power, Laura Marling, Iron and Wine. Ma, dal tuo punto di vista, quali sono tre brani che definiscono al meglio le influenze di Her Skin?

Di sicuro la prima è “Life is a Gun” di Jay Malinowski, che secondo me è uno dei pezzi più belli di sempre. Poi “Landfill” dei Daughter, che fa sempre un po’ male al cuore. La terza è forse un po’ strana ma direi “August Holland” di Beirut.

Cosa dobbiamo aspettarci dai tuoi live? Porterai sul palco le canzoni con l’atmosfera minimale e intima dell’album o arricchirai gli arrangiamenti, magari con una band di supporto?

L’idea sarebbe quella di mantenere entrambe le opzioni. Non vorrei abbandonare del tutto i concerti “da cameretta” con cui ho iniziato, ma ho anche voglia di provare cose nuove. Non ho mai suonato con un gruppo prima ma lo trovo molto divertente!