Sulle prossime elezioni regionali non c’è molto da dire oltre al fatto che vince la Lega e il suo candidato è convinto che “gli immigrati cancelleranno la razza bianca.”
Secondo gli ultimi sondaggi la coalizione di centrodestra ha un margine disarmante sugli avversari. Ma com’è possibile che il centrodestra vinca ancora, dopo aver presentato un candidato simile e dopo venticinque anni di governo segnati da fallimenti e scandali?
Attilio Fontana è l’ex sindaco di Varese e fino a dieci giorni fa nessuno, fuori da Varese, sapeva chi fosse. Il candidato naturale del centrodestra doveva essere Roberto Maroni, che probabilmente avrebbe vinto queste consultazioni con una percentuale ancora più umiliante per il centrosinistra lombardo. A sorpresa, però, Maroni ha deciso di non partecipare. Il perché — un accordo segreto con Berlusconi per una futura poltrona da ministro? Una volontà di rivalsa su Salvini, con cui non è mai corso buon sangue? Il timore di un non meglio precisato guaio giudiziario che potrebbe essere in arrivo? — rimane un mistero, tantopiù che la mossa del governatore uscente sembra avere colto di sorpresa sia Matteo Salvini che Silvio Berlusconi.
Tra i due, Salvini è quello che ha accusato di più il colpo, sospettando di essere stato tradito sia da Maroni che da Berlusconi. Si è dunque impuntato che il candidato del centrodestra fosse della Lega e non di Forza Italia, dato che per qualche giorno la favorita per il ruolo sembrava essere la rediviva Mariastella Gelmini. La scelta è caduta su questo personaggio un po’ defilato della politica regionale, finora lontano dai modi di porsi beceri e fascistoidi di Salvini, definito da molti “un leghista moderato.”
Questa facciata civile è saltata in aria domenica mattina, quando Fontana ha rilasciato a Radio Padania una dichiarazione ormai nota ma che val la pena riportare ancora, adatta più a uno squartatore del Ku Klux Klan che a una persona civile:
“Loro sono molti più di noi, molto più determinati di noi nell’occupare questo territorio. […] Tutti non ci stiamo, dobbiamo fare delle scelte, decidere se la nostra etnia, razza bianca, deve continuare a esistere o deve essere cancellata, è una scelta.”
È sorprendente che una personalità pubblica non venga multata, silenziata o in qualche modo punita dopo una frase del genere. Invece, nella Lombardia del 2018, non solo Fontana la passerà liscia, ma probabilmente guadagnerà addirittura qualche voto in più. Perché Fontana ha scelto di virare di colpo verso le leggi di Norimberga dopo quindici anni di basso profilo politico?
“Fontana, proprio perché finora è stato conosciuto come leghista moderato, deve anche rassicurare l’ala più destra del suo elettorato che anche lui è un leghista vero. Ecco il perché di questa sparata,” ci fa notare un nostro contatto che conosce bene le vicende e le dinamiche interne al partito. “La definizione di leghista moderato in effetti fa sembrare che non abbia certe idee, certe visioni: in realtà le ha sempre avute, ma non le aveva mai espresse finora.” Del resto, nonostante le belle parole e la giacca curata, Fontana qualche anno fa dichiarò che preferiva “essere ricordato come un rozzo leghista che come uno spocchioso intellettuale.”
Inoltre, Fontana si è sempre definito un “leghista borghese,” più che moderato. E un ex avvocato, arriva da quella classe sociale e “ha sempre dichiarato, in modo alla fine sensato, di voler difendere gli interessi della propria classe.” Durante il suo doppio mandato come primo cittadino di Varese è stato molto attento a temi classici della Lega come l’ordine e la sicurezza, “tipo disseminare di portacenere il centro, cose così.” I fondi destinati ai servizi sociali, però, sono sempre stati il minimo indispensabile. “Fontana ha evitato quelle delibere fuffa tipiche dei sindaci leghisti,” sottolinea inoltre la nostra fonte, “che i sindaci leghisti sapevano benissimo essere spesso destinate alla bocciatura del TAR, ma che approvavano per scopi elettorali.”
Un leghista in grado di non far crepare di freddo i senzatetto, insomma, doveva per forza finire con lo spiccare per rispettabilità nel suo partito. Fontana, inoltre, è stato presidente di ANCI (l’associazione dei Comuni) Lombardia, un incarico prestigioso che ha contribuito a renderlo candidabile per la contesa elettorale.
La cosa più sorprendente del centrodestra lombardo, soprattutto quello che è stato al governo sia nei comuni sia nella sede della regione nell’ultimo quarto di secolo, è l’aura di “buon governo” di cui tutti gli amministratori formigoniani o leghisti amano ammantarsi, nonostante i numeri e i fatti li smentiscano. Prima di lanciarsi nella sopracitata difesa della razza, nel suo primissimo discorso da candidato Fontana ha affermato che intende “riprendere un percorso che in Lombardia ha portato grandi risultati, portando avanti 25 anni di buon governo in questa regione.” La campagna elettorale di Maroni, che in pratica era partita dopo il referendum dello scorso ottobre (ma qualcuno si ricorda che in Lombardia c’è stato un referendum fuffa per l’autonomia ingiusto e costosissimo?) ed è stata troncata per misteriosi motivi, era iniziata ad essere impostata sulla continuità con la sua precedente amministrazione e le precedenti amministrazioni formigoniane.
Se si vanno a guardare le cifre, gli ultimi venticinque anni di amministrazione lombarda possono essere definiti come poco più di un fallimento, al di là degli schieramenti politici e delle convinzioni ideologiche.
La sanità, principale competenza in mano delle regioni, è stata funestata da scandali di ogni tipo e la tanto sbandierata eccellenza lombarda esiste, in realtà, solo perché i governatori lombardi continuano ad affermare la sua esistenza. Le grandi opere pubbliche sono state tutte un clamoroso buco nell’acqua – e nei bilanci pubblici: è il caso di Pedemontana, grande opera incompiuta arrivata a costare a Regione Lombardia 200 milioni di euro di mutuo. O la BreBeMi, con scandali gravissimi ma ormai dimenticati. O la tangenziale di Como, opere analoghe con ansloghi esiti catastrofici.
Tutte cose che dovrebbero, su lungo periodo se non subito, causare un fallimento elettorale di chi le ha proposte e portate avanti. In Regione Lombardia questo però non accade, così come non accade che un candidato si debba ritirare dopo una sparata sulla razza bianca come quella dell’altroieri. Perché?
Innanzitutto per la particolare fisionomia politica dell’organismo regionale. Le regioni si sono dimostrate essere il buco nero dell’amministrazione pubblica italiana, nonostante tutto il furore politico e populista si sia concentrato negli anni scorsi sulle provincie. Sono tra gli organismi che hanno fatto registrare i casi di corruzione e malaffare più gravi, i cui poteri politici non sono ben definiti e che in alcuni casi si sovrappongono in modo ridondante all’autorità statale, generando doppie competenze e confusione.
L’informazione e il dibattito pubblico attorno alla contesa elettorale e all’amministrazione sono abbastanza poveri. Anche dalla popolazione, le regionali vengono trattate come qualcosa di minoritario: tanto non si sa nemmeno bene cosa fa la regione, che ruolo abbia nelle vite dei cittadini e come le possa influenzare. A Milano città, poi, la regione sembra qualcosa di alieno, espressione di una misteriosa provincia che per puro caso ha sede in via Melchiorre Gioia, che vince sempre la Lega. Difficilmente un candidato a Primo Ministro avrebbe osato dire una cosa come quella detta ieri da Fontana, o comunque difficilmente l’avrebbe passata liscia. Il futuro presidente della prima regione italiana, invece, sì.
Il centrodestra in Lombardia non vince perché ha saputo far star bene i lombardi, o renderli più ricchi: vince perché i lombardi sono ricchi, e le origini del benessere di questo popolatissimo e inquinato pezzo di Italia settentrionale di certo non sono merito di Formigoni o Maroni. Il benessere diffuso, e il tipo di benessere diffuso nelle aree della regione fuori dalla città di Milano (una ricchezza basata sulle piccole proprietà e le piccole-medie imprese, il risparmio privato), unite al loro tradizionale stampo conservatore, fanno sì che i lombardi votino soprattutto la destra: che vince nonostante il proprio scarso spessore politico. Altro che buon governo.