La rotta della neve: il muro italiano è a Bardonecchia
Siamo stati a Bardonecchia, in provincia di Torino, a capire cosa spinge i migranti a rischiare la vita in montagna per arrivare in Francia.
Siamo stati a Bardonecchia, in provincia di Torino, a capire cosa spinge chi arriva in Italia a rischiare la vita in montagna per arrivare in Francia.
Nonostante la propaganda della destra, pochi dei migranti che sbarcano in Italia vogliono restare nel paese. Per la maggior parte di loro, l’Italia è solo un punto di passaggio verso la loro destinazione finale: in genere, il Nord Europa, o la Francia. Da quando è iniziata la cosiddetta emergenza migranti, Parigi ha di fatto chiuso le frontiere con l’Italia, almeno per chi non ha la pelle bianca come Attilio Fontana. Secondo il governo transalpino, se qualcuno sbarca in Italia, deve chiedere asilo in Italia, come stabilisce il Trattato di Dublino.
Molte persone che sbarcano sulle coste della penisola, però, hanno già parenti in Francia che sono disposti ad accoglierli; inoltre, nel caso di ragazzi provenienti da paesi come Mali e Costa D’Avorio, stabilirsi in Francia è più facile a livello linguistico, dato che parlano tutti già francese dai banchi di scuola. Non potendo varcare il confine come persone qualunque, negli ultimi due anni hanno cercato valichi sempre più diversi — e pericolosi — per arrivare dall’altra parte delle Alpi senza essere intercettati dalla polizia. Il valico più noto è quello marittimo di Ventimiglia, di cui ci siamo già occupati, diventato tristemente famoso per gli incidenti negli anni scorsi.
Ce ne sono vari altri però: tra cui quello di Bardonecchia, un comune piemontese dell’alta Val di Susa.
Bardonecchia è una cittadina nota per essere all’imbocco del traforo del Frejus e per aver ospitato numerose gare sciistiche durante le olimpiadi invernali del 2006. Nonostante non si stata interessata direttamente né dal percorso della TAV né dal conseguente movimento NoTav, è situata in una posizione strategica. Dal paese parte la strada che conduce al Colle della scala, un valico alpino di secondaria importanza che conduce al paesino di Névache, in val Clarée. In Francia.
Il Colle in questo periodo dell’anno è chiuso al traffico perché la strada è sepolta sotto metri e metri di neve. Di notte, le temperature possono scendere anche fino a -15° alla sommità del passo, a 1762 metri di quota. Ciononostante, molti migranti sfidano la polizia francese e la montagna per provare a passare il confine col favore dell’oscurità.
“Ormai sarà un anno e mezzo che si vedono passare dei ragazzi,” ci racconta un abitante della piccola frazione di Melezet, sulla strada che da Bardonecchia conduce al passo. “Sono tutti ragazzi giovani, e quasi tutti maschi. Solo quest’estate ho visto passare qualche famiglia con qualche donna.” Lungo il percorso fa già molto freddo, nonostante quando la percorriamo noi non sia ancora calata la sera. È prevista neve per tutta la settimana, almeno fino a domenica. Il vento non la fa cadere in verticale, ma le raffiche la fanno turbinare da tutte le direzioni.
“Andare in montagna con questo tempo è una follia.”
Il campo base, per i ragazzi che intendono intraprendere il pericolosissimo viaggio, è la stazione ferroviaria di Bardonecchia, l’ultima in territorio italiano prima che il treno entri nel traforo del Frejus. Oggi, il traforo stesso è presidiato dai militari: all’inizio della crisi dei ragazzi avevano provato ad attraversarlo a piedi e sono rimasti travolti dal treno. Il traforo è troppo stretto, come spiegano numerosi avvisi pubblicati in tutte le lingue sui muri della stazione. I ragazzi che intendono tentare l’attraversamento arrivano col treno da Torino, spesso con uno degli ultimi treni della sera, mischiandosi ai numerosi pendolari piemontesi. “Una cosa da pazzi” aggiunge S. proprietario di una tavola calda davanti alla stazione: “Ho visto un ragazzo che addirittura camminava a piedi nudi sulla neve, con le scarpe legate al collo per non bagnarle. Al contrario io e mia moglie prendiamo la macchina persino per andare a comprare le sigarette. Ma sono inesperti e incoscienti, per quanto coraggiosi lassù si muore a quelle temperature. Non puoi farcela”.
L’atteggiamento della cittadinanza è diverso da quello di Ventimiglia, dove i residenti rigettavano quasi totalmente la presenza dei migranti sul suolo del loro comune. I cittadini di Bardonecchia sono scossi, turbati da una vicenda che ha dell’assurdo oltre che del disperato, ma in generale si respira più apertura, più solidarietà. Sentono che possono fare qualcosa per aiutare i ragazzi disperati — che, va detto, sono molti meno di quelli in transito due anni fa sulla riviera ligure. Ciononostante, c’è qualche timore sull’effetto che una presenza fissa di migranti pronti a oltrepassare il confine potrebbe avere per il turismo, una componente fondamentale dell’economia locale.
Oltralpe i cittadini della Val Clarée cercano di fare la loro parte, rifocillando chi riesce a passare e alcune volte nascondendo alcuni di loro dalla polizia. Danno un pasto caldo e dei vestiti, come i volontari della croce Rossa e del movimento No Tav su suolo nostrano. Vicino al confine italiano, la cittadina di Briançon si è anche adoperata alla creazione di un centro di accoglienza, in disaccordo con le politiche migratorie, mentre a Bardonecchia si è riuscito non con poche difficoltà ad ottenere una stanza di pochi metri quadri nella stazione. Troppo poco ma già un aiuto enorme per chi è allo sbando.
I cittadini europei fanno quello che l’Europa stessa manca di fare, dimostrando ancora una volta che la società è più accogliente delle istituzioni.
I ragazzi che partono sono sempre meno di quelli che la gendarmerie francese rispedisce in Italia. “Ne prendono altri a caso prima di far ripartire il bus dalla Francia, e vedo sempre più gente e diversa da quella che ho visto prima,” ci racconta un altro residente. Un atteggiamento visto anche a Ventimiglia. Inoltre, la Gendarmerie francese è nota per non fare troppe distinzioni tra minorenni e maggiorenni — anche se i primi, una volta raggiunto il suolo francese, legalmente non potrebbero essere rimandati indietro su due piedi.
Chi viene riportato in Italia non può far altro che ritornare in stazione, in attesa di ritentare l’avventura o cambiare strada.
Dopo il Melezet decidiamo di tornare indietro, alla stazione di Bardonecchia. Sappiamo che con il calar della luce inizieranno ad arrivare ragazzi in attesa di passare il confine e volontari ad assisterli — e a provare a dissuaderli. Alle otto di sera ci sono già tre ragazzi, molto spaventati. Due dormono, infreddoliti, e il terzo parla al telefono. Uno di loro è molto giovane, senza dubbio ancora minorenne, e non si fida di nessuno. Gli altri due ci raccontano che sono arrivati con il treno da Torino e vogliono passare il confine questa notte. Dopo l’ora di cena, con il buio ormai fitto, decidono di incamminarsi verso il Colle delle scale. Per fortuna, dopo i primi chilometri, i ragazzi si rendono conto della pericolosità del tentativo e decidono di tornare indietro, prima in Stazione, e poi a Torino. Forse hanno fatto effetto le raccomandazioni dei volontari: prima di della loro partenza gli hanno mostrato le fotografie delle mani di un ragazzo che settimana scorsa è riuscito ad arrivare in Francia. Andranno amputate. Sempre la settimana scorsa, un altro ragazzo che è riuscito a raggiungere la Francia ha subito un intervento di amputazione di entrambi i piedi, sempre a causa dell’ipotermia.
B. e M. sono arrivati a Bardonecchia con il treno delle 19.40, e ci hanno raccontato di più — sia di loro che del loro viaggio. Vengono dalla Costa d’Avorio e hanno poco più di vent’anni. Non avevano idea di come sarebbe stata la montagna e non sono ben attrezzati: per fortuna, vedendo le condizioni climatiche sfavorevoli, hanno deciso di non partire e di fermarsi a dormire nella saletta concessa ai volontari a lato della Stazione.
B. è in Italia da due anni e parla perfettamente la lingua, anche se, come dice, non ha frequentato alcun corso. É partito con la speranza di trovare lavoro per inviare soldi alla sua famiglia e avere una vita migliore. Ci racconta che non ha dovuto pagare il viaggio nel Mediterraneo, perché ha lavorato tre mesi in Libia per i trafficanti e questo gli ha permesso di salire sul barcone gratis. Gli stessi trafficanti avevano detto a B. che sarebbe arrivato in Italia con una nave grande e sicura. Una volta arrivato il giorno della partenza, B. ha visto la barca terrificante con cui doveva attraversare il mare, e non ha potuto fare altro che salirci, dal momento che i trafficanti sparavano a chi aveva qualcosa da ridire. Dopo giorni in mare B. è arrivato in Sardegna ed è stato assegnato a un centro di accoglienza di Sassari. Ha lavorato per un anno e sei mesi in un ristorante del posto, ottenendo un contratto a tempo indeterminato.
Al lavoro andava tutto bene, fino a quando ha iniziato a subire le prime discriminazioni razziali. La madre del suo titolare si recava ogni giorno dal figlio, per dirgli che doveva licenziare B., perché era nero e portava via i clienti. Per fortuna il titolare non l’ha ascoltata, e ha continuato a far lavorare il ragazzo. La madre ha quindi deciso di rivolgersi direttamente a B., per fargli capire che non era gradito. “Io sono uno straniero e devo trattare bene gli Italiani che mi hanno accolto” dice B., “non voglio avere problemi con loro, ma anche loro devono trattarmi bene: quando c’è un problema, non voglio peggiorare le cose, e lo evito, prendo un’altra strada”. E questo è ciò che ha fatto: B. si è licenziato a causa delle discriminazioni quotidiane e ha intrapreso il cammino verso un altro Paese, la Francia. “Sono venuto in Europa per lavorare, e se non posso farlo qui, devo trovare lavoro in un altro Paese” ci spiega. “Non lavoro da un mese e non ce la faccio più” continua. Gli domandiamo quali siano le sue speranze una volta arrivato in Francia e risponde che è disposto a fare qualsiasi lavoro, perché “bisogna arrangiarsi”.
M., invece, era stato assegnato al circuito di accoglienza di Milano, dove però non ha trovato lavoro e non ha ottenuto asilo politico. Ha ventuno anni, anche se fisicamente sembra più grande. M. ha vissuto qualche mese in Libia, aspettando di potersi imbarcare per l’Europa. Ci spiega che in Libia ci sono due tipi di trafficanti, di “uomini sulle jeep” a cui si rivolgono i ragazzi dell’Africa Centrale. “Se sei fortunato, finisci con quelli che ti chiedono di lavorare veramente” racconta. “Altri ti promettono lavori, però poi ti portano in prigione, e la prigione in Libia è terribile” prosegue. M. è riuscito a partire ed è arrivato miracolosamente in Italia, dopo tre giorni in mare su un gommone insieme ad altre 136 persone.
M. ha imparato l’italiano da solo. “La scuola migliore è la strada” ci dice. Una volta arrivato a Milano ha provato a cercare lavoro, invano. Si è fatto l’idea che i nigeriani siano un po’ la causa delle sue sventure lavorative. “I ragazzi nigeriani hanno iniziato a chiedere l’elemosina davanti ai bar, non so perché lo fanno” racconta “però non si fa così, perché noi dobbiamo lavorare, avere un lavoro vero”, e prosegue “e se ci vedono così non piacciamo alla gente”. Aveva già provato a passare il confine via mare, a Ventimiglia, ma non ce l’ha fatta. Ha degli amici in Francia e alcuni sono passati dalle montagne di Bardonecchia. Vuole arrivare a Tolosa, perché trova Parigi troppo grande, e gli piacerebbe molto fare il calciatore, “il difensore”. Ma anche lui è disposto a fare qualsiasi lavoro.
Verso le nove di sera arriva un gruppo di ragazzi della Val di Susa. Fanno parte del Comitato NoTav e portano cibo, coperte e vestiti per i migranti. Riusciamo a parlare con uno di loro: si chiama Marco Emmanuelli e ha vent’anni. É figlio di un soccorritore alpino che ha trovato già diversi cadaveri di persone che non sono riuscite a oltrepassare il confine. Molti, invece, sono stati salvati, mentre cercavano di raggiungere la Francia camminando nella neve senza scarpe — cosa che, ormai si è capito, non è inusuale, a causa del grande valore che per questi ragazzi ha un paio di scarpe. Ci riferiscono, purtroppo, anche di episodi di sciacallaggio. “C’è chi vende a Torino le cartine e le mappe della valle a prezzi spropositati, chi addirittura il numero del soccorso Alpino a caro prezzo.”. E prosegue: “La settimana scorsa dei ragazzi algerini sono stati arrestati perché cercavano di vendere le mappe scaricabili gratuitamente da Google Maps con indicato il percorso per andare in Francia a 300 euro. Un altro ragazzo è stato fermato mentre cercava di portare oltre confine cinque ragazzi pachistani, su un furgoncino, avendo chiesto 500 euro a ciascuno di loro”
Mentre i ragazzi stanno per mangiare arriva la polizia a controllare i documenti a tutti i presenti. Decidiamo di lasciare i ragazzi alla loro cena. Oggi, per fortuna, nessuno sembra deciso a tentare di scalare il Colle delle scale, anche se il pericolo che qualche ragazzo cambi idea all’ultimo minuto c’è, come ogni sera. Vorremmo lasciare nella stanzetta alcuni vestiti che abbiamo portato per solidarietà coi migranti, ma purtroppo non c’è più posto. Ci viene detto di lasciarli in una trattoria di Bussoleno, più giù lungo la valle, in una delle basi del movimento No-Tav. Lasciamo Bardonecchia che ha appena smesso di nevicare.
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