I lavoratori di General Electric rischiano di rimanere senza reddito sociale a un passo dal traguardo

Abbiamo parlato con Roberta Turi, sindacalista della FIOM CGIL, della situazione generale e soprattutto di quella di Sesto.

I lavoratori di General Electric rischiano di rimanere senza reddito sociale a un passo dal traguardo

in copertina, foto dallo stabilimento General Electric occupato a Sesto San Giovanni, di Marta Clinco

Abbiamo parlato con Roberta Turi, sindacalista della FIOM CGIL, della situazione generale e soprattutto di quella di Sesto.

Dopo l’approvazione della legge Fornero sulle pensioni, nel 2011, circa 350.000 lavoratori che avevano deciso di usufruire di forme di prepensionamento vennero traditi dall’innalzamento dell’età pensionabile stabilito dalla riforma. Erano i cosiddetti esodati, una categoria di persone di mezza età tra le più colpite dalla crisi economica che non aveva né un lavoro né una pensione. A distanza di quasi mezzo decennio, quella riforma — tra le più controverse dell’Italia postbellica — potrebbe tornare a mettere in difficoltà economiche simili altre categorie di lavoratori.

La riforma Fornero, tra le altre cose, ha abolito la mobilità, uno dei più importanti strumenti di tutela sociale del paese.

Quando una grande azienda chiudeva, fino a due anni fa, poteva iscrivere i dipendenti da licenziare nelle cosiddette liste di mobilità. Dopo la chiusura, questi ex dipendenti avrebbero avuto diritto ad una mensilità economica da parte dello stato, oltre che a percorsi rapidi per cercare nuovi posti di lavoro.

Secondo le direttive del 2011, però, la mobilità sarebbe dovuta andare in soffitta quanto prima. Era il culmine della politica dell’austerità: si decise che entro il 2017 questa forma di tutela sociale sarebbe stata da sostituire con qualcos’altro. Nel 2014 il governo Renzi confermò questa direttiva inserendola nel suo famigerato Jobs Act, stabilendo la sostituzione della mobilità con la NASPI.

Per avere diritto alla NASPI, però, servono dei particolari prerequisiti. Ad esempio, avere lavorato almeno trenta giorni nell’anno precedente alla richiesta. In questo modo alcuni lavoratori licenziati da più di un anno e che da più di un anno sopravvivono grazie alla mobilità si ritroveranno improvvisamente scoperti.

È il caso dei lavoratori della General Electric e di molti altri come loro, che dall’anno prossimo rischiano di diventare i nuovi esodati.

“La NASPI e la mobilità sono state pensate per rispondere ad esigenze diverse,” ci spiega un funzionario di un CAF lombardo che preferisce rimanere anonimo. “La mobilità è stata pensata più di vent’anni fa per affrontare chiusure di grandi stabilimenti e aziende, con licenziamenti di gruppo. La NASPI invece nasce più come provvedimento individuale.” L’estensione della NASPI nasce dalla volontà del governo Renzi di creare una forma di tutela sociale il più possibile unica e uniforme. Ma non solo.

La mobilità è stata abolita anche perché più onerosa sia per lo stato che per le aziende. “Quando si iscrivevano i dipendenti da licenziare alle liste di mobilità, le aziende dovevano pagare un contributo abbastanza corposo allo stato. Con la NASPI non è più così,” ci racconta il funzionario. Insomma: con la NASPI al posto della mobilità risparmiano le aziende e lo stato. A farne le spese, però, sono i lavoratori.

Abbiamo parlato con Roberta Turi, sindacalista della FIOM CGIL, della situazione generale e soprattutto di quella di Sesto. “Quello che è successo alla General Electric è simile a quello che succede nei fallimenti, coi lavoratori che a meno di un immediato interesse di un’altra azienda restano a casa.” Gli ex dipendenti di General Electric, infatti, non hanno diritto alla NASPI in quanto non hanno lavorato nel corso dell’ultimo anno — cosa a dire il vero ovvia, visto che erano licenziati in mobilità.

Un episodio simile è quello della K-Flex, della quale ci siamo già occupati. In quel caso, il computo dei giorni necessari per ricevere la NASPI, in quel caso, era messo a rischio dai lunghi scioperi e picchetti di fabbrica in seguito alla decisione dell’azienda di delocalizzare tutto in Polonia.

https://vimeo.com/210637536

“Bisognerebbe cambiare il Jobs Act o almeno istituire una legge regionale. Nulla vieta alla regione di provvedere a un qualche ammortizzatore sociale. Si parla spesso di articolo 18 quando si pensa al Jobs Act, ma anche la soppressione di alcuni ammortizzatori sociali come la mobilità è stata ugualmente grave,” ci dice Turi.

Con l’attuale sistema invece i lavoratori di General Electric non riusciranno ad attendere l’arrivo di un compratore per la loro azienda. Ci sarebbero, infatti, alcune multinazionali straniere interessate ad acquisire lo stabilimento di Sesto, dismesso da GE più di un anno fa. Questa trattativa però, secondo tutte le fonti che abbiamo sentito, è ancora in una fase esplorativa e non andrà in porto prima di sei mesi.

Visto che la mobilità terminerà con l’inizio di gennaio, gli ex lavoratori di GE dovrebbero aspettare quasi mezzo anno il nuovo impiego senza un introito.

“Prima della metà di gennaio non si muoverà nulla,” ci confida un operaio GE. Poi è previsto un incontro al MISE, in cui si spera di trovare un accordo per permettere ai lavoratori di sopravvivere fino all’acquisto del loro vecchio stabilimento. Ma come loro sono in tanti che verranno colpiti dalla fine della mobilità. Una soluzione, se c’è, è necessariamente politica. Ma può passare solo da chi questo prosciugamento l’ha voluto, e adesso sembra interessato solo alla campagna elettorale.”