Casa del Sole al Trotter, là dove si inseguiva il sogno della scuola modello
La sua restituzione agli abitanti è un sudato traguardo dopo un’attesa piú lunga di 35 anni.
Il 26 novembre scorso è stata annunciata l’inaugurazione, prevista per l’inizio del 2018, di una scuola di cinquemila metri quadri all’interno dell’ex convitto del parco Trotter, che accoglierà 375 ragazzi della scuola media dell’istituto comprensivo Giacosa. L’altra metà dell’edificio sarà messa al bando per l’assegnazione, rivolto a chi meglio dimostrerà di volerne fare un punto di riferimento per il quartiere multiculturale di Via Padova.
La sua restituzione agli abitanti è un sudato traguardo se si pensa che il convitto è stato abbandonato per più di 35 anni, un periodo carico di promesse non mantenute e continui sforzi da parte di cittadini e associazioni.
Se si chiede a un milanese qualsiasi “che cos’è il Trotter?”, la sua risposta è “Un parco, mi pare, con una scuola” ma non sa aggiungere altro. Eppure la storia di questo luogo, tanto tormentata quanto meravigliosa, ne fa un patrimonio di tutti i cittadini.
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(Non proprio) breve excursus storico
Il Trotter prende il nome dalla società del Trotter, modo in cui veniva definita la società nazionale del trotto. Quindi, com’è facilmente intuibile, era un ippodromo, attivo dal 1906 al 1924. Luogo di attrazione per la borghesia milanese, era adibito non solo alle corse di cavalli ma anche a gare ciclistiche, motociclistiche, automobilistiche o ad altre manifestazioni, come il decollo e l’atterraggio del dirigibile Forlanini nel 1911.
Nello stesso periodo, a Milano opera un’associazione dal nome “per la scuola”, di cui fanno parte insegnanti, medici e diversi benefattori. Poiché quasi la metà degli alunni che frequentano le scuole milanesi sono considerati “gracili” (ai tempi prolifera la tubercolosi), l’obiettivo di questa unione è l’istituzione di una scuola all’aperto per rinvigorire fisico e mente delle nuove generazioni, a sostegno di una pedagogia che pone l’accento sul fare.
Un pensiero che si rifà a diverse correnti antindustrailiste che in quel momento prendono piede in tutta Europa. Attraverso attività manuali e agricole, il bambino diventa attivo e cessa di essere un semplice contenitore di nozioni. Inoltre recupera il rapporto con la natura che l’adulto sembra aver smarrito.
Nel ‘19 l’assessore alla sanità Luigi Veratti, membro della giunta socialista, incarica l’ing. Folli di progettare la scuola all’interno del parco. L’istituto inizia la sua attività nel ‘22 ma viene inaugurato nel ‘25, quando la società del trotto si trasferisce definitivamente a San Siro.
I bambini accolti dal Trotter provengono principalmente da famiglie povere e sono accettati su certificazione dell’ufficio di igiene e sanità. Il convitto ne ospita 160 che dormono all’interno della scuola. Sono coloro esposti al rischio di contagio poiché conviventi con familiari affetti da tubercolosi.
Le aule sono distinte in dodici padiglioni dislocati all’interno del parco, vere e proprie casette a misura di bambino. Composti da un unico piano, ciascuno contiene quattro aule e un refettorio per colazione e pranzo. Costruiti su modello dello chalet svizzero, sono decorati in maniera sobria, in completa armonia con l’ambiente naturale circostante. Oltre alle aule, il parco è dotato di aree per attività collettive coordinate al modello pedagogico di riferimento; stalle, orti, frutteti, stagni, piscine, palestre e chiesetta. Una scuola all’avanguardia, immediatamente rinomata in tutta Europa. D’estate il parco si trasforma in colonia estiva e cura elioterapica, ospitando fino a 2500 bambini.
Il progetto passa ben presto nelle mani della giunta fascista, il cosiddetto Blocco Nazionale, che conclude i lavori nel ‘28 e nomina la scuola “Umberto di Savoia” e il convitto “Casa del sole”. La scuola possiede ora quattro sezioni del grado preparatorio (scuola materna), diciotto classi elementari maschili e quindici femminili, un corso maschile di avviamento alle professioni agrarie e uno femminile per la preparazione della “donna di casa.”
Ha anche un periodico, dal nome “Bimbi al sole” e, data l’importanza dell’istruzione per formare “l’uomo fascista” e per ottenere consenso, guadagna molta attenzione da parte dei gerarchi dell’epoca di cui riceve frequenti visite.
“Ragazzi. Questa, che voi frequentate, è la più bella scuola d’Italia e non vi è città, del mondo intero, per grande e ricca che sia, la quale possa vantare qualcosa che le assomigli”. (Dal mese di novembre del periodico, anno 1929)
È così che la scuola del Trotter si discosta dai suoi principi fondatori per reinterpretarne il modello educativo in chiave fascista. Le attività pratiche a contatto con la natura diventano mero esempio di lavoro a servizio della patria, l’economia domestica pone l’accento sulla subordinazione della donna all’uomo, l’attività fisica è utile a trasmettere il senso della disciplina e dell’obbedienza. Non mancano naturalmente marce, divise, inni al duce.
Con l’arrivo della seconda guerra mondiale, la scuola chiude i battenti. Nel ‘42 i bambini vengono trasferiti a Seregno e il quartiere di Turro è raso al suolo dai bombardamenti.
Cessato il fuoco, in uno dei padiglioni rimasti in piedi nasce una balera, nota come “mille e una notte” del Trotter, ma nel giro di poco tempo gli ingegneri Madonnini e Perucchini si danno da fare per la ricostruzione della scuola.
Nel ‘47 i bambini rientrano da Seregno ed entro il ‘50 tutti gli edifici vengono ristrutturati. L’intera struttura prende il nome di “Casa del sole” e abbandona ogni storpiamento fascista dei propri principi pedagogici per tornare all’originaria impostazione attivistica.
Ora l’educazione verte sulla liberazione della potenzialità espressiva degli alunni attraverso attività manuali e artistiche e sulla sensibilizzazione ai temi della socialità e della democrazia. In quest’ottica sorgono diverse cooperative formate dagli alunni stessi; c’è chi si occupa dell’orto, chi dei prodotti lattieri, chi dell’allevamento e della vendita dei polli. Un vero e proprio microcosmo in cui i bambini imparano come funziona il mondo. Il periodico fascista “Bimbi al sole” viene sostituito da “Parlano i ragazzi,” stampato dalla tipografia interna alla scuola.
Piano piano la “casa del sole” cessa di essere una scuola speciale per diventare una semplice scuola di quartiere, aperta soprattutto ai bambini della zona.
Nel ‘76 il parco viene dischiuso al pubblico per rispondere alla richiesta di spazi verdi da parte dei cittadini. Tuttavia l’amministrazione riduce progressivamente il proprio contributo finanziario. Non intervenendo nella ristrutturazione del convitto, quest’ultimo viene gradualmente abbandonato. Vittima continua di atti vandalici, il parco va incontro a un crescente degrado, arginato grazie all’intervento dei genitori, che si uniscono al fine di richiedere nuovi investimenti.
Fortunatamente nell’86 la sovrintendenza alle belle arti dichiara l’area “monumento nazionale,” salvaguardandola da possibili abbattimenti o ricostruzioni ex novo.
Negli anni che seguono, grazie alla possibilità data alle scuole di organizzare il “tempo pieno”, la “casa del sole” si apre alla sperimentazione verticale, un progetto che si propone di coordinare attività di materna, elementari e medie, anticipando i futuri istituti comprensivi. Introduce inoltre l’integrazione dei bambini portatori di handicap. La didattica si orienta sulla ricerca, stimolando gli alunni ad una capacità di analisi e comprensione della realtà sociale. Tuttavia la sperimentazione verticale mostra ben presto i propri difetti e va ad esaurirsi.
Negli anni ‘90 il comune stanzia finalmente dei soldi ai fini della ristrutturazione ma la scuola ne riscuote soltanto una parte che viene investita nei restauri più superficiali. Il convitto non viene toccato.
Nel ‘90 nasce, in quello che sembra un ritorno alle origini, il MUBA, museo del parco. Sostenuto dalla rivista Airone Junior, e ispirato a un’idea di Bruno Munari, si tratta di un allestimento espositivo pensato e realizzato dai ragazzi, in cui vige la sola regola “Vietato non toccare”.
In questi anni la scuola si orienta verso la corrente costruttivista, che ancora una volta sostiene l’importanza dell’esperienza concreta ai fini dell’apprendimento. Nel ‘94 nasce l’associazione “Amici del parco Trotter”, che ha come scopo la tutela, la conservazione e la valorizzazione dell’area.
Varie idee si accavallano e scontrano riguardo il futuro del sito, ma le promesse di finanziamenti non sono quasi mai mantenute. Tuttavia è ancora una volta qui che, nel ‘95, si costituisce il primo istituto comprensivo d’Italia, basato sulla continuità educativo-didattica. Con l’avvento della globalizzazione e la sempre maggiore affluenza di alunni stranieri, il Trotter introduce i temi dell’educazione interculturale, lo sviluppo, la pace, diventando un argine contro il diffondersi di xenofobia e intolleranza. Con il “progetto per stranieri”, propone una didattica che stimola il rispetto delle identità culturali e crea occasioni di dialogo.
Nel 2003 il progetto Abita, “la città dell’infanzia,” elaborato da un’équipe di architetti del Politecnico, viene approvato dall’amministrazione comunale. Prevede un riordino dei padiglioni, l’inserimento di funzioni pedagogico-didattiche destinate ai ragazzi di tutta la città, la riqualificazione del parco per salvaguardarne l’integrità storica.
Tuttavia i lavori faticano ad avanzare. Il restauro del convitto si trascina fino all’anno di Expo.
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Il Trotter oggi
Per capire un po’ come si è evoluta la situazione negli ultimi anni, facciamo due chiacchiere con Giorgio Perego, membro del direttivo dell’associazione “Amici del parco Trotter” dal lontano ‘94. Lo incontriamo all’ingresso est del parco, quella parte che guarda su via Padova, una delle zone più multietniche di Milano. Tira un’aria fredda, il cielo è il solito grigiume ma tutto sembra bello. In appena un chilometro abbiamo già sentito parlare cinque o sei lingue differenti.
Giorgio è un signore gentile e ospitale, ci accoglie nel calduccio della sede dell’associazione, ricavata all’interno di quella che, tanto tanto tempo fa, era la cascina del fattore dell’ippodromo Trotter.
Innanzitutto, come opera l’associazione Casa del sole – amici del parco Trotter?
Da diversi anni a questa parte ci occupiamo di varie attività, tra cui una scuola che non accoglie solo i bambini stranieri ma anche i loro genitori. Questo per sopperire alle mancanze che hanno nel momento in cui vengono introdotti nella scuola italiana e per favorire l’integrazione dei genitori a livello sociale. Abbiamo una serie di “facilitatori linguistici” che insegnano in qualità di volontari, tre volte a settimana agli adulti e due ai bambini. Purtroppo, come tante scuole d’Italia, abbiamo subito importanti tagli su queste figure.
Ci parli del convitto, come si è evoluta la situazione negli anni?
La ristrutturazione del convitto è frutto di un’opera lunga e faticosa perché si trovava in condizione pessime. Era inagibile, buona parte del tetto era crollata e vi erano cresciuti alberi all’interno. Il convitto, quando il Trotter era un ippodromo, ospitava le scuderie, perciò nacque, a livello strutturale, privo di fondamenta. Poi divenne il convitto vero e proprio, che ospitava i bambini a rischio contagio, coloro che convivevano con parenti affetti da malattie. Smise di funzionare intorno all’85, quando il comune decise di non investire per la ristrutturazione. Ci fu il tentativo di introdurvi il Leoncavallo ma i membri stessi del centro sociale lo ritennero inadatto perché molto frammentato a livello di spazi.
Il desiderio del Trotter era, fin da subito, la conversione in scuola media.
Quando fu eletto Pisapia, la fondazione Cariplo decise di investire otto milioni su una situazione particolare della città. Pisapia, credo per la prima volta, scelse la periferia e non il centro, e il convitto ha iniziato a rinascere. Tuttavia Fondazione Cariplo non può occuparsi di istituti statali e scolastici perciò si trovò un compromesso; metà convitto sarebbe stata una scuola e l’altra metà un centro di aggregazione per il quartiere.
Che ne è stato della stanza delle scoperte, il museo dei bambini?
Verso la fine degli anni ‘90 tutti gli oggetti sono stati trasferiti. Ci fu l’idea, secondo il progetto Abita, di riaprire il museo all’interno dell’edificio dell’acqua potabile ma la giunta comunale decise ancora una volta di lasciar perdere tutto. Rimangono alcune cose nei magazzini.
Noi abbiamo pensato che fosse bello far mantenere a questa struttura una mission di tipo culturale, infatti, lì dove una volta c’era il museo, adesso si trova l’archivio storico della Casa del sole. Grazie a un bando della regione abbiamo a disposizione tre archiviste che si occupano di inventariare tutto il materiale. Quest’anno si stanno occupando degli anni ‘40. Oltre a questo, abbiamo vinto il bando “luoghi del cuore” del FAI che ci ha permesso di completare alcune cose, come comprare gli armadi a prova di umidità per conservare i documenti. Ora qui ci sono due biblioteche per i bambini, l’aula di informatica, il polo start che gestisce gli arrivi dei bambini stranieri e infine la piccola sede della nostra associazione.
Com’è la scuola del Trotter oggi?
La scuola è composta da una grande utenza straniera dovuta alla zona in cui si trova. Via Padova è sempre stata una via di accesso alla città, inizialmente c’erano i migranti del sud Italia e ora ci sono quelli del sud del mondo. Alcuni la definiscono una “scuola-ghetto” perché rispetto ad altre scuole ha un maggioranza di alunni stranieri, circa il 70%. Io penso che il corpo insegnante stia rispondendo bene alle problematiche che si trova ad affrontare nelle classi. È chiaro che portare avanti tutti vuol dire, talvolta, andare tutti un po’ più lentamente. I miei figli hanno frequentato il Trotter e oggi sono tutti e tre laureati, quindi non sono stati minimamente penalizzati dalla scuola. Certo, molti genitori italiani preferiscono spostare i figli in altre scuole dove si hanno più sicurezze.
A livello didattico è rimasto qualcosa dei modelli di riferimento con cui la scuola è nata e vissuta?
È rimasto qualcosa sì, ma solo nei vecchi insegnanti. Questa scuola è nata un po’ come la Pizzigoni, solo che quest’ultima ha continuato a essere una scuola dove gli insegnanti hanno una formazione specifica, soprattutto perché non ha mai smesso di ricevere i finanziamenti destinati alle “scuole speciali”. Qui, invece, ogni insegnante che arriva porta la propria esperienza.
Nella scuola media si attua un po’ di più il metodo il metodo dell’imparare attraverso l’esperienza; hanno la fattoria, si coltivano gli orti, si fanno attività di orientamento, eccetera. Seguono un certo tipo di discorso sul parco nello specifico. Ma sinceramente a livello generale non c’è più il sogno didattico di una volta.
Questo parco, fino agli anni ’70, è sempre stato chiuso al pubblico. C’erano la fattoria, gli orti, la piscina e tutta una serie di attività che permettevano lo svolgimento di un certo tipo di didattica. Il parco era proprio il cortile della scuola. Nel ’76 si è aperto al pubblico il sabato e la domenica, così sono spariti gli animali della fattoria. Un’azione fatta senza lungimiranza; non c’era un custode e non c’era sicurezza. Si sono susseguiti atti di vandalismo. Negli anni 90 è stato aperto anche tutti i giorni dalle 16,30. Quindi questa didattica non è più possibile. Ora solo l’intervallo si fa all’aperto.
Inoltre qui la situazione è un po’ particolare; è una scuola sviluppata orizzontalmente, ogni padiglione è un’interclasse (tutte le prime da una parte, le seconda dall’altra ecc.). In questi ultimi anni ci è mancato un dirigente che facesse da collante. Spesso ogni padiglione andava un po’ per conto proprio, c’erano insegnanti che non usavano libri di testo per continuare la didattica originaria e altri meno attenti alla storia della scuola. La nostra speranza è che con il nuovo dirigente si ritrovi un’unità d’intenti fra la scuola elementare e la scuola media.
Adesso il parco apre ogni giorno dalle 16,30 fino alle 19. A me personalmente piacerebbe che, anche in orario scolastico, potessero entrare nonni con i nipotini o mamme con le carrozzine. Ma serve sicurezza, serve controllo, e l’amministrazione non è in grado di garantire queste due cose.
Quali sono le prospettive per il futuro?
Purtroppo ci sono situazioni molto difficili da gestire. Noi promuoviamo coesione sociale e integrazione tra tutti gli abitanti del quartiere ma abbiamo molte difficoltà, ad esempio di comunicazione.
Come associazione, siamo sempre più in crisi. Quello che riusciamo a fare sono dei “segnali”. Io non sono molto ottimista. Stiamo cercando di far capire agli abitanti del quartiere che votano Lega che questa è sempre stata una via molto aperta. Un po’ la Belleville di Parigi. Non va vissuta come un esproprio ma come una ricchezza. La multietnicità spesso, non sempre, è bellezza.
Perché il Trotter è un importante patrimonio di Milano?
Perché ha una storia che viene da lontano. Per tutte le cose belle che sono state fatte a livello didattico, sociale. E in questi anni rappresenta il futuro. Qui abbiamo 70% bambini stranieri, questo è il domani di Milano. La cosa positiva è che tutti potranno arricchirsi di questo.
Tuttavia non ci nascondiamo che le differenze etniche portano anche separazione.
Penso ad esempio a mio figlio, che quando frequentava la scuola e invitava i compagni per il compleanno faceva sempre fatica a riunire tutti. C’erano gli amici cinesi che, una volta fuori da scuola, si rifugiavano nella propria comunità. Io passavo in macchina e tiravo su tutti per festeggiare insieme.
Se l’istituzione del comune fosse più presente sul territorio attraverso circoli sociali ci sarebbe più condivisione. Il comune è inesistente per il Trotter.
Una cosa positiva è che il quartiere si sta pian piano riempiendo di giovani. Vuoi perché le case costano meno, vuoi perché sono giovani e le idee sono belle. Hanno fondato una radio che si chiama Nolo. È un collettivo che sta trasformando l’idea che si ha del quartiere.
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Salutiamo Giorgio, che ci regala l’ultima fatica dell’associazione, un libro intitolato “Via Padova e dintorni — identità di una periferia milanese,” zeppo di meravigliose foto d’epoca.
Usciamo dalla sede e passeggiamo per il parco pensando che, per fortuna, al mondo ci sono tante persone con buoni intenti e belle idee. E ci imbattiamo nell’orchestra di Natale, che rende il momento ancora più soave.
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tutte le foto di Gloria Mottarelli