In Francia sta finendo il burro

In Francia il burro sta scomparendo dagli scaffali dei supermercati, in quella che è stata definita dal quotidiano nazionale Le Figaro “la più grande crisi dalla Seconda guerra mondiale.”

In Francia sta finendo il burro

In Francia il burro sta scomparendo dagli scaffali dei supermercati, in quella che è stata definita dal quotidiano nazionale Le Figaro “la più grande crisi dalla Seconda guerra mondiale.”

foto di Anna Lazzeri e Eleonora Tremolada

Mentre in tutta Italia continua la raccolta delle olive – che dopo un 2016 disastroso sembra finalmente riprendersi – in Francia il burro sta lentamente scomparendo dagli scaffali dei supermercati, in quella che è stata definita dal quotidiano nazionale Le Figaro “la più grande crisi dalla Seconda guerra mondiale.”

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C’è voluto un po’ per rendersi conto che la crisi si stava diffondendo in tutto il paese, ma solo quando le catene di supermercati parigini hanno iniziato a esporre cartelli per scusarsi con la clientela la notizia è stata ripresa dai media. “Il mercato del burro sta affrontando una crisi di materie prime senza precedenti che ha provocato una rottura nella catena di distribuzione, ci scusiamo, chiederemo ai fornitori di riportare la situazione come prima,” si legge davanti a una cella frigorifera mezza vuota. Ma ridurre il problema a una mancanza di materia prima è, in parte, inesatto.

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Nel 2015 l’Unione Europea abolisce le quote latte, ovvero un prelievo finanziario introdotto nel 1984 imposto agli allevatori europei per ogni chilogrammo di latte prodotto oltre un limite stabilito, aprendosi a un mercato globale che aumenta la propria domanda di latticini del 2% l’anno. In Europa, Francia e Germania – seguite subito dopo dall’Italia – rappresentano i due più grandi produttori di latte, con una produzione che si aggira sulle 25 mila tonnellate annue. Liberi dalle regolamentazioni dell’Unione, questi paesi si sono rivolti negli ultimi anni verso l’Asia e il Medio Oriente, regioni i cui gusti si stanno allineando sempre di più con quelli occidentali, favorendo così le esportazioni.

Parallelamente, nel 2016, uno studio medico pubblicato sul British Medical Journal ha riabilitato il burro – e i grassi saturi che lo compongono – come elemento non dannoso per la salute. La notizia, ampiamente dibattuta in campo scientifico, ha comunque provocato un aumento delle vendite. L’aumento della domanda nei mercati extra-europei e la riabilitazione del burro hanno quindi causato – tra la fine del 2016 e il 2017 – un aumento del suo valore di mercato, che è passato dai 2,500 euro a tonnellata ai quasi 7,000 mila. Se a questo si aggiunge una scarsa produzione di foraggio per le mucche nel 2016, il risultato sarà appunto una drastica diminuzione delle riserve di latte e di conseguenza nella produzione di burro.

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Il Ministro francese dell’agricoltura Stephane Travert ha annunciato ieri in parlamento che “la scarsità non durerà,” ma con l’incombere del periodo natalizio, cioè quando la domanda di burro aumenta in tutto il mercato nazionale, l’equazione inizia a sembrare troppo complessa per poter ottenere il risultato voluto dal Ministro.

Per ora nei grandi centri urbani sono stati colpiti da questa carestia solo le grandi catene di supermercati, mentre le boulangerie (i nostri panifici) della capitale non sembrano ancora risentire della mancanza di burro. I croissant au beurre, specialità francese, sono venduti regolarmente senza stravolgimenti nei prezzi e alle domande sulla crisi in corso un paio di gestori hanno risposto a the Submarine che, nel caso, si sarebbero limitati ai croissant nature. Ma se la drastica riduzione di forniture dovesse veramente arrivare nelle case dei francesi nella forma di un aumento dei prezzi (in una nazione che, ricordiamolo, è la più grande consumatrice di burro al mondo), il primo a pagare il caro prezzo sarà l’europeista Macron, che secondo i sondaggi avrebbe già perso tutto il fascino e soprattutto lo slancio delle elezioni.