L’istituzione di questo piccolo pool di inquirenti specializzato in mafie italiane sembra essere il passo, da tempo atteso, nella direzione di una più equa collaborazione.
È del 14 settembre la notizia dell’istituzione di un pool anti-mafia in seno alla Landelijke Eenheid Politie, ovvero il dipartimento investigativo della polizia olandese. Una decisione che potrebbe apparire quasi troppo previdente, tipica dei Paesi del nord Europa, quelli che amano sempre fare le cose per bene. Eppure arriva dopo decenni di procrastinazione da parte delle autorità dei Paesi Bassi, sordi alle richieste della magistratura e degli inquirenti italiani. Fino ad oggi infatti, le nostre autorità hanno dovuto coordinare le indagini internazionali attraverso lenti e macchinosi strumenti giudiziari, spesso rallentandole, a volte compromettendone i risultati.
L’istituzione di questo piccolo pool di inquirenti specializzato in mafie italiane sembra essere il passo, da tempo atteso, nella direzione di una più equa collaborazione. Secondo quanto riferitoci dal giornalista olandese Koen Voskuil, la decisione sarebbe stata presa dal capo del dipartimento investigativo, il detective Wilbert Paulissen, regista per parte olandese della recentissima inchiesta sulle infiltrazioni nel mercato di fiori di Aalsmeer.
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La squadra sarà costituita da tre persone, formatesi nella polizia e con conoscenza della lingua italiana. Non è chiaro se mastichino anche il dialetto stretto, un requisito spesso fondamentale per comprendere le conversazioni registrate. I tre lavoreranno inoltre a stretto contatto con gli ufficiali di collegamento delle ambasciate e con la finanza. D’ora in poi gli inquirenti olandesi avranno inoltre il diritto di interrogare i pentiti che abbiano legami con i Paesi Bassi. Secondo le dichiarazioni che Paulissen ha rilasciato a Voskuil, un colloquio sarebbe già avvenuto, e avrebbe già permesso di raccogliere interessanti informazioni.
Volendo fare un passo indietro, per comprendere cosa porta oggi i Paesi Bassi a compiere questa mossa, si scopre che il primo studio ufficiale sulla presenza in queste terre delle mafie italiane è datato 1992. Dello stesso anno è anche la prima grande inchiesta su territorio olandese, ma sempre diretta dalle autorità italiane, sulle attività di narcotraffico e riciclaggio di un gruppo di camorristi. L’operazione fu definita Campina: un bizzarro gioco di parole che richiama il nome di un famoso marchio olandese di prodotti caseari, ma che rappresenta anche il trinomio Camorra-pizzeria-Napoli.
La Camorra non è l’unica organizzazione criminale la cui esistenza su questo territorio sia stata provata, anzi.
Varie indagini riscontrano sin dagli anni Ottanta la presenza di ’ndrangheta, Sacra Corona Unita, Cosa Nostra, e persino della minore Banda della Magliana. Sono dunque rappresentate tutte quelle che, secondo la Direzione Nazionale Antimafia, sono ancora oggi le mafie italiane più attive. Tra queste, la ‘ndrangheta è sicuramente la più legata a queste terre, in quanto detiene da molto tempo il monopolio internazionale del traffico della cocaina, che, a partire dagli anni Ottanta, passa principalmente dal porto di Rotterdam.
Una serie molto lunga di richieste di rogatoria ed indagini italiane, proprio sulla ’ndrangheta e le sue diramazioni nei Paesi Bassi, porta la polizia olandese a stilare due rapporti, rispettivamente del 2011 e 2016, unicamente dedicati all’organizzazione calabrese. Nei rapporti si riconosce la mancanza di know-how e strumenti adeguati al contrasto del fenomeno. Si ribadisce peraltro, come era stato fatto nei rapporti precedenti, l’esigenza di implementare misure più efficaci e, soprattutto, autonome.
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