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Il sito di Libero è rimasto offline per quasi 24 ore tra venerdì e sabato, per un attacco informatico rivendicato dal gruppo AnonPlus — che ci ha spiegato che non finisce qui.

Nella notte di giovedì, il sito del quotidiano Libero è andato offline per via di un attacco DDoS (Distributed Denial of Service) — in sostanza, un sovraccarico di richieste al server che ospita il sito, ottenuto di solito tramite una botnet. Una delle forme più comuni e diffuse di attacco informatico.

Verso le 13 di venerdì, il sito è tornato online, ma solo per un paio d’ore. Poco prima delle 16, un nuovo attacco ha affossato liberoquotidiano.it fino a sabato mattina. A rivendicare l’azione su Twitter è stato l’account @AnonPlus_Info, citando una frase pronunciata da Vittorio Feltri a La Zanzara su Radio24.

https://twitter.com/AnonPlus_Info/status/905904127766605825

Inevitabile quindi collegare l’attacco alle recenti polemiche sollevate dal titolo in prima pagina sui “migranti che portano la malaria,” l’ultimo di una lunga serie di titoli sempre più esplicitamente razzisti, deontologicamente inaccettabili, e improntati a una volgarità pacchiana e fascistoide, fin troppo tollerata.

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La versione online del quotidiano, se possibile ancora più squallida del cartaceo, sembra fatta apposta per macinare introiti pubblicitari: ai contenuti abitualmente razzisti si aggiungono la pruderie para-pornografica e scandalistica, il clickbait sfrenato dei post su Facebook, e gli ormai celeberrimi sondaggi. Tanto che ieri ragionevolmente su Twitter qualcuno si chiedeva a quanto sarebbe ammontata la perdita delle entrate pubblicitarie dopo 24 ore offline.

Come ha reagito Libero in edicola? Con sobrietà, come al solito:

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E anche oggi non sono da meno:


“Vivissimi complimenti alla Federazione della stampa e all’Ordine nazionale dei giornalisti. A forza di accusarci di usare il linguaggio dell’odio invece di quello dell’ipocrisia, sono riusciti a scatenare una guerra cyberterroristica contro Libero, il cui sito web è stato bombardato, silenziato e oscurato dai banditi tecnologici,” scriveva ieri in prima pagina il direttore Feltri.

Pieno di tensione drammatica anche il responsabile dell’edizione online Pietro Senaldi, che in un video ha sfidato gli hacker a uscire allo scoperto: “Venga lunedì in redazione o martedì, facciamo un dibattito, ci metta la faccia, anche via streaming (sic).” Senaldi ha insinuato anche che gli hacker siano protetti da “chissà cosa”: “Sappiamo che solo non sei, sappiamo che anche tu hai i tuoi interessi e che dietro la tua attività di hackeraggio c’è un business.”

Qui è quando dice che Libero è essenzialmente
Qui è quando dice che Libero è “essenzialmente un servizio di informazione”

Ma chi sono i pericolosi cyberterroristi contro cui è costretta a lottare in solitudine la coraggiosa redazione del quotidiano?

AnonPlus era il nome del “social network” di Anonymous, creato nel 2011 dopo che l’account di YourAnonNews era stato bandito da Google+, ma abbandonato abbastanza in fretta. L’account twitter da cui è stato rivendicato l’attacco, invece, esiste dal gennaio 2016, e dà notizia di vari attacchi rivolti contro un gran numero di obiettivi in tutto il mondo: dal Comune di Cartagena in Cile al Ministero degli affari esteri dell’Etiopia.

In Italia hanno fatto parlare di sé in lo scorso marzo, con un attacco al sito della città metropolitana di Roma. Prima del 2016 (in cui si registrano un paio di attacchi in Italia e la denuncia a due studenti dell’Università di Cagliari) non sembra esserci traccia di notizie che riguardano AnonPlus come gruppo. Gli attacchi sono condotti con il solito stile da giustizieri mascherati di Anonymous, accompagnati da proclami vagamente anti autoritari. A volte il senso degli obiettivi sfugge, come nel caso dell’attacco al sito della Commissione per i diritti umani dello stato australiano del Victoria — sempre che si tratti dello stesso gruppo.

https://twitter.com/AnonPlus_Info/status/818594154892722177

Per parlare direttamente con loro, mi sono fatto un giro sul canale #press, appositamente aperto ieri sulla loro chat per far fronte alle “numerose richieste di interviste.” A rispondermi è stato un utente con nickname AjejeBrazov, definito da un altro utente, dark, come “colui che si occupa di press” e “la voce di anonplus.”

“La motivazione dell’attacco è stata innanzitutto l’etica,” mi ha spiegato Ajeje, evidentemente compiaciuto. “Libero sembrava esser partito bene alle origini, poi si è perso per strada. Si predica bene e si razzola malissimo.” Quando gli faccio notare che non è da ieri che Libero fa titoli razzisti, mi risponde: “Noi osserviamo a lungo. Non si fanno azioni a casaccio. Tutto sommato dovrebbero ringraziare che ci si è andato con la mano leggera, è stato solo un avvertimento.”

Il momento di gran lunga più divertente della conversazione è stato quando ho linkato la video-risposta di Senaldi, che non avevano ancora visto.

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Ma, a parte le risate, il problema della retorica del vittimismo di destra in Italia non è da sottovalutare: la propaganda reazionaria (in questo caso: razzista) si rafforza con l’idea che ci sia chissà quale “censura” che impedisca di dire la verità, e in questo modo un discorso di fatto maggioritario riesce a passare per contro-informazione. Maurizio Belpietro ha scritto un libro intero, contro questa censura immaginaria. Attacchi come quello di AnonPlus non rischiano soltanto di fornire nuovi argomenti a favore di questa tesi?

Un altro utente della chat, arm_legi, liquida il discorso: “Quello che fa la destra italiana è pura propaganda fascista/razzista, hanno capito il punto debole del popolo! Prima la crisi era colpa del governo ora il governo dà la colpa agli immigrati, hanno paura di perdere la poltrona.”

Di sicuro, almeno stando a quanto mi dicono, l’azione non va interpretata come un attacco isolato. “Ce ne saranno altri di simili o contro bersagli simili?” chiosa Ajeje, “puoi contarci.”

“Soprattutto, chi pensa che il movimento anon in Italia sia in declino o abbia perso forza, non ha capito praticamente un fico secco, per essere eleganti. Anon in Italia è sempre attiva. Magari meno seguita, ma sempre attiva, anzi ora più che mai.”


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