Chi gestiva il piú grande sito di pedopornografia del dark web? La polizia australiana

Non era forse preferibile effettuare raid di tutti i sospettati un anno prima? Qual è il costo umano di svolgere un’operazione del genere?

Chi gestiva il piú grande sito di pedopornografia del dark web? La polizia australiana

Lo scorso week end il giornale norvegese VG ha pubblicato uno scoop letteralmente incredibile: il sito internet di pedopornografia piú grande del dark web era stato gestito dalla polizia australiana, in un’operazione di infiltrazione, da quasi un anno.

Negli ultimi giorni si sono rincorsi i commenti attorno alla notizia — se la lunghissima durata dell’operazione, e quindi la quantità di contenuto scambiato su un sito di fatto gestito dalla polizia, valessero effettivamente il numero di arresti portati a termine alla fine dell’operazione.

Non era forse preferibile effettuare raid di tutti i sospettati un anno prima? Qual è il costo umano di svolgere un’operazione del genere?

Sarebbe abusare di populismo sostenere che la polizia dovrebbe partire con gli arresti prima di aver raccolto prove che reputa sufficienti per essere incriminanti. È tuttavia importante sottolineare che la durata dell’operazione di infiltrazione, da ottobre 2016 al mese scorso, è senza precedenti.

È facile incappare in descrizioni del dark web come di un posto che ospiti solo criminali e malfattori, così come narrative che lo dipingono come una ghost town, quasi una leggenda più che un posto reale.

Il sito di cui la polizia australiana ha preso controllo l’anno scorso, purtroppo invece rappresenta perfettamente l’immaginario ripugnante del dark net. Sul sito, chiamato disgustosamente Childs Play, ospitava 1 milione e cinquantaduemila utenti registrati.

In realtà, il numero di persone che visitavano il sito era molto inferiore, ma si tratta comunque di numeri da capogiro: decine di migliaia di pedofili, che si connettevano per scaricare il materiale postato da un centinaio di “produttori.” A gestire il sito, due amministratori, WarHead e CrazyMonk.

Police regularly posted child abuse material on the largest forum for paedophiles https://t.co/RwkX3mRbJT pic.twitter.com/b0AaZP0nAX

— VG (@vgnett) October 7, 2017

Anche VG ha dovuto mantenere il segreto, mentre lavorava al proprio reportage, a cura di Håkon F. Høydal, Einar Otto Stangvik e Natalie Remøe Hansen. Il giornale ha scoperto la notizia lo scorso gennaio, e ha dovuto mantenere il silenzio fino al termine delle operazioni di polizia.

I due amministratori, identificati come Benjamin Faulkner, canadese, e Patrick Falte, statunitense, vengono arrestati nell’autunno dello scorso anno dopo essersi incontrati di persona per molestare insieme un bambino. Arrestati, hanno ceduto le proprie password alle forze dell’ordine statunitensi, che si sono immediatamente coordinate con quelle australiane, pronte a prendere il controllo del sito.

La polizia australiana si solleva da ogni responsabilità per i contenuti condivisi nel corso dell’anno: il sito non era loro, dopotutto, e quello che stavano facendo non è altro che una qualsiasi operazione di infiltrazione. Mescolarsi con un elemento criminale non è mai “pulito,” e in casi come questo, è inevitabile che le conseguenze per i coinvolti siano semplicemente devastanti. Ma fa parte del lavoro di polizia.

Tuttavia, il reportage di VG rivela che la polizia australiana non solo caricava sul sito nuovo materiale pedopornografico che aveva recuperato in precedenti operazioni, ma attivamente ha cercato di incoraggiare i “produttori” di materiale illegale a caricarne, in modo da poter procedere con le indagini.

Secondo la polizia si tratta di un comportamento giustificabile per il bene comune, ma per i bambini e le famiglie dei bambini che sono stati soggetto di esperienze così traumatiche, sapere che i materiali non solo sono ancora esistenti, ma sono ancora accessibili sul dark web è traumatizzante — e che sia stata la polizia stessa a caricarlo, imperdonabile.

Due settimane dopo aver preso controllo del sito internet, la polizia ha caricato un video di uno stupro di una bambina di otto anni, che sarebbe stato visualizzato 770.617 volte. L’uso di eventi così inimmaginabilmente traumatici come esche è sconvolgente. Passare poi addirittura all’esortazione di caricare nuovi file pone l’indagine in territorio estremamente grigio a livello morale, avendo messo materialmente in pericolo minori che venivano in contatto con gli utenti di Childs Play

Misure estreme per una situazione estrema, si potrebbe dire, ma certamente che resteranno impossibili valutare, in una delle pagine piú scure nella lotta alla pedopornografia online.