Il pubblico filo–fascista è una grossa risorsa pubblicitaria per Facebook

Questi sono i numeri che lo strumento di inserzionistica di Facebook ci ha dato su alcune parole chiave immediatamente collegabili al fascismo.

Il pubblico filo–fascista è una grossa risorsa pubblicitaria per Facebook

Questi sono i numeri che lo strumento di inserzionistica di Facebook ci ha dato su alcune parole chiave immediatamente collegabili al fascismo.

Un’inchiesta di ProPublica, no-profit giornalistica newyorkese, ha rivelato ieri che tramite gli strumenti di targetizzazione pubblicitaria di Facebook è possibile raggiungere persone che sono state profilate come antisemite. Tra gli elementi che il social network permetteva di selezionare c’erano alcune attività ricreative come “bruciare tutti gli ebrei,” e interessi come “la Storia di ‘perché gli ebrei rovinano tutto’.”

L’inchiesta arriva solo pochi giorni dopo l’esplosione dello scandalo sull’acquisto da parte di agenti russi di una ingente campagna pubblicitaria via Facebook realizzata per raggiungere elettori statunitensi con materiali di propaganda. È dallo scorso aprile cha Facebook cerca disperatamente di fuggire dalla propria responsabilità sul disastro elettorale statunitense del 2016, ma ogni giorno si fa più evidente come il servizio non stia effettivamente facendo nulla per rallentare gli abusi da parte di estremisti dei propri meccanismi di inserzioni.

Il timore delle ripercussioni di indagini ufficiali da parte del Congresso è evidente in ogni riga della comunicazione del servizio di Menlo Park. Eppure, malgrado le dichiarazioni, malgrado l’aumento del personale di monitoraggio live, annunciato come una panacea universale, il servizio non sta facendo abbastanza.

Nel corso della realizzazione dell’inchiesta, ProPublica ha realizzato la propria campagna. Facebook ha quindi cancellato le aree di interesse, difendendosi sottolineando che queste sono generate da algoritmi,  non persone, e che tutte quelle individuate dalla no–profit raccoglievano un numero estremamente ridotto di utenti — per cui erano sfuggite agli occhi attenti dei moderatori.

Abbiamo ripetuto l’esperimento di ProPublica sul mercato italiano, un paese che come gli Stati Uniti sta conoscendo un forte ritorno dell’estrema destra, ma che al contrario degli USA ha una lunga tradizione fascista, con miti e organizzazioni ben consolidate.

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Questi sono i numeri, regionali ma non strettamente legati ai confini del paese che abbiamo indicato in fase di compilazione della campagna, che lo strumento di inserzionistica di Facebook ci ha dato su alcune parole chiave immediatamente collegabili al fascismo.

919.080 persone sono interessate a Benito Mussolini
259.450 persone a Duce
3.775.030 persone a Fascismo
1.355.500 a Partito Nazionale Fascista
3.842.650 a Francisco Franco
110.930 a Heinrich Himmler
168.490 a Hermann Göring
230.750 a Joseph Goebbels
1.314.030 a Wehrmacht

3.872 persone hanno “Ufficiale nazista” impostato come Istruzione Universitaria, e 2.439 che hanno come datore di lavoro “Partito Nazista.”

Il pubblico risultante — questo sì, solo italiano — è di un milione ottocentomila persone.

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A differenza delle categorie emerse dall’inchiesta di ProPublica, sono quantomeno consistenti — è impossibile siano sfuggite a nessuno.

Ma qual è la soluzione a questo problema? Il problema è la possibilità di targettizzare, o la presenza consistente di materiale di estrema destra sul network? Entrambe le cose? Non è un semplice problema di cosa sia nato prima tra uovo e gallina: nel secondo caso, ad esempio, potremmo considerare “OK” indirizzare materiali antifascisti verso un pubblico filo-fascista — o a mali estremi anche la diffusione di propaganda fascista tra fascisti: meglio dell’alternativa, propaganda fascista su tutti.


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Imboccare un tentativo di compromissione sull’argomento — cosa dovrebbe fare Facebook — è una via fallace: perché non è possibile trovare una via di compromesso sull’argomento. Dagli interessi consigliati creando un pubblico fascista per la propria campagna pubblicitaria è evidente che l’algoritmo di Facebook non solo non distingue tra gli argomenti dell’estrema destra e quelli della Storiografia, ma nemmeno tra quelli del centrodestra e quelli della destra più o meno estrema — tuttavia non ci sbilanciamo a dire se il fatto che comporre un pubblico fascista porti l’algoritmo a suggerire Silvio Berlusconi, Movimento 5 Stelle, Forza Italia e Lega Nord dica di più su Facebook o sull’elettorato italiano.

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L’unica soluzione è un controllo molto più di polso sui contenuti sul network: e in questo momento storico può essere fatto soltanto da umani. Il disgusto per il lavoro umano, che unisce tante aziende della Silicon Valley, è particolarmente evidente in Facebook, dove un vero lavoro di curatela da parte di moderatori potrebbe fare semplicemente la differenza sulla qualità della vita degli utenti del servizio.

Non ridete. pic.twitter.com/HWHQN2F3OR

— giulio verme (@zeropregi) September 15, 2017

È in questo che emerge tuttavia la tensione principale sottesa alla produzione di aziende come Facebook e Google — gli utenti non sono i loro clienti, i clienti sono gli inserzionisti, e nel caso di Facebook, gli inserzionisti fascisti in questi mesi stanno pagando profumatamente.

Trovare una soluzione alla lotta al fascismo online passa necessariamente sotto qualche forma di moderazione: qualsiasi attaccamento ideologico al libertarianesimo endemico di internet si rivelerà, sul lungo periodo, reazionario: perché quella esercitata dalle persone che pubblicamente si fanno identificare come fascisti, e dagli inserzionisti che li targettizzano, non è libertà d’espressione, ma al contrario è abuso dei sistemi della società contemporanea, moderata e relativamente inclusiva.

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Si sta avvicinando, per le aziende dell’informazione e molte altre startup della Silicon Valley, un momento della verità: l’illusione di questi giganti buoni, dediti a regalare nuovi prodotti alle persone per rendere la loro vita più divertente e semplice, è completamente a pezzi. Lo scandalo del lancio della startup Bodega, che produce distributori automatici di lusso — per permettere ai bianchi statunitensi di eliminare una interazione con persone di colore dalla propria giornata — è solo il più recente esempio di una nuova, assolutamente ben giustificata, diffidenza del pubblico nei confronti dell’area.

Oggi, la compromissione di Facebook con agenti di radicalizzazione fascista a livello locale come su scala globale è al di là di ogni discussione. Se l’azienda vuole evitare che arrivi da parte degli Stati una reazione eccessivamente muscolare — che potrebbe essere drammaticamente liberticida, perché la classe governativa ancora non padroneggia gli strumenti del digitale, e chi pensa di padroneggiarli, è solitamente messo peggio degli altri — deve agire con evidente aggressività contro questi gruppi di interesse e dimostrare, con completa trasparenza, la propria fedeltà ai valori di una società contemporanea antifascista. Ad ogni titubanza, ad ogni balbettio di fronte al possibile scontro con indagini di forze governative si fa più evidente, tuttavia, che se non è il sistema Facebook ad essere compromesso, certamente lo è la sua leadership.


Aggiornamento: in risposta al reportage originale di ProPublica, Facebook ha eliminato la possibilità di indicare come pubblico carriere o studi inseriti a mano dagli utenti. Si tratta di una misura sostanzialmente insufficiente a risolvere il problema.