Cosa c’è dietro agli incendi negli impianti di smaltimento rifiuti

“Abbiamo appurato che il ciclo dei rifiuti non si chiude. I roghi hanno cause di vario genere, ma sono tutte spie ambientali di una cattiva gestione del settore.”

Cosa c’è dietro agli incendi negli impianti di smaltimento rifiuti

Abbiamo cercato di capire se esiste un filo conduttore alla base dei recenti incendi nei depositi di rifiuti e perché in Italia questi roghi sono così frequenti.

La nostra indagine inizia l’8 gennaio del 2018, quando una fonte anonima segnala a the Submarine un presunto filo conduttore tra gli incendi divampati il 3 gennaio a Corteleone (Pavia), il 7 gennaio a Cairo Montenotte (Savona), a cui si aggiungono quelli più recenti avvenuti il 18 gennaio ad Ostra (Ancona) e il 19 gennaio a Baranzate (Milano).

In tutti e quattro i casi sono bruciate diverse tonnellate di rifiuti, soprattutto plastiche, ma mentre nel caso di Savona, di Ostra e di Baranzate i rifiuti erano stoccati in degli impianti di riciclaggio e smaltimento, nel caso di Corteleone giacevano in un capannone in disuso che ufficialmente risultava vuoto.

L’informatore, che si identifica come un operatore nel settore del riciclaggio, indica un fatto di rilevanza internazionale che avrebbe scombussolato i giochi nella (mala)gestione dei rifiuti in Italia, determinando un equilibrio attrattivo che renderebbe imminente l’intensificarsi dei roghi.

Il riferimento è a un provvedimento appena varato dal governo di Pechino che vieta l’importazione di scarti di plastica e affini.

Infatti, la Cina finora è stata la destinazione abituale di un gigantesco carico di scorie industriali – prevalentemente plastica – provenienti da stati industrializzati.

Cosa se ne fa la Cina di tutti quei rifiuti?

Nell’immaginario collettivo si è fissata l’immagine mitica di un’industria cinese prodigiosa, che, sebbene localizzata in un paese ancora in via di sviluppo, sarebbe in grado di impiegare il denaro estero proveniente dall’acquisizione degli scarti per finanziare il riciclo di questi ultimi, e di generare nuovo capitale con le vendite dei prodotti riciclati.

È chiaro che tutto ciò dev’essere vero solo parzialmente, altrimenti non si capirebbe la recente necessità di porre fine all’importazione di rifiuti.

Come suggeritoci dal nostro informatore, fino a poco tempo fa il mercato cinese dei rifiuti era in larga parte controllato da imprenditori senza scrupoli, che si facevano consegnare gli scarti dei paesi occidentali dietro lauto compenso, per poi stoccarli o smaltirli illegalmente – e quindi a basso prezzo – sfruttando le falle di un sistema legislativo ancora poco attento all’ambiente.

Dunque, il fatto che i vertici di Pechino stiano iniziando a gestire l’immondizia in modo più sostenibile – “anziché seppellirla” – provocherebbe l’ingolfamento delle reti di smaltimento delle nazioni coinvolte nella compravendita.

Questa tesi è sostenuta anche da parecchie testate internazionali, che fanno notare come allo stop delle esportazioni corrisponda un rapido accumulo delle scorie nei paesi industrializzati, tanto che questi ultimi per disfarsene potrebbero anche iniziare a bruciarle.

I giornali ovviamente si riferiscono all’oneroso smaltimento effettuato per mezzo degli inceneritori, ma i titoloni del New York Times e del Guardian dovrebbero far suonare un campanello qui in Italia e spingerci a chiederci se la plastica andata a fuoco le ultime settimane nel Bel Paese non fosse quella che doveva prendere il largo a bordo di grosse navi dirette in Oriente.

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Per verificare tale circostanza ne abbiamo parlato alla presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul ciclo dei rifiuti, Chiara Braga.

La presidente conferma questa possibilità e riferisce che la Commissione ha tenuto d’occhio la vicenda cinese già nei mesi scorsi, finchè lo scioglimento delle Camere non l’ha costretta a interrompere le indagini.

Braga puntualizza però che il problema cui stiamo assistendo non è riconducibile solo all’ecomafia.

“Ciò che abbiamo appurato è che essenzialmente il ciclo dei rifiuti non si chiude. I roghi hanno cause di vario genere, ma sono tutte spie ambientali di una cattiva gestione del settore.”

Il 50% degli incendi avviene in regioni del Nord, mentre prima avveniva soprattutto al Sud. È un fenomeno diverso da quello della Terra dei Fuochi. Abbiamo a che fare un flusso di scorie che attraversa l’Italia dal Sud verso il Nord, la cui direzione è dettata dal fatto che generalmente nel meridione gli impianti per il trattamento dei rifiuti risultano inadeguati o insufficienti a smaltire a certe tipologie di rifiuti.”

Dunque, l’eccesso di immondizia diretta verso nord provoca il sovraccarico dell’intera catena di trasporto e smaltimento, creando una situazione limite tale per cui un flusso di rifiuti di origine lecita sfiora in una cascata di infrastrutture logistiche via via sempre meno trasparenti, finchè non arriva nelle mani della criminalità organizzata.

La presidente insiste soprattutto su un punto: per contrastare questo problema serve maggiore coordinazione tra gli enti sorveglianti, ossia le agenzie ambientali, le procure, le forze dell’ordine, le amministrazioni locali, regionali e il Ministero dell’Ambiente.

Quest’ultimo ha il delicato incarico di varare i decreti necessari a costruire una solida normativa con la quale sia possibile attuare gli interventi necessari a regolamentare tutto il sistema.

Ma a livello pratico, la scarsa coordinazione istituzionale descritta da Braga, come si traduce nella filiera dei rifiuti in Italia?

Per capirlo abbiamo consultato l’onorevole Claudia Mannino, una deputata del gruppo misto che da diversi anni segue attentamente l’evolvere della situazione.

Sul suo blog sono presenti spiegazioni, osservazioni, critiche e denunce sulla gestione dei rifiuti in Italia, oltre a un’interessante Google Map che riporta tutti gli incendi verificatisi nelle discariche e nei centri di riciclaggio a partire da maggio 2017.

Onorevole Mannino, le statistiche sui roghi avvenuti negli impianti di smaltimento negli ultimi tre mesi riportano cifre enormi, che fanno presumere la mano della criminalità organizzata. Ad oggi, come si stanno muovendo le mafie nel settore della gestione dei rifiuti?

“Come dice il procuratore antimafia Roberto Pennisi, la criminalità organizzata ha capito che il grosso guadagno nel settore dei rifiuti sta nell’«accumularli e non toccarli,» ossia nell’aggiudicarsi gli appalti per la gestione della maggior quantità di scorie possibile e poi stoccarli da qualche parte senza smaltirli.”

Mannino racconta come attraverso il meccanismo dei prestanome le scorie vengano affidate ad aziende intestate a persone con la fedina penale pulita, ma che in realtà sono alle dipendenze di noti criminali.

I rifiuti vengono quindi ammucchiati negli stabilimenti in modo inadeguato e in quantità insostenibili, finché la situazione non degenera e le amministrazioni locali sono costrette a varare delle ordinanze straordinarie per chiederne la rimozione immediata.

A questo punto le società controllate dall’ecomafia hanno raggiunto il loro scopo: ricevono l’autorizzazione a fare ciò che di norma sarebbe considerato illegale, ossia smaltire i residui tramite procedure non conformi agli standard ambientali, con oneri di gestione conseguentemente molto bassi o addirittura nulli. Questo si verifica se gli scarti vengono consegnati ad altri impianti che riceveranno perciò un sovraccarico di materiale di cui dovranno sostenere le spese di smaltimento. È molto probabile che tale flusso di scorie rientri nel traffico sud-nord descritto da Chiara Braga.

Ma se il meccanismo illecito è noto, allora perché gli eco-criminali non sono ancora stati intercettati e arrestati?

“Ogni volta che scoppia un incendio, la Digos o una procura si attiva per aprire le indagini,” spiega Mannino “ma poi ogni organo investigativo agisce per conto suo. Non c’è coordinamento e spesso le indagini finiscono nel nulla. Invece servirebbe una procedura di controllo unica. A questa dovrebbe aggiungersi un database in cui far confluire tutte le informazioni raccolte dalle diverse autorità sui vari impianti. C’è bisogno di normative che impongano verifiche più approfondite ed efficaci, con l’impiego di tecnologie innovative. Io avevo fatto la proposta di rendere obbligatoria l’installazione di sistemi di sorveglianza con telecamere termiche nelle discariche e nei centri di riciclaggio. Me l’hanno bocciata con la motivazione che le telecamere a infrarossi violerebbero la privacy di chi lavora nell’impianto. Le pare possibile?”

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Tornando a quanto riferito dal procuratore Pennisi – lo stratagemma delle ecomafie di “provocare l’emergenza” e poi ottenere le autorizzazioni straordinarie per smaltire i rifiuti a basso costo – è evidente il ruolo chiave giocato dalla popolazione indignata. Le risultano casi in cui ignoti abbiano cercato di spingere gruppi di cittadini a manifestare per chiedere l’approvazione di ordinanze atte alla risoluzione di una crisi di rifiuti?

“Per ora non mi risulta. Può anche essere, ma io non cercherei dinamiche occulte. Il fenomeno criminale dei roghi e dello smaltimento illecito cui stiamo assistendo origina in primis da una mentalità sbagliata, obsoleta, miope da parte di molte amministrazioni e istituzioni italiane; una mentalità che fa uso comune di metodi totalmente in contrasto con le buone pratiche prescritte dall’Unione Europea.”

La Commissione Europea sull’Ambiente infatti ha pubblicato svariate direttive che indicano gli obiettivi e le procedure da seguire per il corretto smaltimento degli scarti: il target generale è quello di sviluppare il più possibile la raccolta differenziata per ridurre al minimo la percentuale di rifiuti inceneriti o smaltiti in discarica – i più sconvenienti da gestire in conformità con gli standard ambientali, quindi anche i più appetibili per le ecomafie.

Secondo la deputata invece, l’Italia sta praticamente remando nel senso opposto e le prove di questa resistenza sarebbero nel materiale normativo che certi soggetti politici producono e cercano di far approvare inserendolo in coda ad altri decreti, come stava per succedere quest’anno con la Legge di Stabilità.

“Per il nostro Ministero dell’Ambiente sembra che la gestione dei rifiuti possa essere svolta interamente ad opera degli inceneritori. Il ministro Galletti ha presentato un decreto che prevede la costruzione di altri 12 termovalorizzatori, i quali presentano dei costi operativi enormi e che ovviamente verrebbero finanziati con il denaro pubblico.”

Mentre invece se si investisse nella realizzazione di impianti di riciclaggio all’avanguardia, nel rimodernamento e nella regolamentazione di tutta la filiera, probabilmente si spenderebbe di meno, poiché scomparirebbero le spese dei termovalorizzatori, della gestione straordinaria delle scorie e dell’impatto sanitario sui cittadini e sull’ecosistema.

“Ma soprattutto scomparirebbero le multe dell’Ue,” sottolinea Mannino, facendo riferimento ai 329 milioni di euro di penale inflitti al nostro paese per aver ripetutamente violato la legge ambientale europea. Nel 2002 la Guardia Forestale aveva effettuato un censimento nazionale di tutte le discariche d’Italia in cui erano segnalate quelle non a norma e i risultati erano stati mandati alla Commissione Europea. Quindi chi doveva risolvere la situazione sapeva che si doveva intervenire e dove. Invece non è stato fatto niente, così le ditte responsabili l’hanno fatta franca e le multe dell’Ue le hanno pagate i cittadini con la Legge di Stabilità. Manca il più elementare buonsenso nell’amministrare tutto il settore, a cominciare dal fatto che tutte le spese della cattiva gestione ricadono sul cittadino.”

[ndr. le spese per la rimozione straordinaria delle scorie dagli impianti dei privati, le spese per la gestione dei termovalorizzatori pubblici e le multe dell’Unione Europea].


Secondo Claudia Mannino, inoltre, la razionalità scarseggia anche nel definire cosa è pericoloso. “Quando si verifica un incendio, le ARPA vengono incaricate di monitorare i livelli di inquinamento nelle circostanze e nel 99% dei casi i risultati indicano l’assenza di pericolo per l’uomo e per l’ambiente. Intanto in tal modo si trasmette alla popolazione l’idea che sia tutto regolare, ma a parte questo mi chiedo: qual è l’effetto somma delle piccole quantità di sostanze nocive che si sprigionano nei roghi? Dove vanno a finire?”

I rifiuti bruciati infatti liberano particelle volatili che poi si depositano a terra, dove – non essendo biodegradabili – si accumulano, filtrano negli strati inferiori e raggiungono le falde acquifere, inquinando l’ecosistema e provocando la biomagnificazione.

In Italia esiste la cosiddetta “Legge degli Ecoreati,” un provvedimento nato per punire nello specifico tutti i soggetti co-responsabili di un danno ambientale. Tale norma però difetta di una sezione relativa al suolo, così da risultare poco efficace nel caso di roghi tossici e inquinamento connesso.

“Io, la presidente Braga e altri soggetti istituzionali avevamo pregato il Presidente del Consiglio di richiedere la «Cooperazione Rafforzata,» una procedura decisionale che permetterebbe al nostro paese di adottare la direttiva europea «prototipale» sul Suolo [ndr. “EU Soil Thematic Strategy”]. Per attivarla basterebbe che un Presidente del Consiglio italiano facesse esplicita domanda al Consiglio d’Europa. Potrebbe farlo Gentiloni così come Renzi, ma finora nessuno dei due ci ha risposto.”

La presidente della commissione bicamerale sui rifiuti riferisce dell’esistenza di un traffico di rifiuti che attraversa l’Italia da Sud verso Nord. Un nostro informatore asserisce che il recente divieto di esportazione delle plastiche di scarto in Cina potrebbe provocare l’ingolfamento di tale traffico e generare un’ondata di roghi tossici in tutta Italia. Alla luce dei recenti incendi verificatisi in provincia di Pavia, di Savona, di Ancona e di Milano, lei pensa che questa teoria sia verosimile?

“Per quanto riguarda il flusso di cui parla Braga, io credo che siano scarti speciali legati all’agricoltura. È un fenomeno che non mi preoccupa più di tanto perché è sempre stato così: al sud non esistono impianti per smaltire certi tipi di rifiuti, che quindi vengono mandati in quelli presenti al nord, oppure vengono trasportati nei grandi porti come Napoli, Livorno, Genova, dove vengono caricati a bordo di navi che li portano all’estero. Credo che tale traffico esista soprattutto a causa delle carenze della nostra rete logistica dei rifiuti ed è molto probabile che parte di esso transiti anche per vie illecite. Tuttavia non saprei dire se tale flusso abbia risentito in qualche modo di quanto accaduto in Cina. Io però temo soprattutto l’altro traffico, quello di tipo «terra dei fuochi,» derivante dalla malagestione – lecita o illecita che sia – di piccoli impianti che ospitano e bruciano tipologie di rifiuti per cui risultano inadatti. Per fermare quest’ultimo fenomeno servono maggiori controlli e, soprattutto, la normativa per renderli efficaci.”


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