Veleno, un dramma familiare nella terra dei fuochi
L’opera seconda del regista Diego Olivares si dimostra un lavoro di qualità, nonostante un basso budget e qualche debito di troppo nei confronti di Sollima.
L’opera seconda del regista Diego Olivares si dimostra un lavoro di qualità, nonostante un basso budget e qualche debito di troppo nei confronti di Sollima.
Quando nel maggio 2014 Sollima e Saviano si preparavano all’uscita della prima puntata di Gomorra la serie, difficilmente potevano pensare che il loro prodotto avrebbe segnato così prepotentemente il modo di raccontare la criminalità sia in tv che sul grande schermo. Fra i debitori del serial Sky troviamo anche Veleno, opera seconda del regista partenopeo Diego Olivares.
Presentato durante la 74° Mostra del Cinema di Venezia, Veleno ha avuto un buon riscontro di critica e sta vedendo la distribuzione nelle sale in questi giorni.
La storia del film può essere divisa in due filoni complementari. Cosimo ed Ezio, i due fratelli proprietari di una piccola impresa agricola nel Casertano – insieme alle rispettive mogli, Rosaria ed Adele – sono minacciati dalla famiglia dell’avvocato Rino Caradonna, che vuole impossessarsi del loro appezzamento di terra, necessario per ingrandire la propria discarica. Proprio il triste personaggio dell’avvocato – interpretato da Salvatore Esposito – sarà il perno attorno al quale girerà la storia parallela a quella dei due fratelli. Rino Caradonna è infatti un personaggio di successo in ascesa nel mondo della criminalità organizzata casertana, ma profondamente infelice e mai protagonista della propria vita. Le sue aspirazioni vengono schiacciate fra le pressioni della potente famiglia malavitosa della moglie e l’autorità dello zio. Le due vicende si incontreranno più volte, in un’incessante lotta che vedrà solo vinti e nessun vincitore.
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Si diceva di Gomorra la serie. Ecco, se non bastasse la presenza del sempre convincente Salvatore Esposito, i debiti verso Sollima si notano osservando anche altri aspetti del film. La fotografia desaturata, le musiche parecchio simili a quell’elettronica dei Mokadelic, che così bene contrasta con la crudezza di certe scene, e l’immancabile presenza del dialetto napoletano – quasi un must di questi tempi – che, al costo della presenza di sottotitoli per la distribuzione fuori dal territorio campano, aggiunge una dose di realismo fondamentale.
Dalla recitazione non si poteva chiedere di più. Massimiliano Gallo e Luisa Ranieri sono perfetti nel rappresentare la coppia che si oppone al male, avendo tutto da perdere e nulla con cui combattere. Menzione speciale per Nando Paone, che finalmente ha modo per mostrare tutto il suo talento drammatico, lontano dai ruoli per cui è divenuto celebre, accanto a Salemme, Casagrande e Bisio.
Il veleno citato nel titolo del film è il motore di tutta la narrazione. Non solo quello vero e proprio, interrato in quella porzione di territorio del casertano – nazionalmente nota come “terra dei fuochi” – che farà da sfondo per tutti i 101 minuti di film. Ma anche quello delle relazioni sociali fra le famiglie distrutte dai giochi di potere di chi non ha amore per la propria terra. Il veleno che intossica i contadini, tuttavia, finirà per intossicare anche gli uomini delle cosche, come il finale del film fa intuire pienamente. “Veleno” non può essere definito un film di denuncia, quanto piuttosto un dramma familiare che scaturisce dalle azioni sconsiderate degli uomini.
Battendo la strada già asfaltata dal serial televisivo, il film cammina su binari sicuri, ma così facendo perde la potenza che avrebbe potuto avere. Il ritmo è il problema principale: la vicenda infatti scorre senza particolari momenti che fanno sussultare lo spettatore. Ogni scena, seppur girata e rappresentata molto bene, ha toni troppo simili a quelle precedenti, così fino a un finale estremamente significativo, ma per questo motivo sterile. Il film – che vi consigliamo senz’altro – avrebbe funzionato maggiormente se portato in televisione e serializzato in più episodi, in modo da poter gestire diversamente i tempi e la complessità delle storie che il regista ha voluto raccontare.
Ma tutto questo evidentemente può essere ricondotto a problemi di budget. Ciononostante lode al cast che ha accettato lo scarso compenso per portare a compimento il progetto. Nota avvelenata, invece, alla distribuzione, che avrebbe potuto riservare qualche sala in più rispetto alle 36 in cui troverete il film.