Il giallo dell’affondamento della nave Rigel
Secondo i racconti di un collaboratore di giustizia, esattamente trent’anni fa la nave Rigel veniva affondata dolosamente al largo delle coste calabresi. È probabile che a bordo ci fossero oltre […]
Secondo i racconti di un collaboratore di giustizia, esattamente trent’anni fa la nave Rigel veniva affondata dolosamente al largo delle coste calabresi. È probabile che a bordo ci fossero oltre 3000 tonnellate di scorie nucleari.
“Sono venuto a sapere che al largo di Capo Spartivento è stata affondata una nave carica di rifiuti tossici e materiale nucleare, in un punto tale da renderne il recupero quasi impossibile.”
È con queste parole che il 13 maggio del 1995 un misterioso faccendiere – la cui identità rimane tuttora coperta da segreto – si presenta agli investigatori del nucleo ecologico di Brescia, allora guidato dal colonnello Rino Martini, e chiede di essere interrogato. Probabilmente sta cercando protezione, perché proprio tre giorni prima i carabinieri hanno perquisito la villa di un grosso imprenditore di San Bovio di Garlasco, l’ingegner Giorgio Comerio, e hanno sequestrato una massiccia quantità di documenti che proverebbero l’esistenza di una gigantesca organizzazione in grado di muovere rifiuti dall’Europa verso alcuni paesi dell’Africa.
L’individuo che ha bussato alla porta della forestale sembra avere grande familiarità con questo ambiente, così gli agenti del nucleo ecologico gli propongono di collaborare con la giustizia.
In cambio delle sue informazioni, i carabinieri si impegnano a non rivelare mai la sua identità, limitandosi a chiamarlo col nome in codice “Pinocchio.” Il faccendiere acconsente e inizia a raccontare tutto ciò di cui è a conoscenza sul traffico di rifiuti, a cominciare dall’affondamento doloso della nave Rigel.
È la prima volta che una fonte attendibile parla delle “navi a perdere,” ossia dell’incredibile business che sta nel riempire di rifiuti una vecchia imbarcazione, farla affondare – simulandone il naufragio – e incassare due grosse somme di denaro illecito: quella di chi ha pagato per disfarsi delle scorie e quella dell’assicurazione in vigore sulla nave.
A caccia della nave fantasma
Il nucleo ecologico inizia a cercare le tracce del mercantile affondato nella documentazione navale, ma trovare la Rigel, anche solo sulla carta, non è per niente facile.
Il pentito ne indica genericamente le caratteristiche, le dimensioni e la rotta, ma non sa darne il nome o il numero di chiglia, che sono essenziali per identificare il vascello in modo univoco.
Si deve immaginare la difficoltà di effettuare una simile ricerca nel 1995, quando internet era agli albori, la digitalizzazione dei dati era ridottissima e anzi, i database e i software cartografici erano caricati su macchine primitive e molto costose, che solo pochi tecnici informatici sapevano utilizzare.
I carabinieri di Brescia sono costretti a girovagare l’Italia per consultare i grossi registri delle capitanerie di porto, a interrogare uno per uno gli operatori portuali e a ricostruire a mano la rotta della Rigel, usando goniometro e compasso.
Chi riuscì ad associare le informazioni sul vascello anonimo alla scheda tecnica della Rigel fu il capitano di vascello Natale De Grazia, collaboratore dei forestali e uomo di punta del pool di Reggio Calabria, una squadra di investigatori istituita dal magistrato Francesco Neri, che in quel periodo stava conducendo un’indagine parallela su un traffico di scorie nucleari in Calabria.
Tra gli indizi più interessanti rintracciati dagli uomini di Martini, c’è il fatto che già nel 1991 una squadra di magistrati aveva istituito un processo contro diversi uomini d’affari coinvolti nell’ultimo viaggio del mercantile.
Una sentenza, emessa il 20 marzo 1995 dal tribunale di La Spezia, aveva condannato gli imputati per tentata truffa ai danni delle compagnie assicurative – in sostanza, il giudice aveva riconosciuto che la Rigel era stata affondata dolosamente dall’equipaggio in combutta con l’armatore.
Tra gli elementi più clamorosi evidenziati dalle carte giudiziarie, vi è il fatto che se l’armatore non avesse segnalato l’affondamento della nave pretendendo i soldi dell’assicurazione, nessuno si sarebbe accorto della scomparsa della Rigel.
Gli investigatori facevano notare come i registri marittimi dei porti in cui la Rigel aveva fatto scalo raramente riportavano l’avvenuto attracco del mercantile – ecco perché nelle inchieste giornalistiche la Rigel viene spesso indicata come una nave fantasma.
L’ultimo viaggio della Rigel
La Rigel era un piccolo mercantile di circa 3800 tonnellate di stazzalorda, batteva bandiera maltese, era lunga 110 metri e larga 16.
Possedeva due alberi bianchi, lo scafo era nero, con una banda inferiore di color rosso spento e la canna fumaria arancione.
Era stata costruita nel 1968, aveva cambiato nome, bandiera e proprietario diverse volte; durante il suo ultimo viaggio apparteneva ad una società di Malta, la Myfair Shipping Company Limited, ed era in affitto ad un armatore greco, Georgios Papanicolau.
Secondo i registri portuali la Rigel è affondata il 21 settembre 1987 alle coordinate di longitudine 37° 58′ Nord, e latitudine 16° 49′ Est, ossia venti miglia nautiche a sud-est di Capo Spartivento (RC), ad una profondità abissale di circa 400 metri.
Era salpata il 2 settembre da La Spezia e lo stesso giorno aveva fatto scalo al porto di Marina di Carrara, dove avrebbe dovuto imbarcare altra merce e ripartire dopo poche ore, ma un guasto – almeno secondo quanto riportato ufficialmente – l’aveva costretta a trattenersi in rada per oltre una settimana.
Il 9 settembre aveva mollato gli ormeggi per la Sicilia, aveva costeggiato il litorale di capo Comino ed il 12 settembre era giunta al largo del porto di Palermo, dove era rimasta alla fonda per circa una settimana (per questa sosta la capitaneria di porto locale non ricevette alcuna spiegazione).
Dalle ultime informazioni risulta che la nave navigò fino all’altezza di Messina, ne attraversò lo stretto e poi di lei non si seppe più niente, fino a quando dalla Tunisia non arrivò la telefonata del suo capitano, Michael Vassiliadis, che ne annunciava il naufragio.
Le indagini
Il tribunale di La Spezia aveva appurato che durante il suo ultimo viaggio la Rigel aveva a bordo almeno 60 container pieni di blocchi di cemento.
Il nucleo ecologico aveva allora ipotizzato che l’uranio arricchito di cui parlava la fonte Pinocchio fosse stato cementato all’interno dei blocchi e poi caricato sulla nave durante lo scalo a Marina di carrara.
A sostegno di questa teoria, i manovali e i doganieri interrogati riferirono di una grande quantità di sacchetti contenenti polvere di marmo che fu issata a bordo della nave. La polvere di marmo – così come il cemento – ha la proprietà di schermare la radioattività in caso di controlli.
Indubbiamente quei blocchi dovevano avere qualcosa di molto speciale, perché i testimoni riferirono di misteriosi personaggi che avevano supervisionato con grande scrupolo l’intera operazione di carico.
Ma soprattutto, ciò che spingeva i forestali a seguire la pista radioattiva, era l’aver ritrovato nella villa dell’ingegnere di Garlasco – pochi giorni prima della deposizione di Pinocchio – un’agenda del 1987, che proprio sulla data del 21 settembre riportava la scritta “Lost the Ship,” ossia “persa la nave.”
Comerio si dichiarò estraneo alla vicenda asserendo che quel giorno aveva perso un traghetto diretto oltremanica, ma i carabinieri non gli credettero mai, perché l’ingegnere aveva fondato una società, la O.D.M., che si occupava di vendere ai governi esteri degli speciali siluri per lo stoccaggio di scorie radioattive nelle fosse oceaniche.
Come se non bastasse, nella villa furono rinvenute alcune mappe coi punti di affondamento di altre navi sospette già note agli agenti della forestale, e soprattutto, una copia del certificato di morte di Ilaria Alpi, la giornalista che fu uccisa a Mogadiscio assieme al cameraman, Miran Hrovatin, mentre indagavano su un traffico di armi e rifiuti tra l’Italia e la Somalia.
Per tutto il 1995 il pool di Reggio Calabria subì continue minacce e intimidazioni da parte di mafiosi e altri personaggi non meglio identificati, e proprio quando sembrava che l’inchiesta si stesse avvicinando ad una conclusione, nella notte fra il 12 e il 13 dicembre il capitano Natale De Grazia morì avvelenato.
“Un’operazione chirugica” – come la definì il magistrato Neri – che in effetti segnò la fine delle indagini: il nucleo ecologico fu smantellato, i suoi membri furono assegnati ad altri incarichi e il caso delle navi dei veleni finì nel dimenticatoio.
L’ipotesi alternativa
Ma qualcosa non torna nella versione dell’affondamento della Rigel.
Gli investigatori che per primi si misero sulle orme del vascello fantasma raccontano di essere stati contattati nell’ottobre del 1987 da una misteriosa fonte greca, Jannis, che smentiva l’ipotesi del naufragio.
Jannis asseriva che la nave era sana e salva in un porto sperduto del Libano e aveva chiesto ai poliziotti un compenso di 800.000 dollari per condurli a bordo del vascello fantasma.
Alla fine di una difficile trattativa, gli agenti pagarono 20.000 dollari e ottennero il nome dello scalo in cui sarebbe stata ormeggiata la Rigel: Selaata, una cittadina portuale situata circa 50 chilometri a nord di Beirut.
Il problema era che in quel periodo il Libano era sprofondato in una devastante guerra civile e Selaata era sotto il controllo dalla brigata Marada, una milizia particolarmente violenta appartenente alle Forze Libanesi, un gruppo paramilitare al soldo della fazione cristiana maronita.
Gli investigatori cercarono di avvicinarsi al paese dei cedri passando prima per Limassol (Cipro), nell’ufficio di Akef Khoury, un grosso faccendiere libanese che aveva acquistato il carico imbarcato dalla Rigel a Marina di Carrara, ma non ebbero successo.
A seguito dell’affondamento, le ditte che erano in affari con Papanicolau si ritrovarono con una truffa: non ricevettero alcun documento sull’ultimo viaggio della nave, solo l’avviso di naufragio, così dovettero vendere la propria flotta e cambiare velocemente intermediari finanziari per non finire sul lastrico.
La confusione fece confondere le acque, le tracce si persero e il vascello fantasma non fu mai ritrovato.
Ma il racconto di Jannis è tutt’altro che illogico e sembra anzi dare un senso ad una particolare dichiarazione di Pinocchio che la squadra Neri-Martini non era riuscita ad interpretare.
«Tale nave, prima di giungere in Calabria, dove venne affondata volontariamente per riscuotere il premio assicurativo e nel contempo gettare a mare ogni sorta di rifiuti, ha come luogo di provenienza la Grecia; successivamente tocca altri porti in Albania e nel Nord Africa, per poi entrare definitivamente nel mar Ionio, dove viene affondata al largo di Capo Spartivento, su un fondale di circa 400 metri».
Se Jannis e Pinocchio parlano dello stesso mercantile, allora la storia della Rigel si può riassumere come qui di seguito.
Dopo aver lasciato Marina di Carrara, la nave dei veleni avrebbe riversato le scorie in un punto imprecisato del mar Ionio, poi sarebbe attraccata in un porto sicuro in Libano, dove l’equipaggio sarebbe sbarcato e il capitano avrebbe denunciato il naufragio indicando delle coordinate casuali.
Quindi l’imbarcazione avrebbe cambiato nome e bandiera, sarebbe stata riverniciata e poi venduta ad un’altra società, arricchendo così le tasche dei trafficanti con una terza somma di denaro illecito.
Sotto il controllo di un nuovo proprietario, la nave a perdere avrebbe fatto scalo in Albania e in Nord Africa, per collezionare un ultimo immondo carico di rifiuti, e infine sarebbe stata affondata nel mar Ionio, 20 km al largo di Capo Spartivento.
La principali fonti dell’articolo sono l’informativa 319/1 stilata il 9 ottobre 1996 dal maresciallo Niccolò Moschitta del pool di Reggio Calabria, e i libri Bandiera nera, e Trafficanti di Andrea Palladino.