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La scorsa settimana Rolling Stone ha annunciato la nuova direttrice del “mondo web” della testata. Da gennaio a condurre il lavoro della direzione online del giornale, occupandosi di sito e social, sarà Selvaggia Lucarelli.

Dal 2003 — l’anno del suo approdo in Italia — Rolling Stone è considerato più o meno diffusamente il capofila della critica musicale italiana. Con il passare del tempo — e l’inesorabile tramonto del rock — la sua linea editoriale è però mutata, ridimensionando via via lo spazio concesso alle chitarre per abbracciare generi un tempo quasi del tutto estranei ai contenuti della rivista: pop e rap.

Il cambio di rotta da un lato ha sicuramente portato all’allargamento del pubblico di RS, non più circoscritto al solo club di cultori del rock, dall’altro ha fatto si che i lettori storici lo abbandonassero progressivamente, ritenendolo colpevole di aver tradito la sua linea originale — e qui si potrebbe aprire una parentesi lunghissima sfruttando l’incipit “c’era una volta…”. Ma non la apriremo.

Tre anni fa la licenza italiana di Rolling Stone è stata acquistata da Luciano Bernardini De Pace Editore, il quale ha iniziato un’opera di restauro del magazine e recentemente ha dichiarato:

“Non siamo ancora in utile ma per fine anno contiamo di raggiungere il pareggio sia per quanto riguarda il ramo editoriale sia per la concessionaria.”

Oggi la testata dichiara 1.400.000 utenti unici/mese, 7.700.000 pagine viste/mese, 394.000 follower su Facebook, 158.000 su Instagram, 128.000 su Twitter e 136.000 su Google+ — qualcuno lo usa ancora? In edicola la tiratura media è di 20.000 copie mentre il numero di abbonati si attesta attorno ai 4.000. 

Ma che cos’è diventato Rolling Stone in Italia? Essenzialmente un magazine di cultura, non più esclusivamente musicale. Tra le sue pagine si parla di cinema, serie tv, libri, videogame, ma anche politica e società. Negli ultimi tempi, tra mille polemiche, le copertine più celebri sono state quelle di Matteo Renzi e Papa Francesco.

renzi
Never forget

E la musica? Arranca. Il tentativo del direttore di turno — nell’ultimo anno e mezzo si sono avvicendati alla conduzione in quattro: Giovanni Robertini, Massimo Coppola, Gianluca Beltrame e ancora Robertini — sembra voler essere quello di mettere d’accordo tutti, producendo nel lettore — anche in un abbonato fiducioso come me — una vaga sensazione di straniamento. A qualcuno piace la nuova scena indie? Ok, incensiamo i Gomma. E se parlassimo per l’ennesima volta dei Led Zeppelin? Andata! A dicembre però esce Cremonini con il nuovo album, perché non gli dedichiamo la copertina?

Il sospetto è che nell’ottica di inseguire, costi quel costi, il contenuto pop, mantenendo uno sguardo fisso su quello che rimane della scena rock e contemporaneamente tenendo presenti le mode musicali del momento, Rolling Stone stia lentamente perdendo la sua identità. Sta mutando, appunto. Gradualmente si sta trasformando nell’ennesima testata generalista abbandonando la critica musicale e abbracciando invece l’immagine consolidata dell’artista pop del momento o del personaggio nazionalpopolare.

Selvaggia Lucarelli
Selvaggia Lucarelli

Non stupisce quindi la nomina della Lucarelli, giornalista per il Fatto Quotidiano, scrittrice, ma soprattutto regina dell’indignazione da social network con oltre 1.200.000 di follower su Facebook. Nessuno più di lei possiede le capacità di intercettare quel pubblico di ascoltatori medi che ad oggi manca alla testata. Certo il rischio è quello di assistere alla trasformazione di Rolling Stone in un ibrido editoriale senza capo né coda, ma prima di dire “cosa ne capisce la Lucarelli di musica!!1!!1!,” forse è meglio aspettare, darsi una calmata e vedere cosa succede. Poi a gennaio, a cose fatte ne riparleremo. Promesso.


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