Dove sta andando l’Austria
L’ambiguità fra estremismo e moderazione è la cifra più riconoscibile di Sebastian Kurz, che da domani potrebbe essere il nuovo cancelliere austriaco.
A destra, come la coalizione tra conservatori ed euroscettici che dopo le elezioni di domenica probabilmente formerà il nuovo governo. A capo del quale, per la prima volta in Europa, ci sarà un nato dopo il 1980.
Nel 2016 l’Austria è stata a un passo dall’eleggere il primo capo di Stato in Europa proveniente da un partito nostalgico del nazismo. Dopo le elezioni di oggi potrebbe diventare il primo Paese occidentale con un nato dopo il 1980 alla guida del governo. Il favorito per la vittoria è infatti il partito conservatore guidato da Sebastian Kurz, 31 anni. Se l’esito delle urne confermerà gli scenari prospettati dei sondaggi – dove Kurz è primo con percentuali superiori al 30%, seguito dai socialdemocratici e dai populisti della FPÖ, appaiati attorno al 25% – l’ex ministro degli Esteri potrebbe diventare il cancelliere più giovane della storia della Bundesrepublik Österreich. È inoltre molto probabile che Kurz scelga di formare il suo governo insieme al Partito per le Libertà dell’Austria (Freiheitliche Partei Österreichs, FPÖ), formazione di estrema destra su posizioni euroscettiche e xenofobe, mettendo fine alla coalizione tra socialdemocratici e conservatori al governo del Paese dal 2007.
Antefatto
L’elezione a turno unico, per il rinnovo dei 183 seggi del Nationalrat, la camera bassa del parlamento austriaco, non era in realtà prevista quest’anno. La scadenza naturale della legislatura sarebbe stata a settembre 2018, cinque anni esatti dopo le elezioni che avevano confermato la coalizione di governo tra socialdemocratici della SPÖ (Sozialdemokratische Partei Österreichs) e i popolari democristiani della ÖVP (Österreichische Volkspartei). La SPÖ e la ÖVP sono i due grandi partiti di massa che hanno dominato la politica austriaca del dopoguerra: insieme, hanno governato per 44 anni sui 72 che sono trascorsi dal 1945 a oggi.
È il sistema elettorale austriaco stesso, un proporzionale puro con soglia di sbarramento al 4%, a favorire la formazione di coalizioni. Da quando, poi, nel 1987 i socialdemocratici stabilirono di non formare più alleanze con la FPÖ – passata su posizioni di estrema destra con l’ascesa di Jörg Haider – la coalizione di governo è diventata ancora più scontata: socialdemocratici + conservatori, rossonero, rot-schwarz. Un assetto interrotto solo dalla parentesi tra il 2000 e il 2007, quando la ÖVP governò insieme alla FPÖ di Haider, provocando l’isolamento diplomatico dell’Austria da parte di numerosi Stati europei che intendevano sanzionare la presenza nell’esecutivo degli esponenti di un partito che avevano espresso nostalgie per alcune politiche di Hitler.
In tutti questi anni socialdemocratici e conservatori hanno governato insieme, detestandosi però accesamente e finendo per non portare a termine riforme significative, appesantiti da veti incrociati.
Decenni di azione politica fatta di compromessi e contrappesi continui hanno logorato i due partiti storici, che hanno dato l’impressione di perdere progressivamente i propri tratti distintivi, apparendo come una sorta di partito unico dell’establishment. Nel frattempo sono cresciuti sempre di più i consensi dell’FPÖ che, grazie al carisma e all’abilità del nuovo leader Heinz-Christian Strache ha abbandonato (almeno nella forma) i toni estremisti e nostalgici del nazismo di Haider per riposizionarsi sulle tematiche forti dei nuovi populismi europei: euroscetticismo, retorica delle piccole patrie, islamofobia, xenofobia.
I partiti storici in crisi
La crisi dei migranti dell’estate 2015, con l’arrivo a Vienna di migliaia di persone dalla “rotta balcanica,” ha accentuato la crisi della coalizione: mentre l’Austria, con oltre 150mila richiedenti asilo su 8,7 milioni di abitanti, diventava uno dei Paesi in Europa con il più alto numero di rifugiati pro capite, l’ascesa della FPÖ proseguiva. E infatti, nel primo turno delle elezioni presidenziali del 2016 – il presidente austriaco, pur avendo funzioni principalmente rappresentative, è eletto direttamente dai cittadini – il partito di Strache ha colto un successo eccezionale: oltre 1,5 milioni di voti, il più votato.
Il controverso candidato della FPÖ Norbert Hofer finì al secondo turno insieme al candidato dei verdi Alexander Van der Bellen, che riuscì a spuntarla solo grazie all’appoggio degli altri partiti, decisi a scongiurare un’affermazione della FPÖ che avrebbe avuto ripercussioni su tutta la politica europea, nell’anno del trionfo dei populismi. Qualcuno ricorderà le rocambolesche vicende del ballottaggio (si dovette ripetere per errori formali nelle operazioni di scrutinio, e la sua ripetizione fu rimandata perché, you had one job, il collante delle buste per il voto via lettera era difettoso), ma il vero dato politico è che per la prima volta nella storia dell’Austria repubblicana non fu eletto presidente né un esponente della SPÖ né della ÖVP.
La svolta mancata
In seguito a quella disfatta elettorale cadde il governo dell’allora cancelliere socialdemocratico Werner Faymann, frettolosamente sostituito alla guida di un nuovo esecutivo da Christian Kern, ex amministratore delegato delle ferrovie austriache. La nomina stessa di Kern rifletteva quanto la SPÖ fosse in difficoltà e alla ricerca di un posizionamento nuovo per rilanciare la propria immagine: il nuovo Kanzler, infatti, non proveniva dalle fila del partito, corrispondeva a un profilo di manager di successo, ed era celebre e apprezzato soprattutto per il ruolo giocato durante la crisi dei rifugiati dell’estate 2015, quando rompendo l’impasse del governo aveva messo gratuitamente treni speciali a disposizione dei migranti, guadagnandosi la stima delle vaste fette di società austriache a favore del “refugees welcome”.
Nel suo breve cancellierato, Kern ha tentato di rilanciare l’azione di governo, presentandosi come l’uomo del fare e proponendo un ambizioso piano di riforme per mercato del lavoro, formazione, integrazione, sanità, il “Plan A für Österreich”: una grande operazione di marketing politico che ha però incontrato l’opposizione dei partner di coalizione, decisi a non appoggiare riforme che avrebbero potuto avvantaggiare eccessivamente il nuovo cancelliere. Gli stessi conservatori non se la passavano granché bene: dopo il tonfo delle presidenziali 2016 erano dilaniati dalle tensioni interne, acuite all’uscita di scena del leader ombra del partito, Erwin Pröll, dal 1992 al 2017 governatore del Land della Bassa Austria (in Austria, Stato federale, i governatori regionali hanno un peso pari, se non maggiore, ai membri del governo), implicato in una brutta storia di gestione opaca di fondi pubblici.
All’inizio del 2017 i propositi di rinnovamento del nuovo Kanzler morivano sul nascere
All’inizio del 2017, insomma, i propositi di rinnovamento del nuovo Kanzler morivano sul nascere, la coalizione era tornata immobile e litigiosa come d’abitudine, e la legislatura sembrava avviata a una lenta marcia di avvicinamento verso le elezioni 2018. In cui i socialdemocratici avrebbero dovuto difendere la propria maggioranza relativa dalla FPÖ ancora più carica dopo la vittoria mancata di un soffio.
La rottamazione, fatta bene
A maggio di quest’anno, però, un colpo di scena ha impresso un’accelerazione improvvisa: il vicencancelliere Reinhold Mitterlehner, presidente dei conservatori, si è dimesso, spiegando di non riuscire più a gestire le tensioni tra i ministri del suo partito e aprendo la crisi di governo che ha portato alla convocazioni delle elezioni anticipate. Il senso di questo strappo è apparso più chiaro una manciata di giorni dopo, quando il giovane ministro degli esteri, Sebastian Kurz, astro nascente della ÖVP, ha accettato di prendere le redini del partito ponendo condizioni eccezionali: piena autonomia nell’assegnazione degli incarichi di vertice e nella composizione delle liste elettorali, elezioni subito, cambio della denominazione del partito in “Lista Kurz – Nuovo Partito Popolare”. La nomina di Kurz, approvata all’unanimità dai conservatori, ha aperto una pagina nuova (la stampa austriaca non ha parlato di “rottamazione”, ma insomma), cogliendo di sorpresa SPÖ ed FPÖ.
Nel giro di pochi mesi Kurz è riuscito a svecchiare la vecchia ÖVP con un’efficace operazione di rebranding, nominando nelle liste elettorali figure nuove, provenienti dalla società civile (i “100 esperti”), conquistando l’appoggio di figure popolari come l’ex atleta di salto con l’asta Kira Grünberg, tetraplegica in seguito a un incidente in allenamento, nominata responsabile delle politiche per i diversamente abili, e presentandosi come la novità assoluta in opposizione a un panorama politico fatto di “soliti noti”. Abbandonando persino il tradizionale colore del partito, il nero, in favore del turchese. Una piccola rivoluzione che ha portato i conservatori in testa ai sondaggi.
“La campagna elettorale più sporca di sempre”
L’accordo raggiunto tra socialdemocratici e conservatori per lo scioglimento delle camere prevedeva un campagna elettorale “corta e corretta” a partire da settembre. È successo l’opposto. Già da maggio si è assistito a un inasprimento dei toni e un infittirsi dello scambio d’accuse quotidiane tra i partiti della coalizione, che non sono più riusciti a mettersi d’accordo su nulla. Quanto alla correttezza, le elezioni 2017 saranno ricordate per avere introdotto nel lessico politico austriaco l’espressione dirty campaigning: ma ci arriviamo.
L’impostazione della comunicazione del rottamatore ad alcuni ha ricordato Macron, con un focus quasi esclusivo sulla figura del giovane leader, presentato come dinamico e innovatore, mentre le scenografie e slogan hanno fatto pensare al primo Obama: come il discorso di Kurz davanti a oltre 10mila persone nell’arena Wiener Stadthalle, a inizio settembre, e i manifesti elettorali con slogan del tenore di “Es ist zeit”, (“È il momento.”), “Jetzt. Oder nie!” (“Ora. O mai!”). L’abilità del nuovo capo dei conservatori è stata soprattutto quella di far propri alcuni temi alcuni temi dell’estrema destra – il patriottismo, la polemica sugli asili islamici, il contrasto al cosiddetto “turismo del welfare” e all’immigrazione clandestina – al contempo presentandosi però come moderato.
Questo posizionamento ha inizialmente messo in grave difficoltà l’FPÖ, improvvisamente privata dei suoi cavalli di battaglia. Ma a ritrovarsi ancora più spiazzati sono stati i socialdemocratici, che all’inizio del 2017 avevano costruito il proprio assetto e staff comunicativo convinti di dover competere per la vittoria con i populisti di destra. Per esplicita volontà del cancelliere Kern era stato assunto Tal Silberstein, consulente politico israeliano, specialista del negative campaigning. Lo schema era chiaro: screditare il più possibile l’FPÖ per le sue posizioni estremiste, e passare all’incasso presentando la socialdemocrazia come unica scelta ragionevole e decente per l’Austria. Le mosse di Kurz hanno preso in contropiede il piano dell’SPÖ, la cui comunicazione non è mai davvero decollata anche causa di dissidi interni tra il gruppo degli israeliani, gli uomini di fiducia del Kanzler e lo staff del partito.
La situazione è precipitata quando in agosto lo stesso Silberstein è stato arrestato in Israele per varie accuse di corruzione. Ma ciò che ha virtualmente azzerato le chance di Kern è quanto emerso nelle ultime settimane di campagna, quando è saltato fuori che Silberstein aveva creato due pagine anonime su Facebook con l’obiettivo di fare macchina del fango contro Kurz: una pagina si chiamava “La verità su Sebastian Kurz”, con contenuti complottisti, e perfino antisemiti, che lo collegavano al finanziere George Soros, e un’altra pagina di finto sostegno al leader dei conservatori, che gli attribuivano posizioni controverse per metterlo in cattiva luce. Lo scandalo che ne è scoppiato ha gravemente compromesso la corsa dell’attuale cancelliere, per quanto il consulente israeliano e i socialdemocratici abbiano insistito sull’estraneità di Kern alla vicenda. E ha finito per coinvolgere anche i conservatori, dopo le dimissioni di un membro dello staff di Kurz che ha ammesso di aver offerto 100mila euro a un collaboratore del cancelliere in cambio di notizie compromettenti. È finita con uno scambio di denunce reciproche, tra l’imbarazzo dell’opinione pubblica austriaca, abituata a ben altri standard nel dibattito politico.
Gli altri temi – economia, istruzione, politiche migratorie e per l’integrazione, Europa – sono, così, rimasti praticamente sullo sfondo, nonostante gli oltre 50 confronti televisivi tra candidati. Rainer Nowak, direttore del quotidiano Die Presse, ha definito questa campagna elettorale come “la più sporca di sempre”. I dibattiti di quest’ultima settimana sono stati caratterizzati da nervosismo e durezza di toni tra Kurz e Kern, e un progressivo avvicinamento tra conservatori e FPÖ: già, perché ad approfittare degli scandali è stato soprattutto il partito di Strache, che con gli ex partner di coalizione impegnati in uno scontro furioso ha potuto recuperare terreno. Comunque vadano le elezioni, la sua formazione quasi sicuramente tornerà, dopo dieci anni, a far parte di un governo. E per come si sono messe le cose, è molto probabile che a capo di quel governo ci sia Sebastian Kurz.
Wunderwuzzi
La storia del candidato dei conservatori è spesso stata raccontata come quella di un bambino prodigio della politica: nato nel 1986, sottosegretario agli Interni a 25 anni, nel 2013 è diventato ministro degli Esteri, il più giovane membro di un governo nella storia dell’Austria. Un Wunderwuzzi, appunto. La biografia di Kurz è quella di un conservatore atipico. Nato a Vienna, roccaforte dei socialdemocratici, nel quartiere operaio di Meidling, da una famiglia del ceto medio, Kurz si è velocemente fatto strada nelle organizzazioni giovanili dell’ÖVP: un partito di stampo molto tradizionale, radicato tra gli agricoltori, il ceto medio produttivo, i professionisti e gli imprenditori (in Austria le suddivisioni politiche della società ricalcano ancora parecchio gli assetti otto-novecenteschi), da anni in crisi di consenso tra i giovani.
Si è fatto un nome quando a 24 anni, nel 2010, per la campagna elettorale delle amministrative di Vienna girò la città a bordo di un suv nero dal quale distribuiva profilattici, con lo slogan “Nero (il colore dei conservatori) è sexy.” Rapidamente cooptato dalla dirigenza dell’ÖVP in ruoli di governo, ha costruito il proprio profilo occupandosi soprattutto di esteri e di politiche dell’immigrazione. Temi su cui ha spesso alternato dichiarazioni e azioni in linea con le posizioni di europeismo moderato del partito con affermazioni ben più controverse.
Da responsabile dell’immigrazione ha parlato di un Islam dal carattere europeo, fondando un forum per il dialogo con l’Islam e varando una legge che vieta la costruzione di nuove moschee con fondi provenienti da finanziamenti esteri; ha introdotto l’accertamento obbligatorio delle competenze linguistiche degli imam; e ha passato gran parte della campagna elettorale di quest’anno a mettere sotto accusa gli asili islamici, evocando rischi di educazione al fondamentalismo. Da ministro degli Esteri ha rivendicato il merito della chiusura della rotta balcanica; è stato il primo a parlare di “business delle ONG” in riferimento alla situazione dei migranti nel Mediterraneo, migranti che ha proposto di far sbarcare in Tunisia o in Egitto; ha ventilato più volte la possibilità di chiudere il valico del Brennero; ha indicato l’Australia come modello per la gestione dei flussi migratori. Senza i toni incendiari dell’FPÖ e senza mai parlare di “invasione”, però.
L’abilità di Kurz sta certamente in questo posizionamento raffinatamente studiato. Ma il suo vero capolavoro è stato presentare il partito di cui è alla guida – al governo ininterrottamente fin dal 1987 – come l’unica soluzione a una politica dell’immobilismo, e se stesso – politicamente figlio, in fondo, di quell’establishment, e uno dei membri più longevi dell’esecutivo uscente – come novità assoluta. Una scommessa vincente, che ha portato la sua Liste Kurz – Neue ÖVP a toccare il 33% dei sondaggi, con un eccezionale 24% tra i giovani dai 18 ai 29 anni (mentre la SPÖ in quella fascia d’età arranca attorno al 13%).
Ma è questa la caratteristica più evidenziata dai suoi critici: un’ambiguità continua tra moderazione nei toni ed estremismo dei contenuti, che lascia aperte molte questioni su che direzione prenderà se nominato cancelliere. Soprattutto in riferimento allo scenario europeo. Senza dimenticare che sarà proprio l’Austria ad assumere la presidenza di turno dell’Unione, nella seconda metà del 2018, quando dovrebbe essere finalizzato il processo della Brexit.
Da domani potrebbe essere proprio Kurz il primo capo di governo di un Paese occidentale della generazione dei millennial.
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