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In molti hanno gridato all’islamizzazione forzata di una bambina inglese, strumentalizzando un dramma privato per soffiare sul fuoco della xenofobia.

Nei giorni scorsi, i media italiani hanno rilanciato con grande enfasi la notizia della bambina di cinque anni data in affido a una famiglia musulmana a Londra e costretta a seguire le tradizioni religiose della famiglia affidataria.

Il primo dato da evidenziare, come spesso ci capita, è “deontologico”: quello che si poteva benissimo considerare come un problema di cronaca locale, riguardante il funzionamento dei servizi sociali di Tower Hamlets, un sobborgo a est della capitale inglese, per due giorni campeggiava in cima alle home page di RepubblicaCorriere della Sera — con la buona compagnia dei peggiori tabloid del Regno Unito — come se fosse la notizia più importante della giornata.

La storia è finita anche sulle prime pagine dei quotidiani cartacei — no, non solo su La Verità di Belpietro — e si è guadagnata un buon numero di servizi radio e televisivi, tanto per essere più sicuri che nessuno se la perdesse. Ma era davvero così importante?

Sarà difficile convincermi che questo titolista non sta facendo del sarcasmo
Sarà difficile convincermi che questo titolista non sta facendo del sarcasmo

Ovviamente no, e le ragioni per cui le è stato dato tutto questo risalto non sono difficili da indovinare. Non diversamente dalla campagna di propaganda razzista che si è scatenata dopo lo stupro di gruppo a Rimini, anche qui un caso di cronaca locale (per di più estera) è stato ingigantito a dismisura per suggerire, implicitamente, una sua generalizzazione: i musulmani vogliono convertire a forza i nostri figli.

Una lettura suggerita neanche tanto sottovoce. “La bambina cristiana cavia del multikulti. In Inghilterra viene islamizzata dai servizi sociali e dalla famiglia affidataria,” titolano per esempio dalla redazione del Foglio.

Un caso di cronaca locale è stato ingigantito a dismisura per suggerire, implicitamente, una sua generalizzazione: i musulmani vogliono convertire a forza i nostri figli.

Nell’articolo del Times pubblicato il 28 agosto, da cui tutti supinamente hanno ripreso la notizia, c’erano già abbastanza elementi per mandare in visibilio islamofobi e teorici vari dello scontro di civiltà. Sono soprattutto i dettagli emotivi, messi in grande risalto, a fare la differenza: la bambina, di appena cinque anni, viene costretta a togliersi la catenina con il crocifisso dal collo, educata a odiare le sciocche festività occidentali e, soprattutto, privata del suo piatto preferito, la pasta alla carbonara. Praticamente siamo di fronte a un sogno erotico di Matteo Salvini.

(Dell’uso razzista della carne di maiale come amuleto anti-islamico, e dell’ossessione per la supposta volontà dei “musulmani” di imporre all’Occidente le proprie regole alimentari abbiamo parlato a lungo con Wolf Bukowski, che ha scritto un libro intero sull’argomento.)

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Messi in bella vista tutti gli ami retorici per scatenare le reazioni indignate del pubblico, nessun giornale italiano si è premurato di verificare le circostanze esatte dell’accaduto, e perfino i dati di contesto riportati dal Times — che cita documenti riservati delle autorità locali ma non fornisce alcun dettaglio per questioni di privacy — vengono omessi (Repubblica) o relegati a margine (Corriere). Dati che invece sono utilissimi a riportare la notizia entro le sue giuste dimensioni — senza ovviamente negare la serietà del trauma che può aver vissuto la bambina, già affidata a due diverse famiglie.

Per esempio, si legge che capita molto più di frequente che bambini di minoranze etniche e religiose vengano affidati a famiglie bianche e cristiane, data la sproporzione di queste ultime sul totale delle famiglie affidatarie in Inghilterra: l’84% contro il 77% dei bambini dati in affido. Casi che, evidentemente, non finiscono sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo.

Viceversa, spesso l’incontro tra famiglie affidatarie e bambini provenienti da contesti religiosi diversi — difficile da evitare in zone di forte immigrazione, com’è il caso di Tower Hamlets — si svolge senza nessun attrito: è quello che ha raccontato due giorni fa alla BBC Esmat Jeraj, una cittadina londinese musulmana che per 25 anni ha avuto in affido bambini di tutte le religioni, senza mai problemi.

Non solo: il municipio di Tower Hamlets, responsabile dell’affido, ha accusato la ricostruzione del Times di varie inesattezze, negando che la famiglia affidataria parlasse soltanto arabo, e specificando che comunque si trattava di una misura temporanea. “Ci piacerebbe dare ulteriori dettagli, ma siamo legalmente vincolati a non farlo,” ha dichiarato un portavoce del municipio.

Lo stesso 29 agosto, un giudice — peraltro una donna musulmana praticante — ha stabilito che la bambina tornasse a vivere con la nonna materna. Dalle carte del tribunale, pubblicate in forma anonima, emergono altri elementi utili a chiarire la situazione: come comprensibile, risulta che le lamentele contro la famiglia affidataria siano arrivate soprattutto dalla madre della bambina (che, secondo gli assistenti sociali, era invece “settled and well cared”); che la bambina si trovava in questa famiglia soltanto per il periodo delle vacanze estive, e poi sarebbe tornata dalla prima famiglia affidataria (con cui si trovava da marzo); che anche i nonni materni hanno un “background” musulmano, anche se non praticanti.

Il quadro è abbastanza chiaro: c’è una madre, sola, a cui è stata tolta la potestà sulla propria figlia — anche se parzialmente e temporaneamente — oltretutto durante un’operazione di polizia, quindi si suppone in circostanze non pacifiche; la madre fa di tutto per ri-ottenere l’affido della bambina (tanto che si oppone a una soluzione di affido a lungo termine con la nonna) e per questo si aggrappa alla diversità culturale della famiglia affidataria temporanea. E poi c’è la stampa scandalistica, che decide di strumentalizzare la questione religiosa, mettendo un dramma familiare nel tritacarne dell’islamofobia.

I giornali che hanno gridato all’islamizzazione forzata di una piccola cristiana hanno poi specificato i dettagli della vicenda? Ovviamente no. Nel frattempo, anzi, qualche tabloid (il Daily Mail) ha perfino associato alla storia una foto stock modificata, aggiungendo il velo integrale alla donna ritratta (un po’ come fa la censura in Arabia Saudita, insomma), tanto per dare un tocco più realistico al tutto.

Il danno ormai è fatto: un numero incalcolabile di persone è stato raggiunto dalla versione parziale, distorta e palesemente tendenziosa di una piccola notizia di cronaca locale, che diventa un’arma in più nelle mani di chi è già imbevuto di odio e pregiudizi, o per tutti quelli che dicono abitualmente “non sono razzista, ma…”

E quello che succede quando si soffia in questo modo sull’odio razziale lo stiamo vedendo in questi giorni.


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