Inizialmente distribuito come evento speciale per tre giorni, Loving Vincent si è invece rivelato uno dei film più visti della settimana dal pubblico italiano — neanche l’uscita del film sul pagliaccio di Stephen King è riuscito a oscurarlo.
Il film, che racconta postumo la vita e il dolore del pittore olandese, non è certo il primo sulla sua figura. Ciò che ha attirato più di 100 mila persone nelle sale italiane è stata infatti la particolare tecnica di produzione: un centinaio di pittori alle prese con 65 mila quadri a olio per portare a termine il primo film interamente dipinto a mano.
Prima di lui, in maniera più convenzionale, molte opere cinematografiche avevano cercato di risolvere il mistero Van Gogh. Primo fra tutti Lust For Life, diretto nel 1956 da Vincente Minnelli e tratto dall’omonimo romanzo di Norman Corwin, in cui la vita del pittore e del suo amico Gauguin sono descritte con tratti hollywoodiani, tra il romanzesco e il romantico. Seguono altri film di finzione come Van Gogh, Vincent & Theo, Van Gogh: Painted with Words, The Eyes of Van Gogh e molti documentari tra cui Van Gogh (di nuovo) di Alain Resnais, Vincent the Dutchman e Van Gogh or the Double-edged Triumph.
Ma, come hanno capito i creatori di Loving Vincent, il mistero dietro al realismo magico del pittore e alla sua profonda tristezza si può risolvere solo attraverso i suoi quadri — letteralmente attraverso. Ben 27 anni prima che i movimenti del Dottor Gachet e la barba del postino Joseph Roulin rubassero lo sguardo degli spettatori, un altro regista aveva provato a dar vita alle tele di Van Gogh: Akira Kurosawa.
Nel 1990 il regista giapponese diresse Sogni (夢 Yume), un film composto da otto episodi che raccontano in modo bergmaniano la vita, dall’infanzia alla morte, dello stesso regista. Gli otto episodi – sconnessi per trama – sono legati dalla presenza di un personaggio che veste il tipico cappello a falda larga indossato spesso da Kurosawa e accreditato nei titoli di coda semplicemente come “Io.” Se nei primi quattro episodi il regista si concentra sulla sua infanzia e sui fantasmi del passato del Giappone, è nel quinto episodio – intitolato “Crows” – che il regista affronta il tema della fantasia, rendendo omaggio a colui che alla fantasia ha dato forme e colori.
Un giovane pittore vaga davanti alle tele di Van Gogh: la Notte Stellata, La camera di Vincent ad Arles, l’Autoritratto e Il ponte di Langlois e il fiume Rodano sulle cui sponde colorate il giovane si ritrova inaspettatamente. Continuando a camminare, il pittore incontra in un campo di grano Van Gogh alle prese con un dipinto, i due iniziano a discutere sull’arte e lo sforzo che essa richiede.
Kurosawa scelse per interpretare il tormentato pittore il collega Martin Scorsese, la cui irrequietezza sul lavoro assomigliava molto a quella di Van Gogh. La collaborazione ha fatto nascere una versione quasi surreale del pittore olandese, che nella sua brevità (vediamo Scorsese solo per pochi minuti) racchiude tutta la forza del personaggio.
Accecato per un attimo dal sole il giovane perde di vista il maestro, inizia così una ricerca attraverso squarci delle opere di Van Gogh, accompagnata dalle note di Preludio op. 28 n. 15 di Chopin. Il protagonista non è fatto di pennellate, come in Loving Vincent, ma cammina sui colori e si perde fra i paesaggi tratteggiati della provenza.
All’epoca delle riprese, Kurosawa non aveva a disposizione computer grafica e programmi di animazione, bensì l’amicizia con l’americano George Lucas. A produrre gli effetti speciali di Sogni venne scelta infatti la Industrial Light & Magic, società fondata da Lucas e già famosa per aver creato i mondi di Star Wars, 2001: Odissea nello spazio, Indiana Jones, Jurassic Park, Incontri ravvicinati del terzo tipo e quasi tutti i blockbuster più iconici di fine secolo.
La scelta di Van Gogh da parte di Kurosawa non è per niente casuale: la provenza di metà Ottocento rispecchiava, secondo Van Gogh, un paradiso terrestre, molto simile all’oriente nipponico, così lontano geograficamente, ma vicino alla scena intellettuale francese che frequentava.
Così scriveva in una lettera al fratello Théo:
“Il paese mi sembra bello come il Giappone per la chiarezza dell’atmosfera e gli effetti di colore gioioso, le acque determinano macchie di un bel colore smeraldo e di un blu ricco di panorami. I tramonti arancione pallido fanno sembrare blu il suolo: il sole è di un giallo splendente. Qui la natura è straordinariamente bella. La volta del cielo è di un azzurro mirabile, il sole ha una radiosità giallo-sulfureo ed è dolce ed armonioso.”
Dunque una doppia dedica del regista giapponese, a Van Gogh per primo e alla sua terra così idealizzata. Se avete amato Loving Vincet, o semplicemente i quadri di Van Gogh, il racconto breve di Kurosawa vi lascerà sorpresi per la sua innovazione stilistica e la sua profonda sincerità verso il lavoro del pittore.