Nel giro di tre anni i muri di San Gavino Monreale (SU) si sono riempiti di murales, sull’onda di un movimento artistico che ha ridato vita al paese, coinvolgendo artisti di rilievo internazionale.
San Gavino Monreale è un comune di circa 8mila anime sprofondato in mezzo al Campidano, la pianura che taglia obliquamente la Sardegna sud-occidentale. Un tempo parte della provincia di Cagliari, San Gavino fa parte ora della nuovissima provincia del Sud Sardegna (SU), dopo una breve stagione in quella del Medio Campidano, istituita nel 2001 nell’ambito della moltiplicazione dei pani e dei pesci delle province sarde e smantellata nel 2016 in seguito a un referendum regionale abrogativo.
Il secondo nome del paese deriva dal castello medievale di Monreale, avamposto difensivo del giudicato d’Arborea e ultimo baluardo della resistenza sarda contro gli invasori aragonesi — le cui rovine, però, ricadono nell’area comunale di Sardara, con molta insoddisfazione dei sangavinesi (la leggenda vuole che sia stato perso in seguito a una partita a carte tra i due sindaci.)
A San Gavino c’è l’ospedale più importante del circondario, la stazione ferroviaria, un teatro, e nelle sue campagne si coltiva circa il 60% dello zafferano che si produce in Italia, ma è anche il paese in cui è nata mia madre e quindi per molto tempo è stato per me soprattutto un sinonimo di noia estiva: fino alla maggiore età ho passato gran parte delle estati lì, in un luogo che come immaginerete non offre grandi attrattive, spiegando tutte le volte, a chi mi guardava con occhi sgranati dall’invidia perché passavo l’estate in Sardegna, che le spiagge più vicine distano almeno 40-50 chilometri.
Dopo un picco demografico raggiunto verso gli anni Ottanta, il paese ha cominciato a spopolarsi rapidamente, in linea con l’andamento generale di tutta l’isola. Ad andarsene sono soprattutto i giovani, che per studiare e lavorare si spostano a Cagliari o direttamente “in continente” (come chiamano i sardi la penisola). Quella del Medio Campidano è una delle province più povere d’Italia, con un tasso di disoccupazione totale che nel 2016 superava il 27%, quasi il doppio del dato regionale registrato nel secondo trimestre del 2017.
Passeggiando per le strade di San Gavino, tra villette basse con giardini ben curati e vecchie case ancora con i mattoni di paglia e fango a vista, si può avere l’impressione di un paese semi-abbandonato — ad eccezione forse dell’asse centrale, via Roma, e nei giorni della festa patronale o della festa del raccolto dello zafferano. Da tre anni a questa parte, però, il paese sta vivendo un movimento di rinnovamento urbano che ha trasformato l’aspetto esteriore, per il resto piuttosto anonimo, dell’abitato: i muri delle case hanno cominciato a riempirsi di murales.
Ad oggi 41 in tutto, distribuiti in tutto il paese, dal centro agli isolati periferici. Alle spalle c’è l’iniziativa di un’associazione culturale, SKIZZO, che si è costituita all’inizio del 2017 dopo tre anni di attività come gruppo spontaneo.
“Ho visto proprio una trasformazione,” mi racconta Alessia, laureata in Storia all’Università di Cagliari e trasferitasi a San Gavino nel 2013. “Quando sono arrivata praticamente volavano le balle di fieno in giro, da quanto era deserto il paese.” Alessia fa parte dell’associazione e organizza le visite guidate ai murales. All’inizio le opere sono state realizzate soprattutto da artisti della zona, ma negli ultimi due anni questo inaspettato boom di street art ha attirato anche muralisti di rilievo internazionale — come Ericailcane, Spaik e Gabriel Moreno — e ha coinvolto altre associazioni giovanili impegnate nel campo dell’arte e della riqualificazione urbana, come RIP / ART (dove RIP sta per “Rest in paese”) e Kenemèri.
Tutto il movimento, in realtà, è nato per caso: il primo murales è stato realizzato per ricordare un ragazzo morto nel 2013, Simone Farci, soprannominato “Skizzo” — da cui poi avrebbe preso il nome l’associazione. L’autore, Giorgio Casu, in arte Jorghe — un artista di San Gavino emigrato a New York, dove ha guadagnato una certa fama per aver dipinto un ritratto di Obama che è stato esposto alla Casa Bianca nel 2010 — da allora si è impegnato a realizzare un murale nuovo ogni estate, quando torna in Sardegna.
Da lì, l’entusiasmo ha contagiato un po’ tutto il paese e i murales si sono moltiplicati. “Molti sono realizzati su muri pubblici con il permesso del Comune, ma spesso sono i proprietari delle case a proporsi direttamente,” spiega Alessia.
Il muralismo ha una lunga tradizione in Sardegna: i più celebri sono quelli di Orgosolo, piccolo comune della Barbagia altrimenti noto per il banditismo, e San Sperate, non lontano da Cagliari, realizzati a partire dagli anni ’60 con una forte impronta politica, sulla scorta del muralismo messicano di impegno civile degli anni ’20. La maggior parte dei murales di Orgosolo sono opera del pittore senese Francesco Del Casino, che vive e dipinge in Sardegna dal 1964, con uno stile fortemente influenzato da Guttuso e Picasso.
Proprio Del Casino è stato invitato dall’ANPI nel 2015 a realizzare uno dei primi murales sangavinesi, un omaggio a Gramsci e alla Resistenza italiana in occasione del settantesimo anniversario della Liberazione. Ma la particolarità dei murales di San Gavino è proprio nell’unione fra la tradizione muralistica sarda e le nuove tendenze della street art contemporanea: accanto alle scene di vita paesana e contadina con cui il pittore sangavinese Sergio Putzu ha affrescato i muri di una via intera, si trovano opere che ci si aspetterebbe di vedere nei vuoti urbani di Berlino o New York.
L’ultimo murale, inaugurato poco prima di Natale, è un pattern geometrico che unisce le trame dei tappeti tradizionali sardi alle forme e ai colori delle stoffe africane, realizzato in collaborazione con i richiedenti asilo ospitati nello SPRAR della zona. Poche settimane prima, un ritratto in stile pop-art di Gigi Riva per ricordare lo scudetto del Cagliari vinto nel 1970. In molti murales si trovano riferimenti alla tradizione del paese — gli abiti tipici, il fiore dello zafferano — ma calati in un contesto contemporaneo, come nel ritratto di un’Eleonora d’Arborea quasi cyber-punk realizzato da Jorghe su una parete che dà sui binari dell’ex stazione abbandonata.
Ma nessuno si lamenta di questo sovraffollamento muralistico? “Qualche voce discordante c’è, inevitabilmente,” mi spiega Alessia. “Ogni tanto anche su Facebook (dove l’associazione ha una pagina molto attiva, nda) si leggono commenti negativi — basta con questi murales, avete stancato, questo sarei capace di farlo anch’io, e così via. Ma noi andiamo avanti.”
(clicca sulle immagini per ingrandire)
D’altra parte, anche se non basteranno certo i murales a risollevare un paese come San Gavino dalla depressione economica e dallo spopolamento, questo nuovo movimento artistico non rappresenta soltanto un abbellimento estetico o un’opera di riqualificazione, ma prima di tutto un segnale di vitalità, un colpo di reni contro l’inazione. Mentre i visitatori cominciano a fare tappa a San Gavino, come fanno tappa a Orgosolo e San Sperate, per vedere i murales, il paese ha ritrovato un senso di comunità: “Questo movimento ha rigenerato aggregazione tra le persone del paese, riporta coesione sociale. All’inaugurazione del primo murale c’erano tutti, una cosa che non si vedeva davvero da moltissimo tempo.”
Tutte le foto: Silvia Altea. In copertina: Eva, di Gabriel Moreno.
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