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Pod zemljom è un progetto di Martina Scalini, Mario Blaconà, Valerio Casanova e Gabriele Camilli, realizzato grazie a FuoriRotta. Dal 25 agosto all’8 settembre, un viaggio attraverso i Balcani lungo i sentieri dimenticati delle mine antiuomo, tra i fantasmi della memoria dell’ex-Jugoslavia. Qui tutte le puntate.


Brčko, Bosnia-Herzegovina, 30 agosto

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Grazie a Svetlana e a Ivo abbiamo conosciuto Mirko, un ragazzo che per colpa di una mina ha perso una gamba. Mirko gioca a pallavolo e mentre si muove sul campo i capelli lunghi e lisci, tenuti insieme da un elastico, ondeggiano nell’aria seguendo i suoi movimenti. La pallavolo che gioca si fa da seduti e sembra molto faticosa, fatta di continue tensioni nelle braccia per muoversi e schiacciare.

A 18 anni ha partecipato alla guerra, come tutti i suoi amici, ed è così che ha perso la gamba: mentre cercava di scappare dal fronte nemico, per superare un fosso, ha messo il piede in una zona completamente minata, azionando una mina che oltre a ferirlo lo ha fatto saltare qualche metro più in là. Durante l’esplosione non ha mai perso coscienza di quanto stava accadendo e rialzatosi ha subito ripreso la sua corsa, fino a quando non si è accorto di non avere più al dito l’anello regalatogli dalla sorella e dal cognato. Così è ritornato indietro per cercarlo, sfidando ancora la sorte del terreno minato.

Mirko si ritiene fortunato: quel campo era disseminato di tante piccole mine, che sarebbero potute scoppiare intorno a lui. Quel balzo dopo l’esplosione, per quanto spaventoso, lo aveva fatto cadere in una zona sicura.

La sua storia ce la racconta in montagna, a qualche chilometro dal distretto di Brcko, in una  casa in mezzo a un bosco, un punto di ritrovo per lui e per i suoi amici, con i quali condivide la passione per le passeggiate in montagna.

La casa nel bosco è affollata di uomini sorridenti che ci offrono pizza e birra, rendendoci parte della loro realtà. Si conoscono tutti da quando sono piccoli e insieme hanno fatto il liceo e subito dopo la guerra, da giovanissimi.

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Probabilmente ognuno di loro porta con sé ricordi dolorosi, difficili da dimenticare, per colpa di decisioni non prese da loro, per una guerra imposta da qualcun altro. Dopo vent’anni comunque riescono ancora a ritrovarsi davanti a una birra e a ridere e scherzare insieme. Non è da tutti.

Mentre assaggiamo il caffè turco chiacchieriamo, per quanto riusciamo, del più e del meno: per esempio della lingua “serbo-croata” che viene parlata in tutta l’ex-Jugoslava: “Si è sempre chiamata così, eppure le testimonianze più antiche della lingua sono bosniache. Questa è sempre stata terra di conquista,” ci dicono. Dopo la guerra il serbo-croato non esiste più: ora al suo posto si parlano il bosniaco, il croato e il serbo, tre lingue differenti.

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