L’Italia può raggiungere il 100% di energia rinnovabile entro il 2050. Ecco come.
Lo spiegano quattro ricercatori del CNR, che hanno tracciato la roadmap da seguire per raggiungere l’obiettivo.
Lo spiegano quattro ricercatori del CNR, che hanno tracciato la roadmap da seguire per raggiungere quota 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro la metà del secolo.
“Esponiamo di seguito una verosimile strada per la transizione energetica dell’Italia, tale per cui [ndr. a conversione avvenuta] l’intera domanda energetica sia soddisfatta dall’elettricità generata a basso costo dalle tecnologie rinnovabili, ossia fotovoltaico, eolico e idroelettrico.”
È quanto afferma l’abstract di “Italy 100% Renewable: A Suitable Energy Transition Roadmap” (2016), il primo studio made in Italy e open-source che indica le azioni da intraprendere per alimentare l’Italia con energia proveniente al 100% da fonti rinnovabili.
A firmarlo sono quattro scienziati del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR): due meteorologi – Francesco Meneguzzo e Lorenzo Albanese – e due chimici specializzati nei rami energetici del solare e della biomassa – Rosaria Ciriminna e Mario Pagliaro – che tutti insieme totalizzano oltre 55 anni di esperienza nel mondo della ricerca.
Come si legge nel titolo, il lavoro si configura come una roadmap, ossia una linea-guida indirizzata alle istituzioni con l’intento di aiutarle a pianificare la graduale transizione energetica. Insomma, una tabella di marcia, che suggerisce quanti e quali tipi di impianti installare, quali materie prime utilizzare e come distribuire nel tempo gli investimenti.
Ogni intervento proposto è ovviamente accompagnato da citazioni di indagini teoriche e casi di studio pratici che ne comprovano la fattibilità, sia in termini di convenienza economica, sia di manovrabilità tecnica, sia di disponibilità di spazio fisico dove far sorgere i complessi.
In particolare, viene fatto più volte riferimento a un famoso studio della Stanford University (comunemente noto come “Countries WWS”) che già nel 2015 aveva tracciato le linee guida per il passaggio di 139 nazioni alle fonti rinnovabili.
L’unica cosa che l’articolo del CNR non dichiara è dove posizionare le tecnologie, e giustamente, perché tale decisione deve scaturire da processi partecipativi che coinvolgano gli abitanti e le amministrazioni dei territori interessati dai lavori, onde evitare l’insorgere di proteste NIMBY.
La domanda energetica: Elettricità, calore e combustibile
Oltre al Countries WWS, esistono almeno altri due recenti studi (aprile 2017, novembre 2017) che illustrano come ogni stato possa raggiungere l’autosufficienza sostenibile utilizzando – oltre alle fonti rinnovabili classiche – anche tecnologie molto sofisticate e ancora in fase di sviluppo, quali ad esempio l’energia dal moto ondoso e l’energia delle maree.
Il paper del CNR sostiene invece che per sostituire il ruolo dei combustibili fossili in Italia bastino l’idroelettrico, l’eolico e il solare.
Questi impianti da soli, perciò, dovranno fornire l’elettricità necessaria sia alla rete elettrica, sia ai sistemi di riscaldamento, sia ai mezzi di trasporto di tutta l’Italia (come vedremo, non è detto che questi ultimi debbano avere per forza il motore elettrico). Gli autori hanno stimato che tale somma – ossia il fabbisogno energetico totale dell’Italia nel 2050 – raggiungerà il valore annuale di 730 TWh (Terawattora), circa il 230% di quella attuale (315 TWh).
Turbine eoliche e pannelli fotovoltaici
Per soddisfare l’intera domanda energetica bisognerà innanzitutto costruire un’enorme quantità di turbine eoliche e pannelli solari, portando le rispettive potenze fino a 190 GW (21 volte la potenza eolica corrente) e 315 GW (16 volte la potenza fotovoltaica corrente), dalle quali discenderebbe un apporto di energia annuale pari a 270 TWh e 370 TWh, per un ammontare complessivo di 640 TWh, che coprirebbe l’87% dell’intero fabbisogno (730 TWh).
Secondo il Countries WWS, i parchi eolici occuperebbero solo il 2.94% del territorio nazionale, mentre per quanto riguarda i moduli fotovoltaici, un report rilasciato nel 2002 dall’International Energy Agency mostrava che sfruttando le superfici esterne degli edifici allora esistenti (763 km2 di tetti e 286 km2 di pareti) si potevano generare almeno 126 TWh annui.
Dunque, argomentano gli scienziati del CNR, utilizzando i pannelli di nuova generazione e ricorrendo alla tecnica edilizia del “Fotovoltaico architettonicamente integrato”, si potrebbero ottenere i 370 TWh indicati dallo studio. La complicazione sta nel fatto che la domanda di energia è molto variabile durante l’arco della giornata, così come è variabile la produzione di energia rinnovabile, che dipende dall’intensità dei fenomeni che la generano: esistono perciò dei lassi di tempo più o meno lunghi in cui l’azione combinata di vento e sole non è sufficiente a soddisfare la richiesta energetica della popolazione. In tali momenti bisogna avere pronta dell’energia “di scorta”, messa da parte durante i periodi più produttivi e conservata in vista dei tempi di magra.
Il bioidrogeno
I quattro professori stimano che al 2050 la quantità annuale di tale energia di riserva debba essere pari a 550 TWh (circa il 75% della produzione totale), una cifra che va prelevata dai 640 TWh di derivazione eolica e fotovoltaica.
Il problema è dove stoccare questa energia. Generalmente, per immagazzinare grandi quantità di energia, si utilizzano le centrali idroelettriche di pompaggio, ma lo studio evidenzia che in Italia queste ultime lavorano già a pieno regime e che sarebbe inverosimile costruirne delle altre, principalmente per mancanza di spazio sul territorio.
I ricercatori propongono allora di spendere l’elettricità in eccesso per la produzione del cosiddetto “idrogeno di origine biologica” (in gergo “bioidrogeno”) attraverso l’innovativa “tecnica multi-enzima” ideata nel 2009 dallo scienziato Yi-Heng Percival Zhang, grazie alla quale è possibile ricavare il carburante biatomico a partire da acqua, amidi, cellulosa ed energia elettrica.
Il vantaggio dell’idrogeno è che – esattamente come un combustibile fossile – può essere conservato e trasportato materialmente, per poi essere convertito in elettricità quando e dove se ne ha bisogno.
Sebbene l’impiego di questa sostanza come mezzo di stoccaggio energetico sia già stato teorizzato a partire dalla seconda metà del XX secolo, lo sviluppo di un tale sistema di accumulo è sempre stato fortemente limitato dalla perdita di energia che discende dal metodo più semplice per sintetizzare l’idrogeno: l’elettrolisi.
Utilizzando la procedura biologica invece, la perdita di energia viene eliminata, e la tecnica di Zhang promette dei costi nettamente inferiori a quelli del processo tradizionale, finora poco diffuso proprio perché piuttosto dispendioso. I ricercatori assicurano inoltre che questa tecnologia sarà presto applicata su larga scala in Cina, è dunque lecito pensare che stia per nascere un’abbondante letteratura su come standardizzare, ingegnerizzare e ottimizzare l’intero sistema di produzione.
Tornando all’Italia, i 550 TWh conservabili sotto forma di bioidrogeno sarebbero dunque in grado di sopperire alle oscillazioni della domanda energetica totale e soprattutto garantirebbero la locomozione dei mezzi di trasporto non inquinanti.
Infatti, l’idrogeno accumulato potrebbe essere convertito in elettricità e utilizzato per alimentare linee ferroviarie e metropolitane, per ricaricare le batterie dei veicoli elettrici, per sintetizzare biocarburanti, oppure potrebbe essere destinato direttamente ai veicoli che lo richiedono come combustibile.
Per la verità, l’articolo sottolinea che un’ulteriore piccola quantità di energia potrebbe essere stoccata nelle centrali idroelettriche di pompaggio, le quali al momento vantano una produzione annua netta pari a 55 TWh.
Una simulazione dimostra infatti che sfruttando al massimo tali impianti come serbatoi energetici, essi potrebbero immagazzinare fino a 62 TWh; di conseguenza però, il corrispettivo output netto scenderebbe a 49 TWh, da considerarsi come la prestazione minima del sistema.
Il solare termico
Considerando che i nuovi stabilimenti eolici e fotovoltaici immetteranno nella rete elettrica 640 TWh, che le attuali centrali idroelettriche produrranno in futuro almeno 49 TWh e che già oggi gli impianti geotermici garantiscono 6 TWh, mancano ancora 35 TWh per raggiungere i 730 TWh del fabbisogno annuo al 2050.
Secondo i ricercatori, quest’ultima porzione di energia dovrebbe essere interamente riconducibile alla climatizzazione degli edifici, tanto da poter essere generata direttamente in loco mediante l’installazione di innovativi pannelli solari termici – preferibilmente quelli a tubi sottovuoto (evacuated tubes solar thermal collectors) o in alternativa quelli vetrati (glazed solar thermal collectors).
“Questa tecnologia è perfetta per ottenere acqua calda domestica, oltre che per riscaldare e refrigerare gli interni” scrivono gli scienziati. “Se la potenza del solare termico crescesse in concomitanza con quella del fotovoltaico (ndr. se la potenza solare termica diventasse 16 volte quella attuale), essa porterebbe un contributo di 40 TWh termici l’anno, […] il tutto senza occupare più di un metro quadro di tetto per ogni cittadino.”
Investire nel futuro
Alla fine del lavoro gli autori presentano il conto. Il grosso della spesa è rappresentato dalle tecnologie di accumulo, che ogni anno richiedono un investimento sempre maggiore: solo tra il 2017 e il 2050 sarebbe necessario un versamento complessivo di circa 500 miliardi di Euro, mentre dopo tale data la quota annuale si stabilizzerebbe a 29 miliardi.
Molto meno gravosa è la spesa per l’installazione dei generatori eolici e dei moduli fotovoltaici, 530 miliardi, un costo fisso che verrebbe pagato una tantum e che dopo il 2050 cesserebbe di esistere.
Perciò, il passaggio dell’Italia alle fonti pulite richiederebbe oltre 1000 miliardi di euro — una cifra astronomica, che però in termini relativi non è così tremenda. Va detto infatti che, sia che si continuasse a utilizzare il mix di fonti attuale, sia che si costruissero gli impianti rinnovabili, comunque bisognerebbe investire una parte della spesa nell’acquisto di combustibili fossili. Nel secondo caso, però, la spesa è superiore di 600 miliardi: al netto dunque, la transizione verde costerebbe circa 400 miliardi.
Tale somma potrebbe ridursi ulteriormente se nell’analisi economica venisse considerata una serie di fattori positivi volutamente trascurata dai ricercatori, che hanno scelto di valutare diversi aspetti del processo dando per scontato che si verificassero le condizioni peggiori.
Al di là della questione puramente monetaria – che stima il ritorno dell’investimento solo verso il 2127 – vi sono diverse ragioni per cui vale la pena compiere il salto verso le fonti pulite. Come mostrato dall’organizzazione The Solution Project, in Italia la svolta sostenibile porterebbe oltre 800.000 nuovi posti di lavoro, ogni anno alleggerirebbe i costi del sistema sanitario di 216 miliardi di dollari ed eviterebbe circa 20.000 morti premature causate dall’inquinamento.
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Per quanto riguarda il singolo cittadino, l’abbandono dei combustibili fossili provocherebbe un crollo delle spese in bolletta, da cui discenderebbe un risparmio annuale di 489 dollari pro capite, mentre innumerevoli benefici come il miglioramento della qualità dell’aria e la mitigazione dei fenomeni provocati dal global warming sarebbero quantificabili in 6.878 dollari pro capite all’anno.
Proprio su quest’ultimo fatto dovremmo riflettere.
Il cambiamento climatico ha già iniziato a colpire l’Italia ma i suoi effetti non si distribuiscono in modo uniforme sul territorio: se alcune zone potrebbero non risentirne o addirittura trarne giovamento, molte altre potrebbero essere ridotte alla fame o finire letteralmente sott’acqua. Per questo motivo non c’è tempo da perdere: gli studi della Stanford e del CNR hanno indicato quali tecnologie e quanta potenza bisogna realizzare, ora tocca alle istituzioni avviare il dialogo con la popolazione per decidere assieme e al più presto dove costruire gli impianti.
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