Dieci anni di politiche italiane criminali in Libia

Il Ministro degli Esteri Marco Minniti ha dichiarato che i diritti umani sono una priorità del governo, ma in sostanza non ha mostrato intenzione di modificare la sua linea politica.

Dieci anni di politiche italiane criminali in Libia

La lotta sempre più serrata agli scafisti li ha spinti a riconvertirsi. Adesso traghettano petrolio sul mercato nero e questo svuota le casse libiche.

Settimana scorsa, l’ONU ha diffuso una dichiarazione piuttosto esplicita:

[Il patto stretto con Tripoli dal governo Gentiloni per conto dell’Unione Europea] è disumano e la sofferenza dei migranti detenuti nei campi in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità.

Anche l’ONU, insomma, si è accorta che l’idea che ha il nostro Ministro degli Esteri Marco Minniti di “gestione dei flussi migratori” è criminale: stringere un accordo segreto con milizie libiche per far sì che impediscano con ogni mezzo ai migranti in arrivo dall’Africa centrale, avallando la costruzione di veri e propri campi di concentramento, è una linea che non può essere definita in nessun altro modo.

La politica italiana, a parte qualche raro caso, ha più o meno fatto spallucce. Anche lo stesso Minniti ha dichiarato che i diritti umani sono una priorità del governo, ma in sostanza non ha mostrato intenzione di modificare la sua linea politica.

Abbiamo parlato con Antonio Panzeri, Europarlamentare di MDP, membro della Commissione Affari Esteri del Parlamento Europeo.

Lei, signor Panzeri, è stato in Libia più volte. Com’era la situazione negli anni passati, e com’è adesso?

La situazione non era bella prima, ma adesso è peggiorata. Ci siamo sempre trovati davanti a dei veri e propri campi di detenzione.

Sono stato in più occasioni, nel 2010, nel 2011 e nel 2013. Adesso dovrei tornare tra un mesetto, partendo il 16 dicembre: il Parlamento Europeo ha deciso di mandare una delegazione sul posto dopo le dichiarazioni dell’ONU.

La Libia è in preda al caos. Oggi la situazione è delicata dal punto di vista gestionale: il governo libico non ha le risorse per governare tutto. Questo per un motivo: la lotta sempre più serrata agli scafisti ha spinto gli scafisti a riconvertirsi. Adesso traghettano petrolio sul mercato nero e questo svuota le casse libiche.

D’altronde, le autorità italiane non sono nuove alle intrusioni negli affari interni della Libia. Anche per scopi simili a quelli dell’attuale ministro dell’interno, e con metodi paragonabili a quelli di MM.

Il primo Protocollo per la gestione dei flussi migratori risale al 2007. Era un’altra epoca politica: Prodi era Presidente del Consiglio e Giuliano Amato Ministro dell’Interno. Eppure, a leggere i commenti e le dichiarazioni di quei giorni, sembra di avere aperto qualsiasi giornale di oggi, a quasi un decennio di distanza. Ecco quanto riportava Fortress Europe, il blog dell’allora giovane e semisconosciuto Gabriele Del Grande:

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Quel protocollo venne definitivamente firmato dal nuovo ministro degli Interni Roberto Maroni. Oggi, Maroni è governatore della Lombardia. Ma dal 2008 al 2011 ha ricoperto la carica che oggi è di Minniti, occupandosi dunque della gestione dei flussi migratori all’interno del paese per quasi quattro anni.

Oggi o in passato, l’Italia ha mai dato un contributo diretto alla costruzione dei campi di concentramento libici?

Dal punto di vista dei campi, no. Lo scambio avveniva attraverso politiche di natura infrastrutturale. Ogni volta che non era contento di qualcosa, infatti, Gheddafi apriva i rubinetti dei migranti. Ora la situazione è simile: gli accordi fatti sono soprattutto investimenti in infrastrutture. Per assurdo, se ci fossero degli investimenti italiani nei campi non ci troveremmo in queste condizioni. Il governo di Al-Serraj dice che c’è una situazione esplosiva: almeno 1.5 milioni di migranti, di cui 500.000 pronti a partire.

Qual è l’obiettivo della prossima visita?

Se questa visita si farà cadrà in un periodo importante. Il 17 dicembre scade l’accordo di SQIRAT tra Haftar e Tripoli, che aveva portato al governo di unità nazionale. L’idea, da parte della comunità nazionale, è quella di un nuovo accordo. Io però ho dei dubbi che per il 17 si arriverà a un risultato, specie visto che Haftar controlla il 70% del territorio libico e non è strettamente nel suo interesse raggiungerlo. Il nostro obiettivo è di carattere politico, dando un piccolo contributo al dialogo, e verificare sul posto la situazione migratoria coi nostri occhi.

Non vede possibile un passo indietro del governo italiano sulla gestione dei flussi?

Sinceramente non so neanche in cosa potrebbe consistere un passo indietro. L’obiettivo del governo italiano era fermare il flusso, e ha messo in atto tutta una serie di processi per raggiungerlo. Si è abbassato il flusso, ma sono successe tre cose:

  • Sì sono aperte nuove rotte attraverso Tunisia e Marocco;
  • Le condizioni di vita dei migranti sono diventate disumane;
  • Si è creato un ciclo di contrabbando del petrolio che dissangua l’economia libica.

Cambiare politica vorrebbe dire che quanto fatto finora ha solo messo la polvere sotto il tappeto. Io sono una di quelle persone che ritengono che il controllo sia importante e ok, ma non può andare a scapito dei diritti.

Sta ponendo molto accento sui traffici di petrolio illeciti. Può dirci qualcosa di più?

Non so la quantità precisa di cui si parla, ma so da fonti affidabili che è molto importante. Non stiamo parlando di roba da niente. Stiamo parlando di intere navi.

Malta è un crocevia di questi traffici. Poi ovviamente viene venduto al mercato nero: i compratori sono tanti, e i costi di raffinazione bassissimi. Tutto questo sta mettendo a dura prova l’economia libica, che si basa sull’esportazione del petrolio, destabilizzando ulteriormente il paese.