Napoli, Milano, Africa: quattro chiacchiere con gli YOMBE
“Proprio perché trascorriamo molto tempo insieme, paradossalmente, cerchiamo di tenerci a distanza quando scriviamo.”
Foto di copertina: Livia Canepa
Per prepararci al primo WOW dell’anno, abbiamo intervistato Carola (in musica Cyen) e Alfredo degli YOMBE, duo electro–pop con sonorità tutte particolari. Spostatisi da Napoli a Milano, nel 2016 hanno pubblicato il loro primo EP omonimo, e l’anno scorso il primo disco GOOOD. Venerdì prossimo suoneranno sul palco del Circolo Magnolia, dopo Kaufman e Les Enfants — vale la pena esserci, è pure gratis.
Ciao! Chi siete? Come nasce YOMBE?
Ci siamo conosciuti a Napoli nel 2013, quando suonavamo con i Fitness Forever.
Dopo circa un anno di tour con loro ed Erlend Oye, ci siamo fidanzati e poi trasferiti a Milano per fare nuove esperienze lavorative. Alfredo suonava la batteria in tour con Colapesce (con cui condividevamo casa) e Cyen faceva uno stage in radio. È stato proprio a Milano che abbiamo sentito il bisogno di scrivere qualcosa di nostro, tutto è nato nell’appartamento in cui abbiamo vissuto per un anno.
Quali sono le origini del nome? Qual è il suo significato e come si collega alla vostra musica?
Per il nome ci ha ispirati una statua africana in ebano in mostra al MUDEC. Era una scultura di una donna incinta recante la didascalia Yombe Figure. Questo nome, in realtà, appartiene ad una tribù del Congo a cui si attribuisce la manifattura della statua esposta al museo. Oltre al fascino esotico della scultura e ai rimandi sonori africani — sui quali stavamo già lavorando in studio, utilizzando strumenti come kalimba, mbira e xilofoni in legno — ci piaceva anche il suono quasi percussivo della parola stessa.
Siete di Napoli ma avete vissuto a Milano. Cosa vi portate dietro di queste città? Quanto è importante la geografia dei luoghi nella vostra musica?
Nonostante abbiamo vissuto in città con identità molto forti, non traspare mai l’elemento geografico in quello che facciamo. Non è mai stata una priorità per noi, almeno finora, raccontare i luoghi. In generale siamo più attratti dalle persone che dagli spazi.
Come nasce l’incontro con Carosello Records?
Abbiamo iniziato ad entrare in contatto con varie realtà discografiche nel 2016 quando abbiamo pubblicato il videoclip di “Vulkaan”, nonostante fosse totalmente autoprodotto e girato con mezzi propri. Il progetto ha riscosso quasi immediatamente, con nostro stupore, un notevole interesse ed è stato proprio nei giorni seguenti alla prima release che ci ha contattati Carosello: erano entusiasti e avevano voglia di iniziare un percorso insieme.
Si sono fatti avanti senza che mandassimo demo o altro, semplicemente incuriositi dal nostro approccio Do-It-Yourself nell’affrontare il lavoro. Anche ora, nonostante ci sia anche il loro supporto, proviamo a conservare questa filosofia curando tutti gli aspetti del progetto.
Come è nato l’album GOOOD? Perché si chiama così?
GOOOD è stato scritto praticamente tra un concerto e l’altro del tour dell’EP precedente. Per fortuna non c’è stato tempo di ritagliarsi un periodo di pausa vero e proprio da poter dedicare esclusivamente alla scrittura di materiale nuovo.
Forse è stata proprio quest’ansia quasi agonistica a portarci ad empatizzare con gli atleti olimpionici: lavorano sodo per raggiungere il traguardo e affermare nuovi primati. Eravamo, in un certo senso, ossessionati dalla domanda “What are you good at?” (In che cosa sei bravo?) e tutto l’affanno quotidiano che ne consegue, il bisogno di dimostrarsi all’altezza delle situazioni. È per questo che il titolo e la grafica rimandano all’immaginario sportivo.
L’essere una coppia anche nella vita influenza il vostro modo di fare musica? Descriveteci come nasce un vostro pezzo.
Essere una coppia condiziona sicuramente la scrittura: proprio perché trascorriamo molto tempo insieme, paradossalmente, cerchiamo di tenerci a distanza quando scriviamo. Entrambi riteniamo che la composizione sia una pratica molto personale e che, almeno in una fase iniziale, non debba essere condivisa.
Così facendo evitiamo di influenzarci a vicenda e lasciamo lo spazio necessario a ciascuno per esprimersi. In un secondo momento tiriamo fuori il materiale a cui abbiamo lavorato in maniera separata e lì inizia un ping pong durante il quale un’idea rimbalza da una testa all’altra finché non esce qualcosa di buono.
Avete dei riferimenti musicali particolari? Cosa ascoltate?
BADBADNOTGOOD, MURA MASA, Frank Ocean, Sevdaliza, Solange, Dean Blunt, Toro Y Moi, Calvin Harris, Rihanna, Wildbirds & Peacedrums.
I vostri video sono estremamente curati, e molto belli. Quanto è importante l’estetica per voi?
Beh, sicuramente è un aspetto che non trascuriamo! Forse quest’anno abbiamo speso più soldi in vestiti che in strumentazione (ridono). Secondo noi è importante che ci sia un continuum tra quello che suoniamo e la nostra visione delle cose, abbiamo un immaginario di riferimento molto preciso ed è per questo che ci siamo occupati quasi sempre in prima persona dei video. Quando scriviamo una canzone abbiamo già in mente dei colori, delle suggestioni visive che non ci va di abbandonare o lasciare al caso, quindi, parallelamente al lavoro in studio, ci prendiamo cura dell’art direction e della regia dei video insieme a Dario Calise.
Avete aperto il tour di Ghemon, com’è andata? Che rapporto avete con la scena rap – trap?
L’esperienza con Ghemon si è dimostrata veramente interessante, abbiamo avuto modo di farci conoscere da un pubblico diverso dal nostro che ha ugualmente apprezzato la nostra musica, individuandone forse i legami trasversali con l’hip hop e la black music in generale. Sentiamo un ottimo legame con l’hip hop, condividiamo alcune sonorità e una particolare attenzione al beat-making.
La trap musicalmente ci interessa un po’ meno e troviamo che il livello delle produzioni si stia un po’ livellando, con il rischio che tutto suoni più o meno uguale. È un fenomeno molto interessante da un punto di vista sociologico e un po’ meno da un punto di vista musicale.
Per concludere, il 26 gennaio non sarà la vostra prima volta al Magnolia, vero? Avete un “ricordo wow” di un momento particolare passato sulle sponde dell’Idroscalo?
No, non sarà la prima volta. La prima volta che abbiamo suonato al Circolo Magnolia è stata super WOW, nonostante si trattasse di tutt’altro format. Era il Mi Ami Festival del 2016, il nostro primo EP era uscito solo da qualche mese ma già eravamo su un palco importante, immersi in un’atmosfera fantastica. Siamo felici di tornarci!
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