Dimenticati nei campi profughi del Kurdistan iracheno

Aziz è un ragazzo yazida di ventitré anni. Vive nel campo profughi di Bersive, nel Kurdistan iracheno, insieme alla moglie e al figlio di un anno.

Dimenticati nei campi profughi del Kurdistan iracheno

La testimonianza di Aziz, un ragazzo yazida di ventitré anni che vive nel campo profughi di Bersive, nel Kurdistan iracheno, insieme alla moglie e al figlio di un anno.

Aziz fa parte della minoranza religiosa yazida, perseguitata da decenni. È stato costretto ad abbandonare la sua casa sul monte Sinjar quando Daesh ha occupato la regione, il 3 agosto 2014. Oltre tremila yazidi, anche bambini, sono stati uccisi, mentre donne e ragazze sono state rapite e violentate. I pochi sopravvissuti hanno cercato riparo sul Monte Sinjar, senza cibo, acqua né vestiti. Aziz racconta che ha vissuto per una settimana dormendo all’aria aperta, senza mangiare né dormire. I kurdi, insieme all’aiuto degli uomini yazidi superstiti, sono riusciti ad aprire un corridoio fra il monte Sinjar e la Siria, per mettere in salvo i civili bloccati sulle pendici del monte per l’assedio di Daesh.

Una volta arrivati in Siria, gli yazidi sopravvissuti sono stati trasferiti in Kurdistan iracheno, in alcuni campi profughi. Aziz vive nel campo di Bersive da tre, vicino alla città di Zacho. L’assistenza umanitaria nel campo, però, è insufficiente e le condizioni di vita sono precarie.

Aziz ci racconta la situazione del campo, spiegando che mancano i servizi di base. Le famiglie yazide vivono in tende, sia d’estate sia in inverno, soffrendo ogni temperatura. I servizi igienici sono condivisi e non sono adeguati. Specialmente in estate i rifugiati di Bersive sono abbandonati a se stessi. D’inverno, per scaldarsi, le famiglie accendono fuochi bruciando quello che trovano e molte volte nascono incendi.

La mattina del 23 dicembre, per esempio, diverse tende sono andate a fuoco nel campo e questa volta, per fortuna, non è morto nessuno.

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Le condizioni del campo erano già state denunciate da un rapporto di Amnesty International a febbraio 2015, in cui si diceva che il campo di Bersive ospitava circa 10.000 persone in tende non isolate e che, quando pioveva, l’acqua le allagava. Inoltre, Amnesty evidenziava la mancanza di acqua calda e il numero di bagni proporzionalmente non adeguato agli standard delle crisi umanitarie.

Bersive non è l’unico campo profughi in Kurdistan iracheno. Per esempio, il campo di Baharka, nella periferia di Erbil, è il più conosciuto e ospita rifugiati iracheni e palestinesi in condizioni difficili.

I campi profughi non riescono a ospitare tutti gli sfollati iracheni e i profughi provenienti dalla Siria e per questo motivo nascono molti campi informali. Chiaramente, senza avere i servizi adeguati. Molte persone vivono in edifici abbandonati, in costruzione oppure in campi non ufficiali, senza acqua né elettricità e in condizioni igienico-sanitarie davvero scarse. In inverno le temperature nella regione sono molto basse e non avendo coperte e vestiti a sufficienza per scaldarsi, i profughi sono costretti ad accendere fuochi con quello che trovano, non avendo neanche il carburante adatto. Bruciano carta, plastica, rischiando di ammalarsi per i fumi inalati. La maggior parte dei bambini non va a scuola. Pochi seguono le lezioni fornite dalle ONG presenti nei campi, mentre molti sono costretti a lavorare per aiutare le proprie famiglie.

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Le uniche speranze vengono date dai civili che portano aiuti.

Aziz racconta che gli yazidi che vivono a Bersive hanno paura e non si sentono al sicuro, perché la loro minoranza è stata perseguitata più volte, per motivi religiosi, e questo potrebbe accadere di nuovo. Per cercare di andare avanti e sopravvivere alla condizione in cui si trova, il ragazzo lancia continui appelli sui social network per chiedere aiuto alle grandi organizzazioni e per dar voce a una minoranza troppo spesso dimenticata. Infatti, le organizzazioni che si occupano di fornire assistenza agli yazidi sono poche. Ricordiamo Yazda, l’organizzazione no-profit che attua opere di sensibilizzazione per dar voce al genocidio yazida e sostenere la minoranza.