Se il Movimento 5 Stelle non è nemmeno un buon partito digitale, a cosa serve?
Non si tratta di un semplice disguido di “qualità del servizio,” sanabile semplicemente tenendo le votazioni aperte piú a lungo.
Non si tratta di un semplice disguido di “qualità del servizio,” sanabile semplicemente tenendo le votazioni aperte piú a lungo.
Solo poche ore fa si è conclusa la votazione online per le primarie che eleggeranno Luigi Di Maio candidato premier del Movimento 5 Stelle. Il vincitore sarà annunciato domani, terminato lo spoglio lungo — auspicabilmente — una frazione di secondo, del voto online.
Auspicabilmente, perché il voto per gli attivisti registrati è stato tutto tranne che sereno: il servizio online Rousseau — che il Movimento 5 Stelle chiama “sistema operativo,” così, pressoché a caso — ha immediatamente dato segnali di cedimento.
Il voto, che doveva tenersi ieri dalle 10 alle 19, è stato poi prorogato fino alle ore 23, e quindi nuovamente ad oggi, dalle 8 alle 12.
Malgrado il contesto clownesco di questa défaillance — delle primarie così fasulle da non provarci neanche, a sembrare vere — si tratta di un evento importante, che colora ormai indelebilmente il fallimento del progetto della piattaforma Rousseau, millantato per mezzo decennio per poi essere aperto al pubblico chiaramente di corsa, pieno di falle, e — come sappiamo da oggi, con fondamenta anche estremamente fragili.
Gli iscritti al voto — che usando un linguaggio meno autoerotico era un sondaggio online — sono secondo il partito circa 150 mila.
Danilo Toninelli, portavoce del M5S alla Camera dei Deputati e una delle facce di Rousseau, ha dichiarato a Un giorno da pecora che gli “farebbe piacere che ci fossero dai 70 ai 100mila votanti.”
Possiamo pure ignorare la progressiva svolta a destra del M5S. Che si tratti di deriva politica o ideologica, o di “momento verità,” poco importa in questa sede.
Quello che invece è possibile valutare oggettivamente è la performance del partito secondo alcuni dei capisaldi promessi da Casaleggio e Grillo sin dalle sue origini—
- il movimentismo,
- la buona amministrazione,
- la democrazia diretta digitale.
Sul movimentismo è difficile esprimersi: se la struttura top-down del M5S ha iniziato a farsi chiara fin dal giorno dopo il risultato delle scorse politiche, un’analisi piú gretta potrebbe ribattere che la concentrazione attorno a forti leader è caratteristica fondamentale dei movimenti. La differenza, semmai, è nelle mancanze di questi di leader.
Sulla buona amministrazione purtroppo per Roma, Livorno e molti altri comuni, il Movimento non ha saputo neanche remotamente rispondere alle proprie promesse.
Sulla “democrazia digitale,” vero quid ideologico centrale del progetto di Casaleggio padre, il fallimento è così totale e indiscutibile, da non poter che iniziare a dubitare che il partito della Casaleggio abbia senso di esistere. È assurdo che un partito che in origine si identificava così strettamente con l’attivismo online, perfino con frangenti della cultura hacker piú mainstream — tra l’ambientalismo DIY alla comunità maker — sia oggi ancora indissolubilmente legato a un blog, che abbia impiegato anni nello sviluppare una piattaforma di discussione online closed source che è un vero colabrodo, invece di preferire una piattaforma open source di democrazia fluida.
L’esempio piú lampante è, ovviamente, LiquidFeedback, una piattaforma di democrazia online completamente open source che prevede la possibilità di voto su singoli argomenti e di delegare il proprio voto secondo i principi della democrazia fluida. La piattaforma, sviluppata su necessità del Partito Pirata tedesco, è utilizzata da partiti, comunità, e aziende di tutto il mondo — e anche in molti circoli locali del Movimento 5 Stelle. C’è un’istanza di LiquidFeedback perfino per gli spettatori di Servizio Pubblico. Non c’è nessun motivo perché il M5S non usi questa piattaforma — o altre, come il DemocracyOS (di nuovo con questa fissa dei sistemi operativi) del Partido de la Red argentino. È anche particolarmente interessante chiedersi perché partiti di origini simili al Movimento 5 Stelle abbiano deciso di condividere il proprio lavoro in open source, al contrario di quanto fatto dal partito di Grillo — vecchio proponente instancabile di quella filosofia. Una scelta perfettamente comprensibile, piuttosto, da un punto di vista aziendale.
Ipotizziamo che oltre ai 100 mila che potrebbero aver votato, in questi due giorni, si siano connessi molti curiosi: la presenza di questi ultimi non avrebbe dovuto drasticamente tassare il database di Rousseau. Rousseau è per i non iscritti disponibile solo in una modalità “solo lettura,” e pure parziale, per cui anche ammesso milioni di italiani fossero in quel momento in giro sul portale assistendo a bocca aperta a questo incredibile esempio di democrazia online, non dovrebbero avere in nessun modo influito sui problemi che si sono registrati di inserimento del voto nel database, e di invio dei codici via SMS per l’autenticazione a due fattori.
Ipotizzando un giro di 100 mila utenze in un giorno e un tempo di permanenza attorno ai 10 minuti, è lecito calcolare un peak di 7–15 mila utenti connessi contemporaneamente. Si tratta di numeri che qualsiasi piattaforma costruita per essere scalabile e hostata degnamente è in grado di gestire. Abbiamo contattato il Movimento 5 Stelle e i responsabili tecnici di Rousseau per chiedere quali siano state le cause del disservizio, ma al momento della pubblicazione non abbiamo ancora ricevuto risposta.
Non si tratta di un semplice disguido di “qualità del servizio,” sanabile semplicemente tenendo le votazioni aperte piú a lungo. Siamo certi che l’engagement degli attivisti 5 stelle sia altissimo, ma non cambia il fatto che statisticamente, una semplice attesa superiore ai 500 millisecondi causa una diminuzione del traffico di circa il 20%. (dati Google)
Non si tratta di un disguido causale, o di un attacco DDoS — gli amministratori di Rousseau sapevano che ieri sarebbe stato un giorno di grande traffico, e a quanto pare si sono fatti trovare completamente disarmati.
Non ci sono scuse: si tratta di lampante cattiva gestione, o di gravi problemi di progettazione del servizio. In entrambi i casi non si possono fare sconti: Casaleggio, e il M5S, si sono dimostrati incapaci di gestire perfino questo inutile ma simbolicamente importante passaggio, perché istituzionalmente inadeguati al ruolo che rivestono come primo partito d’Italia.
Basta mezzo secondo per incrinare drasticamente quella che non è semplicemente user experience: è democrazia. Perché se questo era un voto fasullo, con un vincitore noto in partenza, al contrario, la premessa ideologica di digitalizzazione delle forme di attivismo del Movimento 5 Stelle non è solo fondata ma in un certo senso inevitabile. Mentre ogni elemento della società si lega gradualmente sempre di più alla vita online, è impossibile pensare che la partecipazione democratica non ne sarà interessata. È già successo, in maniera non organizzata, sui social network. Strumenti come Rousseau dovrebbero invece essere esattamente questo: strumenti digitali di organizzazione politica, che non sono sufficientemente diffusi e che servono disperatamente alla nostra società. Occupando questo ruolo in Italia con i propri prodotti drasticamente insufficienti, abusando di una posizione ottenuta sì attraverso il consenso elettorale, ma questo non guadagnato certo grazie alla democrazia fluida, Casaleggio non sta semplicemente degradando la conversazione politica nazionale, ma sta attivamente impedendo innovazione nel settore: quello della politica e della vita del paese.