I mostri non sono più gli stessi nella seconda stagione di Stranger Things
Per quanto Stranger Things si rifaccia a opere più conosciute e popolari, la serietà con cui i suoi creatori hanno affrontato la seconda stagione non lascia dubbi sulla complessità narrativa dei suoi mostri.
Per quanto Stranger Things si rifaccia a opere più conosciute e popolari, la serietà con cui i suoi creatori hanno affrontato questa seconda stagione non lascia dubbi sulla complessità narrativa ed emotiva dei suoi mostri.
A partire dal 27 ottobre il pubblico di Netflix ha potuto finalmente mettere le mani sulla seconda stagione del tanto atteso Stranger Things, il revival cult-horror basato sulle avventure di quattro giovanissimi amici e degli abitanti della cittadina di Hawkins, che dal 2016 ha calamitato gli spettatori grazie alle sue infinite citazioni e alla sua estetica rétro.
Si riprende da dove avevamo lasciato: piccoli incidenti, misteri che si allargano a macchia d’olio, amicizie che si rompono e legami che si creano, tutto con il costante riflesso dell’ Upside Down, sempre più rappresentazione terrena del Male.
Evitando i tanto odiati spoiler per coloro che non avessero ancora iniziato la maratona di binge watching, ci dedicheremo qui a un’analisi per cui sarà sufficiente la visione del trailer.
Dal trailer rilasciato durante il Super Bowl di febbraio scopriamo – grazie a una rapida apparizione – il mostro che nella seconda stagione sostituirà l’ormai defunto Demogorgon: un ragno gigante dall’aspetto gassoso, definito dagli stessi attori the Shadow Monster, il Mostro Ombra.
I fratelli Duffer, autori della serie, hanno già abituato gli spettatori della prima stagione a un universo pieno di citazioni ai grandi classici del cinema anni Settanta e Ottanta con rispettivi canoni horror, ma i riferimenti iconici del Mostro Ombra vanno ben oltre il classico stereotipo dell’aracnide malvagio.
Il primo e più immediato paragone a cui i seriofili potrebbero pensare è l’uomo in nero della serie tv Lost. Uomo per modo di dire perché per le prime cinque stagioni il personaggio appare come una entità gassosa che perseguita i naufraghi dell’isola; solo più avanti si scoprirà che l’essere è in realtà la personificazione del Male e “la fine di tutto ciò che è buono.” Un altro essere senza nome che intrattiene un legame con il mostro di Stranger Things proviene dalla mente di Stephen King ed è recentemente tornato nelle nostre sale grazie al remake di Andrés Muschietti: il pagliaccio It. Alla fine della miniserie televisiva del 1990, It – sebbene entità eterea creata dal Big Bang – assume le sembianze di un enorme ragno. A questo si potrebbero aggiungere innumerevoli riferimenti aracnofobi – da Shelob de Il Signore degli Anelli ad Aragog di Harry Potter – e altrettanti al male come nebulosa presenza – The Mist e appunto Lost – ma la duplice natura del mostro di Stranger Things ci dà la possibilità di ampliare la nostra analisi e passare dal mondo dell’intrattenimento a quello dell’arte contemporanea.
Nel 1999, all’età di 88 anni, l’artista francese Louise Bourgeois riprende il tema della sua precedente scultura Spiders per espanderlo in Maman (termine francese per madre): un ragno alto dieci metri le cui otto zampe raggiungono un diametro di altrettanti metri, che attualmente è esposto alla Tate Modern. Il riferimento di Bourgeois era estremamente positivo, la scultura rappresenta infatti il potere materno, “il ragno è un’ode a mia madre, lei era la mia migliore amica, come un ragno lei era una tessitrice,” affermò l’artista riferendosi alla sua opera.
Nel 2013 il regista canadese Denis Villeneuve utilizza la scultura di Bourgeois all’interno del film Enemy, il racconto di due persone identiche le cui vite vengono sconvolte dalla scoperta dell’esistenza dell’altro. Grazie alla computer grafica vediamo muoversi lentamente tra i grattacieli di un’anonima metropoli lo stesso ragno dell’artista francese — anche qua il ragno non ha ancora assunto un valore esplicitamente negativo, ma iniziamo a entrare in un terreno ambiguo e indefinito, in cui prevale il simbolismo.
Ed è proprio qua che entra in scena il collegamento con la seconda stagione di Stranger Things, in cui il male non è più solo esplicitamente fisico (il Demogorgon), ma, e soprattutto, inconscio e ultraterreno. Gli stessi Duffer hanno affermato che “nella stagione precedente molto dell’orrore e di quello che stava succedendo a Will nell’ Upside Down accadeva fuori campo. Nella seconda stagione questo non è il caso. L’orrore è più intimo e personale.”
Come la Maman di Villeneuve dominava l’ambiente del film, così il Mostro Ombra di Stranger Things si impossessa lentamente di Hawkins, entrambi sono infatti provocati dalla rottura di un equilibrio duale: l’incontro tra i due Gyllenhaal in Enemy e l’unione dei due mondi della serie di Netflix.
Per quanto Stranger Things si rifaccia a opere più conosciute e popolari come i romanzi di King o i classici di Spielberg, la serietà con cui i suoi creatori hanno affrontato questa seconda stagione non lascia dubbi sulla complessità narrativa ed emotiva dei suoi mostri, ora non solo creature che “vengono fuori dalle fottute pareti,” ma anche esseri che incarnano il male nella sua forma più umana e subconscia.
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